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L’errore è non correggersi

La frase di Confucio (551 a.C.-479 a.C.): “Sbagliare e non correggersi, questo si chiama sbagliare” sottolinea l’importanza di imparare dagli errori e dalle esperienze sbagliate. In altre parole, commettere un errore iniziale non è necessariamente un problema, ma persistere nell’errore senza apportare correzioni o apprendere dalla situazione è ciò che rende l’errore un problema.

Ecco alcune ragioni su cui riflettere:

  1. Apprendimento - Gli errori sono spesso una parte naturale del processo di apprendimento. Quando commettiamo un errore, abbiamo l’opportunità di capire cosa è andato storto e come possiamo evitarlo in futuro. Ignorare l’errore o non cercare di correggerlo significa perdere l’opportunità di apprendere e migliorare.
  2. Crescita personale -  Superare gli errori e correggere il proprio comportamento o le proprie azioni è un segno di maturità e crescita personale. Significa essere in grado di riconoscere quando si è in errore e avere la volontà di fare meglio la prossima volta.
  3. Successo - Nel mondo professionale e personale, il successo spesso dipende dalla capacità di adattarsi, migliorare e correggere gli errori. Le persone che non riescono a farlo possono trovarsi in situazioni difficili o inaspettate che potrebbero essere state evitate con un cambiamento di comportamento o di approccio.
  4. Relazioni interpersonali - Nelle relazioni con gli altri, accettare di sbagliare e correggersi è fondamentale per mantenere la fiducia e motivazione. Nascondere gli errori o volere a ogni avere ragione può danneggiare le relazioni e portare a conflitti più gravi.

In breve, l’errore è un aspetto abituale della condizione umana, e ciò che conta è come affrontiamo e cosa impariamo dagli errori. Non correggersi e persistere negli errori può avere conseguenze negative, mentre riconoscerli e impegnarsi a migliorarsi è un passo importante verso il successo e la crescita personale.

L’arbitro: un uomo solo con le sue insicurezze

Di nuovo un errore arbitrale a incidere negativamente sul risultato della partita. E’ accaduto in Milan-Spezia dove Serra per un presunto fallo di Bastoni ha fermato l’attacco di Rebic, che aveva servito Messias, il cui tiro sotto l’incrocio era andato a buon fine.

L’arbitro si è subito reso conto dell’errore clamoroso commesso ma ovviamente non ha potuto ritornare indietro. Questo fatto ci dimostra ancora una volta che talvolta sono gli arbitri a influenzare in modo rilevante il risultato della partita. La tecnologia aiuta ma non dispensa dagli errori, che nel calcio ci saranno sempre. Questo nuovo caso mette in evidenza una differenza sostanziale tra gli errori dei calciatori e quelli dell’arbitro. I primi hanno la squadra in cui rifugiarsi mentre il direttore di gara resta solo con il suo senso di colpa per avere commesso un errore, che non avrebbe dovuto avvenire. Tutti concordano nell’affermare che gli errori fanno parte del gioco ma questa convinzione non basta all’arbitro per uscire dall’angoscia che un errore grave determina. L’errore di Serra è come quello di Jorginho che sbaglia il rigore decisivo o del ginnasta che insegue la perfezione della sua prestazione senza riuscirci. Non si parla mai dell’arbitraggio della pallavolo o della pallacanestro, perché raramente le scelte del giudice di gara determinano il risultato finale, sono sport in cui si fanno punti in ogni minuto di gara e il valore delle sanzioni arbitrali incide meno sulla partita. Nel calcio è diverso. Il gol è un evento raro e il gioco è influenzato dalle ammonizioni, fatti importanti per quella partita e quella successiva.

Il calciatore il giorno dopo va al campo e ha i compagni e lo staff con cui condividere i suoi problemi. L’arbitro non ha nessuno, non ha compagni di squadra, ha un capo, il designatore che se da un lato lo può comprendere dall’altro è colui che decide le partite che arbitrerà e se è il caso di fermarlo per qualche turno di campionato. L’arbitro è solo a dover combattere con le insicurezze generate da una scelta sbagliata, e mi auguro che nella sua vita privata abbia persone con cui condividere i suoi sentimenti e i suoi timori, senza essere giudicato ma semplicemente accettato, perché gli errori sono parte di qualsiasi professione.

L’arbitro: un uomo solo con le sue insicurezze

Cos’è “l’errore” nello sport

Avete mai definito gli sport o quello che praticate in funzione degli errori?

Se si prova a farlo abbiamo sport in cui:

  1. l’errore si può sempre recuperare: tennis, tennis tavolo, i salti e i lanci in atletica
  2. l’errore non si può recuperare, a meno che non sbagli l’avversario: tiro a volo, arco, tiro a segno, golf, biathlon
  3. l’errore errore è catastrofico: sport di precisione, ginnastica artistica, tuffi, nuoto sincronizzato, discesa libera
  4. l’errore può mettere a rischio la vista stessa: sport motoristici, alpinismo, sci estremo, apnea
  5. l’errore è determinato dall’incapacità di tenere il passo dei vincenti: corsa, ciclismo su strada, marcia, canoa, canottaggio, sci di fondo, nuoto
  6. l’errore può essere compensato dai compagni: sport di squadra
Ognuna di questa categorie richiede un specifico programma di preparazione psicologica

 

 

 

Essere concentrati sulla prestazione e non sul risultato

Spesso mi chiedo se non sia ripetitivo continuare a parlare che bisogna pensare al gioco o alla prestazione piuttosto che pensare al risultato finale. Ciò nonostante mi trovo a ancora parlare di questo argomento con i giovani con cui lavoro, per la ragione che sono loro stessi a riproporlo. Qualcuno dice: “Penso sempre al risultato della partita, già dal giorno prima così divento teso e nervoso e questo non mi serve” o anche “Penso alla gara più importante anche se è fra un mese e non a quelle che vengono prima”. Un tennista mi ha detto: “Prima pensavo sempre al punto, ora penso di più a spingere”.

Diciamo pure che in massima parte gli atleti non sono allenati a pensare alla prestazione, che riguarda i comportamenti da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi di risultato (vincere, fare il proprio tempo migliore, entrare in finale) bensì pensano con più facilità del risultato delle loro azioni, ho vinto/perso.

Molti giovani continuano a pensare che il risultato debba essere il loro pensiero principale.

Bisogna essere consapevoli che l’errore è sempre tecnico, se un tiro nel calcio va fuori anziché in porta vuol dire che si è colpita male la palla, ma questo è solo l’effetto, la questione a cui l’atleta e l’allenatore devono rispondere è:

l’errore è tecnico perchè il giovane ha provato un tiro che non possiede ancora completamente a causa di qualche limite tecnico.

l’errore è mentale perchè doveva passare la palla , dato che da quella posizione non avrebbe mai centrato la porta

Lo stesso errore può avere cause attribuibili a diversi fattori, se l’allenatore continuamente mette l’accento solo sulla tecnica o sulla tattica, l’atleta svilupperà una mentalità in cui ogni errore è sempre tecnico e quindi mai penserà ad allenare la mentalità.

 

Allenare emotivamente i giovani

Simeone, l’allenatore dell’Atletico Madrid, dopo la finale di Champions League persa ha detto che “si può vincere perdendo se dai tutto te stesso”. E’ un concetto chiave per lo sviluppo di un atleta e dovrebbe venire insegnato sino dal primo giorno che un bambino o una una bambino entrano iniziano uno sport. Al contrario si vedono giovani che appena commesso un errore si arrabbiano con se stessi o si deprimono. Sappiamo che ciò succede per la congiunzione di motivi diversi: i genitori sono distratti e non danno molto peso a questi comportamenti, gli allenatori sono più concentrati a insegnare la tecnica piuttosto che a allenare emotivamente gli atleti e i giovani stessi pure non sono bravi a esprimere le loro emozioni e a prendersi cura dei loro stessi in modo positivo. E così osservo quotidianamente tennisti che sbattono la racchetta a terra do po un errore alternano stati d’animo di rabbia e depressione contro di sé o in altri sport in cui fatto un errore ne ripetono altri perché si fanno dominare dalla frustrazione.  Per cambiare questo modo di vivere le sconfitte e gli errori servono genitori e allenatori più consapevoli del loro ruolo di allenatori emotivi e della necessità di lavorare con i loro figli e atleti a modificare questi comportamenti. Non bisogna imporre di certo imporre le nostre soluzioni di adulti ai loro problemi. Bisogna invece ascoltare in modo empatico e non per giudicare, così  che si sentano sostenuti e rispettati nei loro stati d’animo. Solo dopo questa fase si dovrebbe iniziare a parlare di cosa si potrebbe fare di diverso, dando tempo ai ragazzi di esprimere le loro idee e a noi di esprimere le nostre. Agire in questo modo richiede tempo e spesso è per questa ragione che gli adulti non seguono questa strada. Bisogna però essere consapevoli che se si agisce spesso in questa maniera i giovani cominceranno a pensare che le loro reazioni non interessano a genitori e allenatori e peggio ancora continueranno a comportarsi con se stessi in modo negativo. Se vogliamo che i nostri ragazzi sviluppino l’abilità di gestire con efficacia e soddisfazione i loro stress quotidiani dobbiamo spendere del tempo a insegnare loro come comportarsi, sentire e pensare in quei momenti.

Sapere recuperare la concentrazione

Molti atleti sanno restare concentrati anche per un periodo lungo, ma appena commettono un errore hanno difficoltà a ri-concentrarsi su quanto devono fare. Questo accade in tutti gli sport. Auguro a chi sta per iniziare una nuova stagione agonistica di condurre allenamenti che abbiano l’obiettivo di migliorare questa abilità a rifocalizzarsi dopo un errore.

La gestione dell’errore

La competenze nella gestione degli errori è l’arma vincente degli atleti. Tutti gli atleti hanno difficoltà ad accettare l’errore e la loro abilità nel guidarsi in questi momenti determina la differenza fra coloro che forniscono prestazioni ottimali e gli altri. Commettere un errore non è mai un problema, è un fenomeno ricorrente, si potrebbe dire fisiologico della prestazione sportiva. La differenza si determina nella reazione, chi è in grado di accettarlo e di ri-focalizzarsi sulla prestazione successiva scava un abisso tra sé e gli avversari. Pertanto gli psicologi non si devono preoccupare degli errori ma piuttosto di come si comportano gli atleti subito dopo. Prendersi cura di questi aspetti è solo apparentemente facile poichè l’atleta è veramente un blade runner. Bisogna capire e sapere come intervenire e non basta solo il semplice utilizzo di una tecnica psicologica, vi è qualcosa di più e di cui parleremo in una prossima occasione

L’errore quando si gioca bene

Un errore tipico degli atleti e che ultimamente ho dovuto affrontare più volte, riguarda le aspettative generate durante la competizione dallo stare fornendo una buona o anche ottima prestazione, ma che a un certo punto, nella sua fase finale, invece, comincia a deteriorarsi sino a diventare insufficiente. Si può sintetizzare così: “sto facendo bene e poi apparentemente quasi di colpo ho fatto male e non mi sono più ripreso”. Questo risultato evidenzia la difficoltà a controllare le aspettative di concludere così come si è cominciato, si pensa che dovrà succedere proprio in questo modo e poi al primo errore si entra in uno stato mentale d’incredulità per l’errore commesso, incrementando la tensione in modo disfunzionale alla prestazione. Che fare. Il primo passo consiste nello spiegare a questi atleti che trovarsi in difficoltà è un fatto fisiologico e che soprattutto quando si sta facendo bene la pressione su di sè cresce e questa, se non controllata, aumenta di molto la probabilità di sbagliare. Si può fare molto, ma questo è il tema di una prossima volta.

Non dare nulla per scontato

Nello sport l’errore è sempre in agguato. Frase scontata solo all’apparenza perchè altrimenti non ci stupiremmo quando le cose non vanno come avrebbero dovuto. L’Inter, è una squadra fortissima e vincente ma in questo momento non lo è più. La Ferrari: errore banale e perde il mondiale. La nazionale di pallavolo femminile ai mondiali non ha funzionato. Non si vuole analizzare le cause ma sottolineare che non è scontato ripetersi: “Abbiamo vinto e allora vinceremo un’altra volta.” E’ molto più probabile l’opposto: “Giacchè abbiamo vinto, non vinceremo”, perchè può essere che non si abbia più voglia di vincere o di continuare a fare gli stessi sacrifici. Perchè i giocatori sono stanchi e meno motivati o perchè la sicurezza di raggiungere il risultato fa affrontare le situazioni con più superficialità. La presunzione è il punto debole dei forti, perchè non si ha più voglia di fare tutte quelle cose che non piacciono ma che sono necessarie per vincere.