Archivio mensile per febbraio, 2022

7 principi per lo sviluppo dei giovani atleti

E’ ormai scientificamente documentato che l’avviamento precoce a intraprendere una determinata disciplina ha degli effetti limitanti lo sviluppo dei bambini e delle bambine. Un documento dell’organizzazione mondiale degli psicologi dello sport, l’International Society of Sport Psychology, indica i 7 principi fondamentali sulla partecipazione all’attività sportiva che conducono a una pratica continuata nel tempo e allo sport di elite. 

  1. La diversificazione iniziale di sport non impedisce la partecipazione allo sport di elite negli sport in cui l’eccellenza è raggiunta dopo la maturazione.
  2. La diversificazione iniziale di sport è connessa a una più lunga carriera sportiva e svolge un’influenza positiva sul coinvolgimento sportivo a lungo termine.
  3. La diversificazione iniziale di sport permette la partecipazione in contesti differenti che più favorevolmente influenzano lo sviluppo positivo dei giovani.
  4. In questi anni un’elevata quantità di tempo di gioco costruisce un solido fondamento per la motivazione intrinseca, ciò attraverso il coinvolgimento in attività che sono piacevoli e che promuovono l’auto-regolazione.
  5. In questi anni un’elevata quantità di tempo di gioco determina l’acquisizione di una quantità di esperienze motorie e cognitive che i bambini porteranno con sé nello sport di loro principale interesse.
  6. All’età di 13 anni i bambini dovrebbero avere la possibilità di scegliere di specializzarsi nello loro sport favorito o di continuare nello sport a livello ricreativo.
  7. Nella tarda adolescenza (16 anni circa) dovranno avere sviluppato le abilità fisiche, cognitive, sociali, emotive e motorie necessarie per investire i loro sforzi nell’allenamento altamente specializzato di uno sport.

Partendo da questi dati le Federazioni e le Società Sportive dovrebbero prendere atto che il loro modo d’intendere l’attività sportiva giovanile deve essere totalmente rivisto. Infatti, i giovani sino a 13 anni dovrebbero praticare più sport diversi e solo a partire da questo periodo dovrebbero sceglierne uno. Come evidenzia l’International Society of Sport Psychology, i benefici di questo approccio sarebbero per tutti, sia che vogliano orientarsi verso la carriera agonistica e sia per chi invece sceglierà di continuare con un’attività sportiva ricreativa.

John Landy a 91 anni è morto: duellò con Bannister per essere il primo uomo a correre il miglio sotto quattro minuti

John Landy, un podista australiano che ha duellato con Roger Bannister per essere la prima persona a correre un miglio sotto i quattro minuti, è morto. Aveva 91 anni. La famiglia di Landy ha detto sabato che l’ex atleta, che è anche diventato governatore dello stato australiano di Victoria, è morto nella sua casa di Castlemaine dopo una lunga battaglia con il morbo di Parkinson.

“Papà è morto pacificamente giovedì, circondato da ciò che amava di più: la sua famiglia e il bush australiano”, ha detto il figlio di Landy, Matthew Landy. “Ci mancherà molto. Non era solo un marito meraviglioso, ma un padre meraviglioso e ha vissuto una vita meravigliosa”.
Landy ha iniziato a correre a livello agonistico per aiutarlo a mettersi in forma per giocare a football australiano, diventando serio solo dopo aver costruito una squadra statale di atletica leggera nel 1951.
Più tardi avrebbe fatto notizia in tutto il mondo quando gareggiò con l’inglese Bannister per diventare il primo uomo a correre sotto i quattro minuti per il miglio. Bannister fu il primo a realizzare l’impresa, con un tempo di 3 minuti e 59,4 secondi a Oxford, in Inghilterra, il 6 maggio 1954. Meno di due mesi dopo, in Finlandia, Landy migliorò il record mondiale di Bannister correndo il miglio in 3:57.90.

 

 

Perchè gli allenatori non parlano di scudetto? Per superstizione?

Gli allenatori non parlano volentieri di scudetto, possono lasciare intendere che questo è l’obiettivo ma subito dopo smentiscono questa interpretazione con battute o spostando l’attenzione sul presente e, quindi, sulla prossima partita. Lo sport, in questo caso il calcio, è un’attività in cui si vivono forti emozioni, che vanno controllate smussando le aspettative troppo entusiaste, per evitare che diventino un peso insostenibile per la squadra. Non a caso le recenti partite delle squadre che guidano il campionato, Napoli, Inter e Milan, sono lì a dimostrarlo. Appena hanno capito che avrebbero potuto avvantaggiarsi sulle avversarie sono arrivati una serie di pareggi che hanno mantenuto la situazione in parità. Ad eccezione di Lazio-Napoli, nelle altre partite compresi anche i turni precedenti si è giocato anche con grande impegno però per non perdere, non certo per vincere.

Per le squadre che da tempo non vincono il campionato, le aspettative sono il killer delle prestazioni vincenti. Perchè con facilità diventano un moltiplicatore di ansia generata dall’idea di dovere vincere a ogni costo. Questo approccio, se non viene gestito in modo efficace porta con più facilità a perdere questa opportunità. In altri termini, se l’allenatore cominciasse a parlare apertamente di scudetto creerebbe uno stato di tensione tale nella squadra, per cui è meglio avere solo l’obiettivo di giocare la partita seguente. Inoltre, vi è un altro beneficio collegato a questo modo di pensare: non si rischia di essere delusi in modo profondo. Perdere una partita spiace ma la prossima permette di cancellare subito questo stato d’animo. Se si perde lo scudetto, dopo averlo sognato, si rischia di cadere in depressione e di sviluppare un’idea negativa della squadra.

Di conseguenza gli allenatori devono lavorare per controllare la propria irrazionalità e quella della squadra capendo che per vincere è necessario restare all’interno di ogni singola partita e nulla di più, cosicché tutto resta limitato a 90 minuti. In altre squadre, invece, sin dall’inizio del campionato si può spingere l’acceleratore sull’obiettivo finale: “Vinciamo ogni partita così vinceremo lo scudetto”. Quest’ultima filosofia è la condizione abituale delle squadre che sono abituate a vincere e per le quali l’obiettivo della loro partecipazione a un torneo o al campionato è quello di vincerlo. Giampiero Boniperti, presidente della Juventus, lo diceva già negli anni ’70: “Vincere è l’unica cosa che conta”. Bisognerebbe insegnare alle squadre e ai singoli calciatori a essere felici di vivere situazioni così emozionanti come quelle che affrontano chi lotta per un ottenere grande risultato, lo scudetto. Si avrebbero meno comportamenti irrazionali e superstiziosi e si giocherebbe con la consapevolezza che correndo dei rischi e mostrando una motivazione eccezionale si possono raggiungere traguardi ambiziosi.

Il continuo miglioramento come strategia vincente

Il coaching per affrontare le nuove sfide consiste  in un allenamento personalizzato, mirato a perfezionare al più alto livello le competenze  personali e a permettere ad ognuno di essere il migliore che può essere. Muoversi lungo un percorso di miglioramento continuo consente così di soddisfare l’esigenza delle organizzazioni di avere individui sempre più efficaci e pronti a rispondere ai cambiamenti.

Il coaching è un approccio al cambiamento personale che parte da un apprezzamento positivo della prestazioni professionali. Frasi come: “Non bisogna dormire sugli allori” o “Chi si ferma è perduto” esprimono il concetto che da sempre ogni leader ha ripetuto e cioè che solo un continuo rinnovamento potrà permettere di continuare a ripetere i successi ottenuti.

A questo proposito è molto calzante il parallelo tra il ruolo manageriale e quello dell’atleta di alto livello:

  • hanno in larga parte raggiunto gli obiettivi che si erano posti e perciò sono considerati persone di successo
  • si caratterizzano per l’energia e l’impegno che pongono nella loro attività
  • le loro competenze emergono in maniera decisiva proprio nelle situazioni di maggiore pressione competitiva o di maggior stress
  • sono convinti di essere in grado di affrontare la maggior parte delle situazioni o dei problemi in maniera efficace
  • si assumono la responsabilità dei risultati delle loro prestazioni
  • sono percepiti come affidabili e competenti
  • sono considerati dai più giovani come un modello da emulare
  • traggono il massimo della soddisfazione dal continuo rinnovarsi delle sfide che affrontano
  • sono orientati a trovare soluzioni
  • ricercano il contributo delle persone che li possono aiutare nel raggiungimento dei loro obiettivi

Non bisogna cadere nell’errore di credere che queste abilità siano facili da raggiungere o che questi individui non vivano dei momenti di difficoltà. Al contrario, queste competenze si ottengono attraverso un lavoro continuo, perseguito anche in quei giorni che sono frustranti e che sembrano non finire mai. Le sconfitte e gli insuccessi sono i momenti più duri e sofferti da metabolizzare ma vanno accettati come parte del gioco a cui si  è scelto di partecipare.

Individuare e sviluppare i giovani potenziali talenti

La Sfida Globale

L’abilità a fornire prestazioni di alto livello, prendere decisioni adeguate e nei tempi richiesti, senza perdere di vista la visione globale e gli obiettivi a lungo termine sono competenze necessarie e critiche per i manager di oggi. Secondo La sfida più significativa che le organizzazioni si trovano a fronteggiare riguarda proprio l’identificazione, la selezione e lo sviluppo degli individui in grado di lavorare con successo a livello di management intermedio e senior.

Un Compito Arduo

In relazione alla pianificazione dello sviluppo delle carriere e del management le imprese si trovano spesso in difficoltà nel trovare individui che abbiano le competenze richieste a fornire prestazioni di valore assoluto in condizioni di pressione quali quelle del mercato attuale. Ciò è attribuibile a due ragioni principali: 1. i livelli di competitività odierna richiedono un notevole impegno e dedizione da parte dei manager e 2. le abilità richieste per eccellere nei ruoli tecnici e professionali sono molto diverse da quelle necessarie per avere successo in ruoli manageriali di alto livello. Non è pertanto semplice individuare e allenare individui che siano disponibili a coinvolgersi in modo intenso nel lavoro e che abbiano volontà e capacità di applicazioni tali da assumere ruoli sempre più complessi e decisionali.

Identificazione dei Giovani Potenziali Talenti

Per il sistema impresa italiano l’identificazione dei giovani potenziali talenti rappresenta un obiettivo strategico da perseguire per  competere con successo sul mercato globale. L’attività svolta in questi anni con atleti di valore mondiale e con aziende leader mi ha permesso di costruire, in collaborazione con l’Enhanced Performance Systems di Robert Nideffer, un sistema di identificazione dei giovani talenti fondato sull’uso di colloqui, questionari e osservazioni on the job. Sono state così rilevate le modalità di concentrazione e le competenze interpersonali richieste per ricoprire ruoli specifici ai differenti livelli di responsabilità.

Allenamento dei Giovani Potenziali Talenti

Identificati gli individui, si tratta di formulare un percorso che promuova le loro competenze e che riduca in maniera significativa le aree più critiche. E’ l’inizio di un vero e proprio allenamento che prevede il raggiungimento di determinati risultati professionali e comportamentali da cadenzare in accordo con i loro diretti responsabili. E’ un programma di lavoro organizzato su base annuale, durante il quale i giovani coinvolti dovranno perseguire gli obiettivi di miglioramento che si sono dati, verranno sostenuti  e si confronteranno con il consulente che li seguirà in questo processo e valutati dai loro diretti superiori.

 

Perchè un respiro profondo ci calma

E’ comune sentirsi dire: “Fai un bel respiro profondo per calmarti”. Ma pochi sanno realmente perchè questo semplice comportamento può veramente determinare una stato mentale e fisico di maggiore distensione e autocontrollo.

Più di 25 anni fa, è stato individuata una rete di  3.000 neuroni interconnessi all’interno del sistema cerebrale che sembrano controllare la maggior parte degli aspetti della respirazione, che è stata chiamata la pacemaker della respirazione.

Altri passi in avanti sono stati prodotti studiando le diverse proteine prodotte dai geni in ogni cellula evidenziando almeno 65 diversi tipi di neuroni nel pacemaker, ognuno presumibilmente con una responsabilità unica per regolare qualche aspetto della respirazione.

Su Nature è stato pubblicata una ricerca che ha mostrato che se nei topi venivano inibiti determinati tipi di cellule questi perdevano la capacità di sospirare, Infatti, i topi, come le persone, sospirano normalmente ogni pochi minuti, anche se in modo inconsapevole.

Un’indagine successiva ha mostrato che disabilitando un altro tipo di neurone legato alla respirazione questi animali all’inizio continuavano a mantenere la capacità di sospirare, sbadigliare e respirazione normale. Però quando venivano messi sotto messi stress (ad esempio, cambiando di gabbia) non mostravano i comportamenti abituali di esplorazione e di annullamento rapido ma restavano calmi a pulirsi.

Esaminando il tessuto cerebrale dei topi si è scoperto che i particolari neuroni bloccati mostravano  collegamenti diretti con una porzione del cervello che è noto per essere coinvolto nei processi di eccitazione, che a sua volta invia segnali a diverse altre parti del cervello che determinano la sveglia, l’attenzione e, a volte, comportamenti ansiosi o frenetici. In questi topi, quest’area del cervello è rimasta tranquilla.

In sostanza, i neuroni il cui funzionamento era stato inibito di solito avrebbero prodotto un livello di attivazione elevato per avvisare che  qualcosa di potenzialmente preoccupante stava succedendo. Privato di questo meccanismo il topo ha manifestato comportamenti orientati alla tranquillità.

Nel caso delle persone l’esecuzione di respiri profondi svolgerebbe questo ruolo calmante inibendo l’attività dei neuroni che comunicano con il centro di eccitazione del cervello.

 

Sport a misura di ciascuno

Muoversi è una necessità vitale, lo è stato per migliaia di anni quando l’uomo doveva muoversi per procurarsi il cibo per vivere o per fare la guerra, continua ad essere un’impellenza biologica e psicologica per il neonato che cresce e si sviluppa proprio attraverso l’acquisizione della libertà di movimento. Sedentari, invece, si diventa tanto che superata la soglia dei 60 anni il livello di pratica sportiva degli italiani scende sotto il 10%. L’affermarsi dello sport nella nostra cultura non è solo legato alle passioni che suscitano le grandi sfide agonistiche dal campionato di calcio agli ori olimpici ma si fonda anche su alcune idee che sono ormai parte integrante del patrimonio di convinzioni delle persone.

La prima si riferisce all’idea che lo sport è benessere e la seconda che lo sport è educazione alla vita. Pertanto, se ci si muove per stare bene, ciascun individuo esprime con questa attività  il diritto di avere opportunità per fare movimento e fare sport. Proprio per soddisfare questa esigenza si è affermato lo sport per tutti diventando un modo di essere che coinvolge milioni di persone.

Quali sono dunque i bisogni a cui lo sport per tutti fornisce una risposta:

Il bisogno di movimento – Viviamo in una società che ci obbliga a condurre una vita sedentaria, camminare per andare a lavorare o giocare per strada sono attività quasi impensabili e si deve sopperire a questa riduzione di movimento spontaneo istituzionalizzando momenti della giornata da dedicare esclusivamente all’attività fisica/sportiva. Per molti individui è la scoperta che possono agire attivamente e positivamente sulle reazioni del proprio corpo e di quanto queste siano inscindibilmente collegate alla loro condizione psicologiche, in un rapporto di reciproca influenza.

Il bisogno di autorealizzazione – Nello sport per tutti sono presenti necessità di autorealizzazione molto diverse tra loro e, certamente non tutte positive.  Una delle forme dell’intelligenza è quella cinestesica e gli sportivi traggono un senso di valorizzazione personale dall’acquisizione di un livello elevato di maestria nello svolgimento della loro attività. Un’altra modalità di autorealizzazione  collegata, invece, allo sport per tutti consiste nel  mantenimento di una condizione di benessere psicofisico soddisfacente. Non sono invece accettabili come forme di valorizzazione positiva quelle di coloro che si servono di sostanze nocive alla salute  o abusano nell’uso di farmaci per migliorare il loro aspetto fisico o le loro prestazioni sportive.

Il bisogno di appartenenza – Per molti sportivi la ricerca del contatto sociale attraverso la pratica motoria rappresenta una delle motivazioni principali. Lo sport diventa sinonimo di attività svolta in gruppo. Un’attività su tutte: il podismo; la corsa è uno sport individuale che si svolge in gruppo, perché il bisogno di stare con gli amici o di farsene di nuovi e di condividere con questi la propria esperienza sportiva personale è una dimensione psicologica fondamentale, che accompagna tutte le fasi della vita umana.

Il bisogno di gioco e di avventura – Sport per tutti  significa sport a misura di ognuno, in cui la soggettività e l’esigenza del singolo prevalgono sulla regola del modello competitivo tradizionale. Questo perché lo sport per tutti lo si pratica per piacere personale e le regole del gioco le stabiliscono i partecipanti.  L’avventura può diventare quella della persona sedentaria che decide per la prima volta nella sua vita di vincere le proprie resistenze e di mettersi in movimento.

Il bisogno di vivere in un ambiente naturale – E’ sempre più avvertita l’esigenza di fare dell’attività fisica immersi nella natura sia essa quella di un parco cittadino o quella del mare, della montagna o della campagna. La ricerca di un contesto ambientale adeguato   s’inserisce nell’ambito di uno stile di vita fisicamente attivo, in cui la natura diventa il luogo per eccellenza dove muoversi, fosse anche solo per camminare chiacchierando con gli amici.

Sei in conflitto con il tuo corpo?

Volere cambiare per sentirsi più belli e più attraenti è un’esigenza legittima  di ogni individuo. Nella vita quotidiana truccarsi o farsi la barba sono attività svolte da centinaia di milioni di persone che testimoniamo del desiderio di prendersi cura di sé. Il non agire in questo determinerebbe al contrario una percezione di se stessi spiacevole. Quindi la ricerca della bellezza consiste nell’intraprendere azioni per piacersi di più, evitando o almeno riducendo in maniera significativa conflitti con il proprio corpo. Qual è il limite oltre il quale l’attenzione verso la propria persona diventa eccessiva se non addirittura patologica? Ecco un breve elenco di cosa non fare:

  1. Non mangiare perché si vuole sembrare una modella
  2. Non assumere farmaci o effettuare cure di qualsiasi genere per ridurre il peso al di fuori del controllo medico
  3. Non fare abuso di farmaci o di sostanze dopanti per migliorare la propria prestanza fisica
  4. Non affidarsi a ciarlatani, individui privi di un titolo di studio adeguato a svolgere l’attività in cui si decretano esperti
  5. Non accordare fiducia alle opinioni di chi dice di avere ottenuto dei risultati eccezionali, verificare sempre queste informazioni con persone competenti
  6. Non ammazzarsi di allenamento fisico solo per “fare un fisico di spiaggia”. Ci si può fare molto male e restare infortunati.
  7. Detestarsi perché si ha un fisico che non è perfetto e non essere consapevoli delle proprie qualità
  8. Non passare da una dieta all’altra, da un istruttore ad un altro, da un medico ad un altro, o da un’idea ad un’altra solo perché non si è contenti dei risultati raggiunti
  9. Non fare ciò che ha fatto il/la migliore amico/amica non è detto che vada per te o che corrisponda alle tue esigenze.
  10. In sintesi, non decidere con la testa d’altri, ascoltali e poi rifletti, parla con professionisti esperti, rifletti ancora e solo alla fine di questo percorso decidi e se non sei convinto: aspetta, prendendoti altro tempo prima decidere.

Come valutare la propria condizione fisica senza paura

Come avvicinarsi mentalmente agli esercizi di valutazione della propria condizione di forma fisica

Questa parte rappresenta l’inizio del lavoro fisico ed è fortemente influenzata dal proprio atteggiamento mentale. I test di valutazione rappresentano il primo passo del programma di allenamento e la condizione psicologica con cui si affrontano determina insieme alla condizione fisica i risultati che si otterranno. Pertanto è necessario che ci si avvicini a questa attività con un atteggiamento mentale che favorisca non solo la migliore espressione motoria di cui si è attualmente capaci ma che avvenga in maniera emotivamente piacevole. Un approccio psicologico negativo ai test può manifestarsi con i seguenti pensieri:

  1. Terrore nei riguardi delle tabelle – l’individuo con questo approccio fornisce una valutazione di se stesso negativa e auto-svalutante se non riesce a raggiungere sin dalla prima prova di valutazione il livello intermedio o discreto.
  2. Non ce la farò mai a migliorare – l’individuo con questo approccio non si ritiene in grado di migliorare. Si sente schiacciato sotto il peso di un’incapacità che lo schiaccerà comunque e, pertanto, non è neanche in grado di pensare di potere migliorare.
  3. Sono troppo vecchio o troppo grasso – questo approccio si differenzia dall’atteggiamento precedente perché l’individuo attribuisce a un fattore oggettivo, la sua età o il peso, l’impossibilità di migliorare.
  4. Mi vergogno del mio fisico – spesso questa idea limita l’azione di chi si avvicina ad un’attività prima ancora d’iniziarla.

Che fare quando sono presenti queste preoccupazioni. Una possibilità è di concentrasi sugli aspetti positivi che incrementano la motivazione a lasciarsi coinvolgere in questa attività. Un approccio positivo è caratterizzato nel modo seguente:

  1. Le tabelle rappresentano solo valori indicativi – Le tabelle rappresentano un sistema standardizzato che tengono in considerazione solo una variabili individuale – l’età – ed ignorano le altre. E forse possibile che un muratore e un impiegato abbiano gli stessi risultati a seguito della prima prova di valutazione? Certamente che no!
  2. Costruisco la mia tabella – E’ positivo servirsi della prima prova per stabilire quale sia il proprio livello di base attuale e partire da questo risultato per costruire livelli migliori di forma fisica.
  3. Miglioro con l’allenamento – bisogna essere consapevoli che quale che sia il livello di forma fisica di partenza, l’attività fisica svolta seguendo un programma determinerà un miglioramento che produrrà benessere.
  4. L’esercizio fisico è per me è piacevole e importante – prima dell’inizio dell’allenamento è importante che la persona consideri ciò che sta per fare come importante e positivo da imparare.

I numeri negativi dello sport fra i giovani

Per capire perchè dopo la pandemia lo sport va finanziato, ricordiamo a chi può decidere la nostra situazione negativa.

Da ISTAT:

  1. Quasi 2 milioni di bambini e ragazzi non praticano sport né attività fisica.
  2. 2017-2018 sono circa 5 milioni 30 mila i ragazzi di 3-17 anni che praticano nel tempo libero uno o più sport (59,4%). Il 52,5% lo fa con continuità e il 6,9% saltuariamente..
  3. I giovani che non praticano alcuno sport o attività fisica nel tempo libero sono, invece, un milione 925 mila, pari al 22,7% della popolazione di 3-17 anni.
  4. Tale quota è particolarmente elevata tra i bambini di 3-5 anni (46,1%).
  5. Nord-Sud: fatta eccezione per la Sardegna, nella maggior parte delle regioni meridionali e insulari più di un ragazzo su quattro non pratica sport né attività fisica. Viceversa, le percentuali più elevate si rilevano nella Provincia Autonoma di Bolzano (74,5%), in Friuli-Venezia Giulia (73,2%), Valle d’Aosta (72,6%) e Liguria (71,6%) (Tavola 6).
  6.  Titolo di studio dei genitori e risorse economiche della famiglia. I ragazzi che vivono in famiglie con status socioculturale più basso presentano i livelli più elevati di sedentarietà: il 32,1% di quanti vivono in famiglie i cui genitori hanno al massimo la scuola dell’obbligo contro il 12,9% di chi vive in famiglie in cui almeno un genitore è laureato.
  7. Relazione tra l’inattività fisica dei figli e quella dei genitori. I giovani i cui genitori dichiarano di non praticare sport né attività fisica hanno uno stile di vita sedentario: 47,9% se entrambi genitori sono sedentari contro 9,8% se nessuno dei genitori lo è.