Archivio mensile per ottobre, 2021

Quanti modi per dire: ti licenzio

Il tema del mandare via un allenatore avviene di solito nei modi meno corretti che si possa immaginare e quello di Koeman con il Barcellona è solo l’ultimo di una lunga serie che Furio Zara riassume con molti altri esempi nel suo articolo su Repubblica.it.

Questi esempi mi hanno fatto venire in mente tutte le volte che mi sono trovato in questa situazione. Nel lavoro di consulenza succede di essere mandati via o di non vedere confermato precedente. Raramente mi è successo che qualcuno mi spiegasse la ragione. Normalmente succede che quando chiami non trovi più il tuo interlocutore, è assente o occupato, e poi qualcuno ti dirà che non lavori più per loro. Questo è l’approccio più frequente che ho vissuto con le federazioni. In altre situazioni i nuovi dirigenti mi chiesero di raccontare qual era stato il mio lavoro in quegli anni. La risposta fu “faceva veramente tutte queste cose? Le faremo sapere”. Ovviamente non successe. Altre volte la spiegazione riguarda il rifiuto degli allenatori di lavorare con uno psicologo o viceversa i tecnici lo propongono ma i dirigenti negano questa collaborazione.

Fare il consulente comporta anche questa capacità di reagire positivamente ai rifiuti e a continuare a promuovere il proprio lavoro. Ci vuole tempo a capire che queste non mettono discussione le capacità professionali ma il più delle volte sono solo risposte politiche o difesa di spazi che non sin fare occupare da un altro professionista.

Se per l’atleta è indispensabile rispondere in modo costruttivo agli errori, per il consulente è altrettanto decisivo rispondere a queste difficoltà e rifiuti mantenendo inalterata la propria capacità propositiva.

 

Un principio dimenticato: prima l’impegno e poi il risultato

Spesso i giovani si spiegano le sconfitte in termini di mancanza di capacità. Nella mia esperienza con loro incontro di frequente valutazioni di questo tipo, soprattutto da parte di chi investe molto nello sport fra i 14-18 anni.

Sappiamo dalla ricerca di Seligman e della Dweck che questo tipo di attribuzioni sono pervasive e danneggiano a lungo andare la fiducia che la persona ha di sé.

Sono convinto che l’intervento con loro, e comunque con i giovani, sia di aiutarli ad acquisire una valutazione delle prestazioni che abbia come obiettivo lo sviluppo della persona e non l’incremento del pessimismo verso se stessi, con tutte le implicazioni psicologiche negative che questo comporta.

Questa mentalità negativa è stata appresa da genitori e allenatori troppo centrati sul risultato e molto meno sullo sviluppo della prestazione.

  • Quando si focalizza l’allenamento sull’attenzione rivolta al compito, gli errori sono interpretati come occasioni di apprendimento.
  • Quando si focalizza l’allenamento in prevalenza sul risultato, gli errori sono una la prova dell’incapacità del giovane e della sua lentezza a imparare.

Premiare prima l’impegno e poi il risultato. E non viceversa. Sto parlando dell’ABC dell’insegnamento ma se oggi incontriamo molti giovani atleti/e che non ragionano in questo modo, vuol dire, almeno secondo me, che non sono stati allenati con questo approccio.

 

 

Disabilità intellettiva e calcio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’era digitale perdiamo la profondità dei pensieri

Suggerisco di leggere questo pensiero di Italo Calvino espresso nelle Lezioni americane più di trenta anni fa.

“Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva … che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime … a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro dello parole con nuove circostanza”. 

Come si manifesta la forza conoscitiva del pensiero nella nostra vita quotidiana?

Attraverso le parole che ci permettono di esprimere le nostre idee e stati emotivi. Se le parole saranno ben organizzate in un linguaggio specifico potremmo essere capiti dagli altri interlocutori. I social e il tempo via via crescente cha a essi dedichiamo, proprio per la semplicità che richiedono riducono la capacità espressiva dei nostri pensieri, poiché sono costretti a semplificarsi e a diventare superficiali per potere essere condivisi e accrescere i nostri follower. La ripetitività nel tempo di questo modo di comunicare determinerà la riduzione della profondità dei nostri pensieri.

La salvezza a questo ridimensionamento mentale degli esseri umani può essere solo dato dallo studio e dalla lettura dei romanzi.

Riflettiamo.

Valentino Rossi: una storia eccezionale dei nostri giorni

Nella storia dello sport i vincitori seriali non sono numerosi. Sono, infatti, coloro che forniscono prestazioni eccezionali, che sono per definizione degli eventi rari. Loro in barba a questa regola hanno performato in questo modo molto spesso. Valentino Rossi appartiene a questa schiera esigua di atleti. La sua è una storia da ricordare e da insegnare non certo per diffondere un’idea di super-uomo ma per spiegare come sia possibile percorrere questa squadra e uscirne vittoriosi. Le persone emergono per le proprie doti.

Lo ha già detto Aristotele quando scrive che “se vi è qualcuno che tanto emerga per l’eccellenza delle sue doti, che le doti di tutti gli altri non siano comparabili alle sue, costui non può più essere considerato parte della polis: è infatti evidente ch’egli è come un dio fra gli uomini”. Spesso si favoleggia in relazione a queste doti e a un giovane che corre in moto è facile attribuire i suoi risultati alla mancanza di paura e al piacere per il rischio. Quando poi si scopre che non è vero che chi non ha paura vince più degli altri, allora è facile restare a corto di spiegazioni e rifugiarsi nel più comodo “quel ragazzo ha qualcosa in più”.

Cosa differenzia Valentino Rossi dagli altri suoi colleghi, tutti atleti di alto livello: la motivazione. Intendiamoci siamo tutti i motivati, come dice Arrigo Sacchi, la motivazione è come la forza, tutti la manifestano in qualche misura, per cui c’è una motivazione sufficiente, forte, straordinaria. Solo chi manifesta questo tipo di motivazione straordinaria riuscirà attraverso l’allenamento a continuare a migliorarsi e a raggiungere l’eccellenza. Vuol dire, tutti i giorni, esprimere passione e perseveranza ai livelli massimi che un essere umano possa manifestare. Questo è Valentino Rossi, un’eccezione, che non ha smesso di vivere il suo lavoro con questa intensità e continuità. Questo atteggiamento ha comportato non solo avere il piacere di affrontare le sfide della gara ma ricercare continuamente quegli stimoli che lo hanno aiutato in questi lunghi anni a mantenere un’intensità d’impegno quasi unici e comunque patrimonio di pochi atleti al mondo.

Valentino Rossi è l’espressione di quello che noi non siamo ma che vogliamo che esista. Per questo ci piace considerarlo un eroe, una persona eccezionale per le sue prestazioni ma anche un amico con cui condividere momenti della vita. L’entusiasmo che genera tra i suoi fan, presenti in ogni parte del mondo, indica che ha saputo trasmettere un messaggio che va oltre le differenze e che unisce persone così differenti sotto la bandiera della passione generata dalle sue imprese. Non dobbiamo stupirci, abbiamo da sempre avuto il bisogno d’identificarci con eroi che ci danno un motivo per vivere quelle emozioni che la nostra vita di tutti i giorni non ci permette, sentendoci parte di un gruppo che condivide le stesse gioie. Non vedo all’orizzonte altri eroi, ci mancherà.

MotoGP, Misano: Valentino Rossi sui poster del Gran Premio

Calcio Insieme e autismo: nuova stagione sportiva

E’ iniziata questa settimana l’attività del nostro progetto “Calcio Insieme”. Siamo giunti al settimo anno di attività e certamente ripensando alle prime sedute di allenamento del 2015 ritorna alla mente il timore che avevamo nell’iniziare questo programma. Nonostante ci fossimo preparati con un periodo di formazione di 32 ore,44 eravamo piuttosto preoccupati della responsabilità che ci eravamo assunti nei confronti delle famiglie e di questi giovani con autismo. Inoltre, ci eravamo dati anche l’obiettivo di documentare non solo l’attività svolta ma anche i miglioramenti motori e psicologici. La domanda che ci facevamo più di frequente era: miglioreranno attraverso l’attività sportiva o due ore la settimana sono solo una goccia d’acqua nel deserto rappresentato dai loro limiti.

Il lavoro svolto in questi anni ha dimostrato che il percorso progettato era corretto e nonostante le ovvie difficoltà siamo giunti a lavorare con molti bambini che poi sono diventati adolescenti e continuano a giocare con noi. Abbiamo documentato con diversi studi scientifici i risultati ottenuti, da cui ripartire per continuare a migliorare la nostra proposta.

Questa settimana ci siamo ritrovati a iniziare la nuova stagione sportiva 2021/22. I gruppi sono divisi per età e in funzione delle capacità motorie e psicosociali. Con i giovani con maggiori difficoltà in queste aree la ripresa dell’attività è più complicata, poiché è probabile che non abbiano continuato a svolgere attività all’aria aperta e strutturate in modo specifico come quelle dell’allenamento che proponiamo. Ogni seduta è di 50 minuti, è per loro un periodo impegnativo di costante attenzione verso l’allenatore o lo psicologo, in cui devono rispettare delle regole a cui si aggiungono richieste motorie e cognitivo-affettive a cui non sono abituati. Diciamo pure che ci vuole molta attenzione e passione professionale da parte degli operatori che stimolano questi giovani a svolgere attività, di cui i genitori che osservano restano colpiti in modo positivo. Spesso fanno attività, come passare la palla, che con i genitori fanno solo con grande difficoltà e che magari sono state abbandonate per la frustrazione che generano negli adulti.

Questo tipo di giovani richiede e necessita di un’attività 1a1, non potrebbero imparare e perseverare nell’impegno se non in presenza di una figura totalmente dedita a loro, che ne rispetta i momenti di pausa e di stanchezza me che nel contempo li conduce a svolgere un’attività motoria specifica e differenziata.

Noi ci muoviamo in questo modo, perchè riteniamo che sia l’unico possibile se si vuole svolgere un programma che produca apprendimenti nuovi, in relazione agli aspetti sportivi e psicosociali. Questa è la nostra sfida che si ripropone uguale ogni anno, siamo convinti che si possano ottenere dei risultati significativi, che potrebbero essere ancora migliori se fosse possibile aumentare il numero di ore settimanale dedicate allo sport. Naturalmente per svolgere questa attività è richiesto un elevato numero di professionisti. Per questa ragione il gruppo di lavoro sul campo è composto solo da laureati.

Con i ragazzi e le ragazze di età superiore ai 13 anni abbiamo costruito dei gruppi in cui sia possibile giocare a calcio e cominciare, dopo questo lungo periodo di pandemia, tornei e partite. Con loro l’allenamento è molto simile a quello condotto con i ragazzi con sviluppo tipico e quest’anno vedremo sino a che punto potremo andare come squadra di calcio della AS Roma.

 

Il ruolo dell’allenatore secondo Guardiola

Pep Guardiola su quale sia il ruolo dell’allenatore:

“Noi come allenatori siamo come il Caddie nel golf, portiamo le mazze e offriamo opinioni … I calciatori giocano la partita, noi siamo solo lì per guidarli”.

L’ABC della preparazione psicologica

Spesso mi viene chiesto quale sia l’ABC del mental coaching. Per me consiste nel conoscere cosa fa, cosa si dice e sente un atleta dopo che ha commesso un errore. Tutti sappiamo che è facile sbagliare e che l’errore è una aspetto sempre presente in ogni gara. Non esistono atleti che non sbagliano, e i fuoriclasse sono atleti che fanno meno errori degli altri. Quindi se non si ha ancora un’esperienza diretta di lavoro con atleti è importante leggere le loro storie, con lo scopo di capire come hanno imparato a reagire a una sconfitta o a un periodo negativo. In tal caso prima di affidarsi alle tecniche psicologiche (dalla PNL alle molte tecniche cognitivo-comportamentali, alla gestalt piuttosto che a quelle di stress management) bisognerebbe capire il valore dell’errore nello sport.

Ad esempio, la lettura del libro di Andre Agassi mette in mostra come il modo di vivere l’errore sia strettamente collegato al rapporto che si ha con lo sport. Il libro di Alessandro Del Piero, mette invece in evidenza l’importanza della motivazione che sin da bambino può guidare un giovane attraverso le migliaia di ripetizioni  che sono necessarie per imparare a calciare senza sbagliare. Lo stesso emerge nel racconto di Johnny Wilkinson (rugby) che per acquisire la convinzione necessaria a mettere l’ovale fra i pali per anni si è allenato a ripetere questi calci per mezzo di una routine sempre uguale. Oppure come interpretare la frase apparentemente paradossale di Michael Jordan quando dice “Nella mia vita ho fallito spesso e ho continuato a sbagliare. Ed è per questo che ho avuto successo”.

In altre parole l’ABC del mental coaching consiste nell’entrare (anche attravreso la lettura) dentro il mondo degli atleti e ascoltarli mentre si raccontano, prima di fornire loro una soluzione preconfezionata.

Come migliorare la capacità di gareggiare

Molta curiosità al master di psicologia dello sport appena iniziato è stat rivolta sui pensieri e gli stati d’animo degli atleti durante le gare e su come si gestisce la tensione. Di seguito un esempio di risposta, per cominciare a capire.

Essere tesi, talvolta anche terrorizzati, prima di una gara è assolutamente normale. Può essere utile per sentire l’adrenalina e prendere piena consapevolezza che questa è una gara e non un allenamento. Le emozioni sono spesso accompagnate anche da pensieri negativi: purtroppo succede spesso ed è normale. Naturalmente bisogna avere allenato la mente a ribaltare questi pensieri, in altri che favoriscono la prestazione

E’ un lavoro mentale che l’atleta deve fare senza lasciarsi dominare dall’idea pessimista che non si può fare niente.

Gli atleti sono persone pratiche che attraverso l’allenamento imparano a risolvere i problemi di gara. Sono, quindi, persone orientate al compito, a ciò che devono fare. L’obiettivo è sapere controllare ciò che dipende da loro, in questo risiede il loro potere e mettere da una parte quello che è al di fuori della loro influenza.

Come consulenti cominciamo da questi punti per sviluppare in loro una mentalità orientata alla soluzione dei problemi.

Il lavoro dello psicologo dello sport

Parlando ai  giovani psicologi dello sport dico spesso che al di là dei contenuti che si propongono di sviluppare, l’obiettivo della consulenza nello sport è che la nostra attività sia percepita da allenatori e atleti come utile. Anni fa il training autogeno era molto di moda e spesso veniva insegnato agli atleti, che imparavano a rilassarsi ma altrettanto spesso non ne percepivano l’utilità in relazione alla prestazione. Talvolta incontravo atleti che mi dicevano: “Un tuo collega mi ha insegnato a rilassarmi, ma poi ho smesso perché non ho capito a cosa mi servisse” .

Gli atleti sono individui orientati alla pratica, che valutano l’efficacia dell’allenamento in funzione dei risultati che gli permette di raggiungere. Lo psicologo è troppo spesso orientato a dimostrare la sua competenza e a ragionare per schemi che sono rigidi. Per cui, ad esempio, si pensa che si riduce lo stress agonistico attraverso il rilassamento, oppure si migliora la concentrazione solo attraverso esercizi di ripetizione mentale.

Bisogna invece sviluppare un programma di allenamento mentale sulla base delle esigenze dell’atleta e in relazione allo sport praticato. Inoltre, gli sportivi sono persone pragmatiche che apprezzano chi gli fornisce dei compiti da svolgere, potendone verificare l’utilità durante l’allenamento. Compito dello psicologo deve essere quello di  proporre delle attività che ritiene che saranno percepite come utili perché hanno lo scopo di migliorare almeno un aspetto della prestazione. Tutto ciò che non produrrà questo effetto verrà memorizzato dall’atleta come interessante ma inutile. Quindi:

  1. Ascoltare l’atleta e/o l’allenatore
  2. Comprenderne le esigenze
  3. Capire queste esigenze a quali comportamenti corrispondono
  4. Ipotizzare in che modo e con quali tecniche questi comportamenti possono essere appresi/migliorati
  5. Stabilire quali sono i parametri per cui si potrà affermare che questo risultato è stato raggiunto
  6. Condividere con l’atleta questo percorso di allenamento
  7. Metterlo in atto e sapere se e come correggerlo
  8. Valutare il proprio lavoro (durante e al termine)