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Barcellona: posizione, intensità e rapidità

Xavi è tornato a Barcellona con diverse ossessioni tecnico-tattiche, due su tutte: individuare l’uomo libero e ridurre al minimo le palle perse. Recuperando il gioco di posizione e il livello di intensità necessaria a riprendersi il pallone nel minor tempo possibile, Xavi ha schiantato il Real di Carlo Ancelotti che, se non fosse stato per le parate di Thibaut Courtois, sarebbe andato a dormire con un risultato ancora più pesante sulla coscienza: “Perché chiedevo ai ragazzi di correre anche quand’eravamo in vantaggio di quattro gol? Perché se è vero che oggi stavamo vincendo 4-0, è altrettanto vero che quando saremo in vantaggio di una sola rete, per non perdere, dovremo continuare a correre e pressare, ad aiutare i terzini… Perdere una palla ci deve far imbufalire, a me dà molto fastidio quando succede. E se non siamo esigenti i risultati non arriveranno”.

Come spiegavo agli psicologi del Master di psicologia dello sport, una partita si gioca su alcuni fattori tecnico-tattici ma che hanno nel contempo un forte significato psicologico: posizione, intensità e rapidità.

Questo è ciò che Xavi ha allenato e chiesto di fare al Barcellona. Quante squadre italiane giocano con questo tipo di volontà?

10 regole di una mentalità orientata alla crescita

L’approccio sbagliato alla partita nel calcio

Nel nostro campionato di calcio, emerge chiaramente che un problema che condiziona il gioco della squadre e, quindi, il risultato è l’incapacità di mantenere uno standard di continuità di gioco. Anche questa settimana, abbiamo sentito dire da Inzaghi, allenatore dell’Inter, che la squadra era entrata in campo per giocare la partita con il Torino con la mentalità sbagliata. Significa iniziare una gara con superficialità nella speranza che prima o poi un goal avrebbe deciso la partita a loro favore.
Mentalità sbagliata significa condurre un riscaldamento giusto per non farsi male,  avere la mente occupata anche da altri pensieri che non riguardano il gioco o assentarsi da ciò che avviene in campo.
Quando questo approccio pigro colpisce una squadra è molto difficile modificarlo durante lo svolgimento del gioco: all’inizio domina la presunzione che il risultato cambierà a loro favore, quasi fosse scontato, mentre alla fine può subentrare uno stato di apatia con un gioco quasi fermo o di parossismo agonistico, dominato da uno sterile agonismo.
E’ un problema che ha avuto la Juventus nelle prime partite di campionato, in modo più evidente, e che è stato grave tanto da compromettere l’intero campionato. Le altre squadre pretendenti al titolo lo hanno manifestato maggiormente in questa seconda fase della stagione con una serie di inutili pareggi con squadre di livello inferiore.
Sono questi punti persi che decideranno il campionato, fatto salva la possibilità di crolli o ritorni clamorosi e che comunque ci daranno sempre una dimostrazione della mentalità di squadra.

La mentalità del “Tutto bene”

Vi sono atleti che non hanno difficoltà a comprendere che l’allenamento mentale è un impegno quotidiano. Spesso dicono: “Tutto bene”.

Tutto bene era la frase che da giovane scrivevo a mia madre quando d’estate le spedivo le cartoline, era un modo secondo me per tranquillizzarla. Ovviamente lei pensava che non volessi dire realmente come stavo e aveva ragione.

Com’è andato l’allenamento: “Tutto bene”. Impariamo qualcosa da questa frase su come è andata quella seduta? Sì, che l’atleta non è consapevole di quello che ha fatto o più banalmente che non vuole parlarne.

Quando la risposta si riferisce ad aspetti psicologici dell’allenamento vuole intendere che: “Ho fatto quello che mi ha detto l’allenatore e mi sono impegnato a fare del mio meglio”. Questa risposta apparentemente positiva, esclude ogni informazione riguardante come ho fatto gli esercizi, come ho affrontato gli errori, come mi sono corretto e così via. In altre parole, la risposta dell’atleta è di tipo globale ma non fornisce informazioni specifiche sullo svolgimento dell’allenamento. Non sappiamo, ad esempio, se vi sono stati cali di concentrazione o se l’attività è stata svolta con il livello d’intensità necessario.

Impariamo, in primis noi stessi, a non usare questi due termini “Tutto bene” e insegnamo agli atleti a essere specifici e a non rifugiarsi in questo approccio rassicurante.

 

Essere concentrati sulla prestazione e non sul risultato

Spesso mi chiedo se non sia ripetitivo continuare a parlare che bisogna pensare al gioco o alla prestazione piuttosto che pensare al risultato finale. Ciò nonostante mi trovo a ancora parlare di questo argomento con i giovani con cui lavoro, per la ragione che sono loro stessi a riproporlo. Qualcuno dice: “Penso sempre al risultato della partita, già dal giorno prima così divento teso e nervoso e questo non mi serve” o anche “Penso alla gara più importante anche se è fra un mese e non a quelle che vengono prima”. Un tennista mi ha detto: “Prima pensavo sempre al punto, ora penso di più a spingere”.

Diciamo pure che in massima parte gli atleti non sono allenati a pensare alla prestazione, che riguarda i comportamenti da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi di risultato (vincere, fare il proprio tempo migliore, entrare in finale) bensì pensano con più facilità del risultato delle loro azioni, ho vinto/perso.

Molti giovani continuano a pensare che il risultato debba essere il loro pensiero principale.

Bisogna essere consapevoli che l’errore è sempre tecnico, se un tiro nel calcio va fuori anziché in porta vuol dire che si è colpita male la palla, ma questo è solo l’effetto, la questione a cui l’atleta e l’allenatore devono rispondere è:

l’errore è tecnico perchè il giovane ha provato un tiro che non possiede ancora completamente a causa di qualche limite tecnico.

l’errore è mentale perchè doveva passare la palla , dato che da quella posizione non avrebbe mai centrato la porta

Lo stesso errore può avere cause attribuibili a diversi fattori, se l’allenatore continuamente mette l’accento solo sulla tecnica o sulla tattica, l’atleta svilupperà una mentalità in cui ogni errore è sempre tecnico e quindi mai penserà ad allenare la mentalità.

 

I vincoli di oggi possono aprirci la mente?

Leggiamo queste informazioni provando a pensare se i vincoli che viviamo oggi possono servire ad aprirci la mente e incanalare la nostra creatività.

Ravi Mehta, Meng Zhu, Creating When You Have Less: The Impact of Resource Scarcity on Product Use Creativity, Journal of Consumer Research, 42(5), 2016, 767–782.

Man mano che diventiamo una società più abbondante, i nostri livelli medi di creatività diminuiscono?

I risultati di recenti ricerche sostengono questa ipotesi. In accordo con la nostra linea di ragionamento, l’analisi dei dati sui risultati dei Torrance Tests of Creative Thinking negli ultimi cinque decenni indica che, nonostante l’aumento dei punteggi del QI, i punteggi del pensiero creativo sono diminuiti in modo significativo dal 1990, soprattutto per gli studenti della scuola materna sino gli studenti della terza elementare (Kim 2011).

Diverse linee di ricerca suggeriscono una possibile correlazione negativa tra disponibilità di risorse e creatività e gli storici hanno suggerito una relazione negativa tra sovraconsumo e innovazione.
I risultati mettono in evidenza che:

  • Il materialismo mostra che alti livelli di valori materiali sono associati negativamente allo sviluppo intellettuale e spirituale degli individui.
  • Il consumo e la società sostengono che la creatività è incompatibile con la ripetitività della moderna produzione di massa, che sta spostando la cultura da intellettualmente impegnativa a una che è affannosa, familiare e divertente.
  • I paradossi della tecnologia suggeriscono che mentre l’innovazione e la tecnologia forniscono vari benefici come la libertà, il controllo e l’efficienza, potrebbero anche usurpare la motivazione e le competenze umane, portando alla dipendenza, all’inettitudine e al disimpegno.

Mindset and focus

Bisogna unire questi due aspetti.

La mentalità rigida della squadra causa sconfitte

Il problema più grave per una squadra e per un atleta è quello di pensare di essere bravo.

Questa convinzione mette immediatamente le persone in una condizione di maggior soddisfazione e alimenta l’aspettativa che  tutto andrà bene così come loro si aspettano, quindi vinceremo.

Sentirsi in forma e avere la consapevolezza delle proprie capacità personali e di squadra è certamente importante. Spesso le squadre pensano che questa condizione sia sufficiente per ottenere il successo. Non capiscono che è necessaria ma non sufficiente.

Per giocare ad alto livello, bisogna avere le capacità di una squadra di alto livello. Poi bisogna dimostrarlo sul campo.

Arrigo Sacchi dice che la motivazione deve essere eccezionale, perchè su questa base il calciatore è continuamente impegnato a migliorarsi. Questo è ciò che Carol Dweck ha chiamato una mentalità orientata alla crescita. Chi non la dimostra è destinato ad avere come dicono gli allenatori dei blocchi mentali. In altri termini, questi giocatori hanno una mentalità rigida che li porta a pensare che il loro talento e la forma fisica di quel momento siano sufficienti per essere efficaci nel proprio lavoro.

Errore grave grave, equivale per uno studente a scrivere squola o quore con la q. Entreranno in campo privi della motivazione di giocare al meglio delle loro capacità. Entreranno, invece, con la convinzione che giocheranno bene così in modo spontaneo, e di fronte alle difficoltà del match non saranno pronti ad adattarsi, poiché non lo avevano previsto.

E’ facile perdere la testa, basta ragionare in questo modo.

Corona virus e mentalità: una battaglia persa

Ora comincia la fase dell’autocontrollo. C’è stato un caso di covid in un torneo internazionale di golf, lo stesso è accaduto ad Adria nel torneo promosso da Djokovic, dove un finalista è risultato positivo. Nel calcio ci sarà un quarantena blanda nel caso in cui il virus colpisse un calciatore o altri membri della squadra. Segnali piccoli ma negativi, che ci spingono a vivere in apnea, come in attesa.

Segnali sempre di segno negativo e più rilevanti vengono dall’Italia. Vi sono dati statistici che dicono che il numero dei positivi non sta scendendo come previsto, probabilmente a cause di comportamenti inadeguati di parte della popolazione. E ciò aumenterebbe la probabilità di una seconda ondata in autunno. Secondo una ricerca condotta dall’Università Cattolica il 41% degli italiani non sembra disposto a vaccinarsi contro il Covid. Al momento solo pochi milioni di persone di persone hanno scaricato l’App Immuni. Sono soprattutto le persone tra 35 e 59 anni (con il 48%) a dichiarare di non volersi vaccinare, si tratta anche di un gruppo trasversale in relazione alle professioni che unisce operai e imprenditori, dipendenti e professionisti. Sono accomunati da un profilo psicologico in cui prevale un atteggiamento “fatalista”, “individualista ed egoista” e che non percepiscono il valore della responsabilità sociale. La ricerca ha messo in evidenza che rispetto a marzo, è diminuito l’autocontrollo della popolazione a rispettare le regole, sono aumentati i comportamenti disfunzionali ed è diminuita la disponibilità emotiva a continuare a rispettarle.

Pertanto, queste persone mostrano una difficoltà a integrare il ritorno alla normalità nell’ambito di regole che non siano quelle abituali ma che implicano la consapevolezza del ruolo sociale di ognuno nei riguardi della gestione della propria salute e la responsabilità verso la comunità in cui si vive. Questi atteggiamenti disfunzionali sono quelli usuali che le persone utilizzano per giustificare a se stessi comportamenti che in modo evidente sono negativi per la loro salute, basta pensare ai problemi legati al fumo, all’alimentazione e alla sedentarietà, solo per ricordare quelli più comuni nella nostra società. L’approccio fatalista (“Non morirò certo io di tumore perché fumo” o “Tanto si deve morire di qualcosa”) e quello individualista (“Dicano quello che vogliono a me piace fumare” o “La vita è la mia e faccio quello che mi pare”) sono nemici della vita sociale e dell’autocontrollo personale. Ci troviamo di fronte, quindi, alle reazioni che le persone manifestano di fronte a quei problemi che richiedono soluzioni che si sviluppano nel lungo periodo e non si concludono in modo rapido. Non sono reazioni diverse da quelle che hanno utilizzato in passato ma sinora coinvolgevano prevalentemente solo se stessi. A questo approccio si deve aggiungere che accalcarsi in una piazza per divertirsi con gli amici produce immediatamente emozioni positive mentre rispettare le regole del distanziamento fisico per mantenersi in salute produrrà solo nel tempo un effetto positivo. In sostanza, questi comportamenti sono rinforzati dai benefici immediati che determinano e che superano i costi e le conseguenze nel tempo.

Serve un cambio di mentalità poiché ora è completamente diverso e le ricadute delle nostre azioni hanno effetto sulla salute degli altri con cui entriamo in contatto. La differenza risiede nella pandemia che coinvolge l’intera società, che ha messo a dura prova la vita quotidiana di tutti e continua ancora a cambiare le regole della convivenza sociale e del lavoro. Tutto ciò richiede una soluzione collettiva, che riduca drasticamente i comportamenti disfunzionali ed è tutto il paese che dovrà muoversi attivamente in questa direzione.

Mentalità