Archivio mensile per luglio, 2014

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Il disastro della sedentarietà italiana

Lo sport per tutti in Italia è considerato come l’ora d’aria per i carcerati, per scaricare un po’ delle frustrazioni che ci affliggono. Per cui a scuola non si va oltre le due ore settimanali e l’insegnante di educazione fisica è il meno considerato nei consigli di classe. Per fortuna ci sono i genitori che sono disposti a pagare affinché i loro figli pratichino sport presso una società sportiva. Non parliamo poi degli adulti verso i quali non è mai stata fatta alcuna politica per avvicinarli a un approccio attivo all’attività fisica. E’ uno discorso ormai vecchio e ripetitivo che è ritornato alla ribalta al convegno organizzato dal Coni e Istat sul tema “Lo Sport in Italia – Numeri e Contesto 2014”. E’ emerso che i sedentari sono oltre 24 milioni, pari a quasi il 42% della italiani. Percentuale che è un Everest al Sud, 56,2%,  mentre al Nord scende al 31,7% e al Centro al 41%.  Per capire la drammaticità di questi dati, basta ricordare che in Europa i paesi con maggiori praticanti sono, secondo l’indagine Eurobarometro sullo sport e l’attività fisica  quelli del Nord-Europa: la Svezia dove il 70% delle persone dichiara di fare ginnastica o sport almeno una volta a settimana, superando di poco la Danimarca (68%) e la Finlandia (66%) seguita dai Paesi Bassi (58%) e dal Lussemburgo (54%). All’estremità negativa della graduatoria, ci sono la Bulgaria, Malta, il Portogallo, la Romania e l’Italia. Anche se lo sport, inteso come stile di vita fisicamente attivo, non è parte dell’agenda politica si deve però passare dalla semplice denuncia a proposte concrete. Ne evidenzio qualcuna fra quelle formulate negli USA da 50 associazioni scientifiche, accademiche e professionali che hanno inviato una lettera a Barack Obama per sostenere l’urgenza di interventi in questo campo per prevenire il diabete, l’obesità, i problemi cardiocircolatori e alle ossa e altre condizioni croniche. La lettera prende in considerazione alcune questioni strategiche quali:

  • Programmi di educazione pubblica per assicurare che vengano compresi i benefici di stile di vita salutari e come utilizzare le opzioni che gli vengono proposte.
  • Educazione professionale, in modo che i professionisti della salute considerino l’attività fisica come un segno vitale alla stregua dei livelli pressione del sangue e del colesterolo, così da essere monitorati e tracciati con regolarità.
  • Electronic Medical Records che includano i campi dell’attività fisica così da potere facilmente iniziare a registrare l’esercizio fisico come segno vitale.
  • Curricula della scuola medica che forniscano a tutti i medici un’adeguata conoscenza di come parlare con i pazienti in relazione a uno stile di vita salutare.
  • Incremento delle opportunità offerte alla popolazione di praticare esercizi e attività fisica, con particolare riguardo alle disuguaglianze e altre barriere.

Sbagliare per accettare di sbagliare

Non accettare l’errore è il principale ostacolo a migliorare. E’ inutile girarci troppo intorno, è proprio questa la ragione principale per cui oggi molti giovani si bloccano di fronte alle difficoltà, nessuno li guida in questo apprendimento. Non i genitori e non gli insegnanti. E se non imparano allora hanno un problema psicologico per cui, nel migliore dei casi, si va dallo psicologo. Oppure i genitori attribuiscono la responsabilità agli allenatori e viceversa. Di solito è una battaglia persa in cui ognuno resta sulle sue posizioni e i ragazzi/e non cambiano. Nello sport giovanile bisognerebbe considerare l’accettazione dell’errore come il parametro fondamentale per affermare che l’insegnamento fornito in allenamento ha avuto successo, così come il suo contrario. Non accettare di sbagliare annulla qualsiasi apprendimento tecnico. Il giovane infatti sviluppa un’aspettative non realistica e immagina che è bravo solo se non commette errori. Quando entra in campo con questo atteggiamento, non è in grado di sopportare la frustrazione di sbagliare e comincia ad arrabbiarsi con se stesso, con l’esito di giocare peggio e di ridurre l’impegno, poiché ritiene di non essere capace. A questo punto se genitori e allenatori non intervengono subito per cambiare questa reazione, il giovane la trasformerà in un modo di essere abituale, che ripeterà ogni volta che sbaglierà. A questo punto, sarà più difficile intervenire per sostituire questa convinzione negativa con una positiva.

Gli adulti devono essere consapevoli che la competenza è  l’uso dell’insieme delle conoscenze, abilità e atteggiamenti finalizzato a uno scopo ed esercitato nel contesto ed è determinata dall’integrazione fra:

  • Conoscenze – Ciò che si sa, «cosa» e come si sa, «come»
  • Abilità –  Quanto si è in grado di capire / comunicare / fare usando conoscenze imparate in allenamento
  • Atteggiamenti – Come si è e come ci si comporta in relazione all’uso delle conoscenze e delle abilità sportive possedute
Quindi la competenza sportiva non va confusa con l’abilità tecnica e l’atteggiamento da tenere in campo va insegnato come così come i fondamentali di gioco. Altrimenti si avranno giovani atleti dotati tecnicamente ma poco competenti nel fornire una prestazione sportiva adeguata al loro livello tecnico.

Giocatori come leoni

Il fascino infinito del calcio

Sono terminati i mondiali di calcio e ancora una volta è stato lo spettacolo più seguito al mondo insieme alle Olimpiadi estive. Le ragioni del successo di questo sport sono da sempre le stesse. E’ uno sport facile da capire, che chiunque può praticare e che viene giocato dappertutto, sulla spiaggia come in un parco, su una strada o in qualsiasi spiazzo o cortile. Viene giocato a ogni età dai bambini di 5 anni così come dagli adulti, basta segnare due porte con una maglia, uno zainetto o una pietra e lo spazio tra queste due porte diventa immediatamente il campo da gioco. Gli altri sport di squadra per essere giocati richiedono più competenze tecniche e un minimo di struttura come la rete per la pallavolo o i canestri nel basket. Nel calcio questo non serve, basta che uno porti il pallone e subito si comincia la partita. Queste sono le ragioni per cui il calcio è diventato un gioco universale, perché tutti i maschi da bambini hanno giocato a pallone e diventati adulti si sentono allenatori quando il lunedì mattina discutono con gli amici. Tutti da bambini hanno giocato almeno 20-30-40 o forse più partite di calcio e questa conoscenza pratica del gioco, gli fa credere di essere competenti nel valutare se una squadra ha giocato bene o male. Il calcio in questi ultimi 15 anni ha anche contagiato le ragazze e in molti paesi dal nord Europa, al nord America e al Giappone è veramente molto diffuso. Queste sono secondo me le ragioni per cui il calcio continuerà ad appassionare tutti ancora per molti anni.

I diritti dei piccoli calciatori

Si avvicina il momento in cui le società Sportive cominciano ad organizzarsi.  Le scuole calcio programmano il nuovo anno e a settembre i campi si riempiranno di bambini. Le statistiche dicono che la metà dei bambini sceglie il calcio. Alla luce di questo è importante ricordare a tutti coloro che lavorano all’interno delle scuole calcio che i bambini non sono adulti in miniatura e che per lavorare con loro non basta la passione per il calcio, serve la passione per il mondo dei bambini, serve sapere, cosa pensano, come ragionano, cosa possono fare.  Soprattutto serve sapere come trattarli e questi principi fondamentali tratti dalla “Carta dei diritti dei bambini e dalla “Carta dei diritti dei ragazzi allo sport” dovrebbero sempre essere un riferimento per  chi si occupa di calcio come di qualsiasi altro sport giovanile:

  • Il diritto di divertirsi e giocare
  • Il diritto di fare sport
  • Il diritto di beneficiare di un ambiente sano
  • Il diritto di essere circondato ed allenato da persone competenti
  • Il diritto di seguire allenamenti adeguati ai suoi ritmi
  • Il diritto di partecipare a competizioni adeguate alla sua età
  • Il diritto di praticare sport in assoluta sicurezza
  • Il diritto di avere i giusti tempi di riposo
  • Il DIRITTO DI NON ESSERE UN CAMPIONE

“Carta dei diritti dei bambini” (New York- convenzione sui diritti del fanciullo, 1989)

“Carta dei diritti dei ragazzi allo sport” (Ginevra, commissione tempo libero ONU, 1992 )

Pensieri per le finaliste della coppa del mondo di calcio

Il mio augurio alle quattro finaliste della Coppa del mondo di calcio.

“Essere ciò che siamo e diventare ciò che siamo capaci di diventare è il solo scopo della vita”. (Robert Louis Stevenson)

“Impossibile è una parola che esiste solo nel dizionari dei folli”. (Napoleone Bonaparte)

Come pensano gli argentini

Esempio di modestia argentina

La tragedia del Brasile

La disfatta del Brasile e le reazioni che si sono avute in tutto il mondo dimostrano che non era solo una partita di calcio. Se non si  parte da questa convinzione non si può capire il dolore che ha provocato. Ho lavorato con atleti che da favoriti hanno perso le olimpiadi e alcuni di loro non si sono più ripresi da quella sconfitta, altri hanno vissuto i quattro successivi coltivando dentro di sé solo un’idea, quella del riscatto. Apparentemente era una partita come tante altre, ma quello che cambia in queste situazioni è il significato della situazione. E’ la differenza tra fare una corsa in pianura e fare la stessa a 5.000m, la distanza è la stessa ma è tutto diverso: a quell’altezza se non sei preparato ad affrontare le difficoltà che comporta crolli a terra dopo 10m. In Brasile l’intero paese si è fermato, le proteste sociali si sono interrotte e tutti si sono uniti nel sostenere con passione estrema la propria squadra. Squadra che si è sciolta come neve al sole, senza sapere e volere reagire al primo goal tedesco. Il peccato di cui si sono macchiati sta nell’avere pensato di essere ciò che non erano, è un peccato di presunzione che per primo ha commesso l’allenatore. Il secondo è stato di credere che Neymar fosse il leader della squadra, forse è un campione, sicuramente non è un capo. E una squadra senza capo non può funzionare anzi sbanda. Una squadra senza testa non potrà mai vincere, perché non sa come affrontare i momenti difficili. Tutto questo senza avere preso in considerazione il livello tecnico modesto di molti giocatori. Era una sconfitta annunciata che solo l’esaltazione emotiva in cui hanno vissuto i brasiliani era riuscita a nascondere sino a ieri.

Si è infatti determinato intorno al Brasile un enorme effetto alone di cui sono state vittime anche i media, che si è manifestato nel continuare ad affermare che certamente questa squadra non era forte come nel passato ma era pur sempre il Brasile.  Questa squadra mi ha invece ricordato le ricostruzioni di Cinecittà, che viste di fronte sembrano come quelle reali ma andando dietro ci si accorge che sono costruzioni di cartone, e che dietro la facciata non c’è niente. Ora al Brasile serve una nuova generazione di calciatori, che non abbia vissuto in prima persona questa tragedia e che voglia giocare per divertirsi e per stare insieme, che sono le motivazioni migliori per gestire l’emozione di vestire la maglia brasiliana sapendo che il mondo si aspetta che si vinca sempre.

Brasile: il niente dietro il nome

Il Brasile ha mostrato cosa c’era dietro il nome: niente!

 

Tutto il Brasile giocherà con la propria squadra

Il Brasile in queste ore sta tenendo il fiato sospeso, la vita quotidiana si è fermata per lasciare spazio all’attesa e poi alla partita con la Germania.

Un amico, psicologo dello sport, John Salmela da Belo Horizonte dove vive da anni mi ha scritto ieri:

“It is total silence here in my world in Brazil. There was no game yesterday nor today. I seems like I am in Samuel Becketts´ play, Waiting for Godot! … But life will change tomorrow with the game between Brazil and Germany in Belo Horizonte! The city has been completely electrified, welcoming and generous, but since we are off on the coast, few foreigners know about Belo, although it has 5 million inhabitants. So, as I did in the three previous games and since we live about 3 km from the Mineirão stadium, I go out in my car and pick up 4-5 fans from different countries (Iran, Costa Rica, England), and drive the  500 m from the stadium. They cannot believe what I did, and will do so tomorrow with the Germans while trying not to bring up Hitler´s name. Enjoy the Cup if you can, but you can be certain that I will be either living or dying.”