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La psicologia della paura del Covid-19

Si può dire che gli esseri umani hanno più paura degli eventi improbabili e catastrofici come gli attacchi terroristici che degli eventi comuni e mortali, come l’influenza. Nel caso di Covid-19, la valutazione del rischio è particolarmente spinosa perché la nostra conoscenza oggettiva della malattia è ancora in evoluzione.
Gli esseri umani si sono evoluti per reagire male a quel tipo di incertezza e imprevedibilità, perché entrambi ci fanno percepire una mancanza di controllo. Siamo esseri umani, quindi siamo pronti a rispondere alle minacce, a proteggere noi stessi. Secondo @DFrizelle, psicologa della salute UK,  è davvero difficile farlo quando la minaccia è così incerta e potenzialmente di vasta portata. Le persone possono assumere comportamenti insoliti, dettati  dal panico.

L’incertezza lascia anche spazio a false affermazioni – che, nel bel mezzo di un’epidemia, possono “portare a comportamenti che amplificano la trasmissione della malattia”, scrive l’epidemiologo Adam Kucharski in The Guardian. Siamo pessimi nel mancanza di volontà nell’individuare la disinformazione online, troppo spesso accettiamo superficialmente le notizie che leggiamo senza verificarle. E poi iniziamo a:

  • credere a ciò che ripetutamente leggiamo,
  • cercare informazioni che convalidino i nostri stereotipi sociali,
  • ricordare cose che suscitano forti emozioni più di quelle che non le suscitano.
  •  cercare sulla pressione della paura un capro espiatorio, individuare la colpa negli altri.

L’epidemia ha avuto origine a Wuhan, in Cina,  quindi i sentimenti e gli attacchi anti-cinesi sono aumentati. Le emozioni che stiamo vivendo con probabilità possono spingerci a fare scelte irrazionali, basate proprio sui nostri pregiudizi. Quando le persone reagiscono per una forte emozione, possono fare scelte rapide e irrazionali per rassicurarsi trovando un nemico esterno che permetta di trovare una spiegazione razionale e rassicurante.

Metin Başoğlu, professore di psichiatria e fondatore dell’Istanbul Center for Behavior Research & Therapy, ha studiato la risposta emotiva e comportamentale dei sopravvissuti al terremoto e vede dei paralleli nelle reazioni odierne al coronavirus.

Dopo il grave terremoto che ha colpito la Turchia nel 1999, uccidendo 17.123 persone e ferendone 43.953, Başoğlu afferma che molti sopravvissuti si sono rifiutati di tornare nelle loro case, scegliendo invece di vivere per mesi in campi all’aperto. Ma il suo team si è reso conto che “se incoraggiamo le persone a tornare nelle loro case, si riprendono in fretta”.

Lui e i suoi colleghi hanno sviluppato un metodo per affrontare lo stress post-traumatico chiamato Control Focused Behavioral Treatment (CFBT), che nasce dall’osservazione che l’esposizione a una fonte di stress può creare un senso di controllo su di essa – una lezione che, secondo lui, si applica alle epidemie, che sono anche incontrollabili e imprevedibili. “Non si può controllare ogni singolo rischio che si presenta nella vita e condurre una vita significativa, ragionevole e produttiva allo stesso tempo”, dice. “Evitare in modo estensivo e irrealistico non è compatibile con la sopravvivenza”.

Questi esperti raccomandano di fare il possibile per riaffermare un senso di controllo sulle proprie paure, senza esagerare e rischiare di contribuire al panico pubblico.

Le misure precauzionali comuni sono particolarmente importanti data l’alta probabilità di contrarre la Covid-19 che includono le norme varate dal governo italiano: l’autoisolamento, lavarsi regolarmente le mani con acqua e sapone e limitare le uscite a motivi solamente necessari (sanitari, sostentamento e lavoro).

L’epidemia che stiamo vivendo può colpire negativamente le persone che già soffrono di disturbi psicologici  come la depressione, l’ansia e il disturbo ossessivo-compulsivo. I social possono essere di supporto per restare in contatto via cellulare con persone di cui si ha fiducia nonché i network televisivi e sul web più accreditati e sicuri.
 

Fare come a Manchester per vincere la paura del terrorismo

I fatti di queste ultime settimane ci spingono ad avere paura di andare a una manifestazione pubblica o di fare un viaggio a Londra ma la risposta non deve essere quella di chiudersi dentro casa ma di fare come a Manchester, di nuovo 50.000 persone insieme a dire che abbiamo fiducia e crediamo nella libertà. Viviamo in un presente dilatato su base planetaria. Qualsiasi cosa accada  in qualche parte del mondo lo sappiamo subito, dalle bombe a Kabul, ai morti di Londra sino al panico della folla di Torino. Sono storie diverse ma collegate tramite le informazioni di cui siamo costantemente e in tempo reale soverchiati. Questo vortice continuo di notizie ha reso più piccolo il mondo nella nostra percezione, perché questa condivisione immediata riduce le distanze geografiche e ci stimola a sentirci in pericolo. Gli attentati vogliono raggiungere questo obiettivo colpendo il nostro stile di vita, dalla libertà di uscire, andare ai concerti, divertirsi, andare a una partita o vederla in un piazza. La velocità dell’informazione è un’arma ulteriore di cui si servono i terroristi, poichè  sappiamo tutto l’istante dopo che è accaduto, senza essere stati preparati a mitigarne il contraccolpo sulla nostra mente. Per non sentirci schiacciati dal peso di queste notizie e dall’insicurezza che possono generare, dobbiamo allora imparare a rassicurare noi stessi e chi ci vive accanto. Non c’è, infatti, un modo preconfezionato di rispondere a queste tragedie e alle paure che ci sollecitano, dobbiamo continuare a fare quello cha abbiamo sempre fatto. Lo sport e la musica possono aiutare, perché sono condivisione di una passione e soddisfano nel profondo la voglia di stare insieme, di sentirsi uniti. Rappresentano, quindi, un antidoto a quella tensione inespressa vissuta sotto pelle, che si accumula ogni giorno se non viene sciolta nella pratica d’interessi che uniscono, che fanno provare emozioni condivise e che arricchiscono la nostra esistenza. Dobbiamo continuare a diffondere la cultura in tutte le sue forme da quella sportiva a quella musicale a quella artistica. Come singole persone siamo i depositari della nostra cultura che si deve poter manifestare in libertà, non dimentichiamocelo quando penseremo se andare a una partita, se partecipare a una gara podistica o permettere ai nostri figli di andare a un concerto.

Il panico dell’Inter

In inglese dicono “from hero to zero”, da eroe a nulla. Questo è l’insegnamento che ci viene in queste settimane dall’Inter. Cosa è successo? Il lavoro dei giocatori non dovrebbe essere solo quello di perseguire l’eccellenza ma anche di non distruggersi quando le partite prendono una brutta piega. La squadra dovrebbe avere un piano A per quando si gioca bene ma anche un piano B a cui ricorrere quando si è in difficoltà. In mancanza del piano B è facile andare nel panico perchè l’immagine di squadra campione non corrisponde a come si sta giocando in quel momento e non si sa come reagire. Se fossero alpinisti sarebbero tutti morti, perchè non avrebbero considerato che non sono in forma come squadra e avrebbero affrontato le difficoltà della salita come se lo fossero. Lottare viene prima della tattica. L’allenatore della nazionale di basket, Pianigiani, ai suoi giocatori che avevano sul campo un atteggiamento simile, durante il time out disse “ci vuole un po’ di dignità, nessuno fa un salto, facciamo a cazzotti almeno, ma che cazzo c’avete dentro.” Bisognerebbe chiederlo anche all’Inter.

Attacchi panico in mare

Intervista in TV a un allenatore di nuoto della nazionale sull’attacco di panico della Consiglio. Il giornalista chiede cosa bisogna fare e il tecnico risponde: “ritornare in acqua il prima possibile.” Complimenti per la risposta che avrebbe saputo dare anche mia nonna ma che purtroppo è quella sbagliata. Poichè la questione non è l’acqua ma risolvere questo problema solo psicologico insegnando all’atleta a ritrovare quella fiducia che in quei momenti non ha avuto. Gli attacchi di panico sono tipici in atleti di alto livello e nascono da un intreccio tra perfezionismo,  aspettative di risultati assoluti e stress da competizione. Che fare? Accettazione di queste emozioni, rilassamento e visualizzazioni di eventi positivi sono alla base di questo processo di miglioramento. Il dialogo continuo con se stessi è la costante che deve accompagnare questo processo. Quindi ricapitolando, per il medico “è solo un fatto psicologico” e per il tecnico “basta entrare in acqua”. Bocciati.

Nuoto e mente

Le notizie di oggi sul nuoto offrono molte idee sul rapporto che la mente ha con questo sport, solo apparentemente fatto di tecnica, forza e resistenza fisica. Ai mondiali sono state vinte due medaglie da atlete italiane (Cagnotto e Grimaldi) e questo è facile da commentare, tutto ha funzionato bene e la mente è servita a esaltare la loro abilità tecnica e la competitività. Peggio è andata a un’altra nuotatrice (Consiglio) nella 10km in mare aperto fermata da una crisi respiratoria dovuta a un attacco di panico mentre nuotava in mezzo al gruppo. Esperienza terribile, l’atleta è stata subito presa e fatta uscire dall’acqua. Ciò rivela la nostra fragilità, non basta essere nell’elite mondiale per evitare queste crisi … gli psicologi dovrebbero rifletterci e gli atleti dovrebbero essere più preparati a prevenirle. Sono espisodi che in forme diverse possono capitare a tutti quando si è in situazioni di competitività o in ambienti instabili. Terza esperienza, fra pochi giorni una nuotarice di 61 anni (Nyad) farà a nuoto da Cuba alla Florida 165km in mare aperto, senza alcuna protezione dagli squali. E’ una nuotarice professionista e vuole dimostrare che anche a questa età è possibile realizzare imprese di questo tipo. Non c’è ovviamente nessuna ragione per compiere imprese di questo tipo, le si fa semplicemente perchè si è spinti da una motivazione interiore. Dimostrano quanta forza mentale ci sia in noi se solo l’alleniamo che non appartiene solo ai giovani ma è dentro ognuno, basta volerla trovare. Leggi: http://diananyad.com/

Attacchi di panico

Lo sport di livello assoluto è un generatore di ansia e di timori che come sappiamo gli atleti devono imparare a gestire. Gli attacchi di panico sono tipici in atleti di alto livello (forse anche perchè trovano il coraggio di parlarne) sono un intreccio tra perfezionismo degli atleti, loro aspettative di risultati assoluti e stress connesso alla competizione. Che fare? Accettazione di queste emozioni, rilassamento e visualizzazioni di eventi positivi sono alla base di questo processo di miglioramento. Il dialogo continuo con se stessi è la costante che accompagnare questo processo.