La tragedia del Brasile

La disfatta del Brasile e le reazioni che si sono avute in tutto il mondo dimostrano che non era solo una partita di calcio. Se non si  parte da questa convinzione non si può capire il dolore che ha provocato. Ho lavorato con atleti che da favoriti hanno perso le olimpiadi e alcuni di loro non si sono più ripresi da quella sconfitta, altri hanno vissuto i quattro successivi coltivando dentro di sé solo un’idea, quella del riscatto. Apparentemente era una partita come tante altre, ma quello che cambia in queste situazioni è il significato della situazione. E’ la differenza tra fare una corsa in pianura e fare la stessa a 5.000m, la distanza è la stessa ma è tutto diverso: a quell’altezza se non sei preparato ad affrontare le difficoltà che comporta crolli a terra dopo 10m. In Brasile l’intero paese si è fermato, le proteste sociali si sono interrotte e tutti si sono uniti nel sostenere con passione estrema la propria squadra. Squadra che si è sciolta come neve al sole, senza sapere e volere reagire al primo goal tedesco. Il peccato di cui si sono macchiati sta nell’avere pensato di essere ciò che non erano, è un peccato di presunzione che per primo ha commesso l’allenatore. Il secondo è stato di credere che Neymar fosse il leader della squadra, forse è un campione, sicuramente non è un capo. E una squadra senza capo non può funzionare anzi sbanda. Una squadra senza testa non potrà mai vincere, perché non sa come affrontare i momenti difficili. Tutto questo senza avere preso in considerazione il livello tecnico modesto di molti giocatori. Era una sconfitta annunciata che solo l’esaltazione emotiva in cui hanno vissuto i brasiliani era riuscita a nascondere sino a ieri.

Si è infatti determinato intorno al Brasile un enorme effetto alone di cui sono state vittime anche i media, che si è manifestato nel continuare ad affermare che certamente questa squadra non era forte come nel passato ma era pur sempre il Brasile.  Questa squadra mi ha invece ricordato le ricostruzioni di Cinecittà, che viste di fronte sembrano come quelle reali ma andando dietro ci si accorge che sono costruzioni di cartone, e che dietro la facciata non c’è niente. Ora al Brasile serve una nuova generazione di calciatori, che non abbia vissuto in prima persona questa tragedia e che voglia giocare per divertirsi e per stare insieme, che sono le motivazioni migliori per gestire l’emozione di vestire la maglia brasiliana sapendo che il mondo si aspetta che si vinca sempre.

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