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Come mai non appaiono reazioni dai giocatori della Juventus dopo sconfitta con Verona?

Le spiegazioni di Sarri non convincono dopo la sconfitta con il Napoli

Maurizio Sarri, allenatore della Juventus, dopo la sconfitta con il Napoli, ha così commentato:

“Abbiamo fatto una partita blanda dal punto di vista mentale e quindi anche la fase offensiva ne ha risentito. Gara di scarsa energia mentale e blanda anche a livello difensivo. Abbiamo perso giustamente perché abbiamo giocato una brutta gara; ci abbiamo messo tanto del nostro”.

  • Umiltà, sudore e sacrificio sono da sempre le caratteristiche della Juventus, che da Trapattoni a Lippi ad Allegri ha sempre avuto allenatori che hanno preso molto sul serio questo atteggiamento. Il fatto che ora in questo campionato abbia spesso avuto delle pause mentali di questo tipo, mi sembra sia un campanello d’allarme, che va oltre il dato oggettivo di continuare a essere in testa al campionato e che dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione da Sarri.

“Quando la situazione è quella che abbiamo mostrato noi stasera, è difficile cambiare un reparto o un singolo giocatore. Mentalmente aveva poche energie. Nel finale ho visto che i nostri esterni non stavano giocando bene ed abbiamo provato con Douglas”.

  • Mostrare poca energia in partite importanti per le capacità dell’avversario e per ottenere un ulteriore vantaggio sulle avversarie dovrebbero essere motivazioni sufficienti per motivare la Juventus. Il ruolo dei giocatori chiave dovrebbe essere un fattore determinante nel sostenere un approccio propositivo alla partita, ma sembra che ciò non sia accaduto. E forse Sarri è più concentrato sull’ottenere il gioco che gli piace piuttosto che stimolare un approccio determinato e convincente in campo. Direi che queste caratteristiche vengono prima di ogni forma di tattica. In altre parole, le idee senza il cuore valgono poco.

“Non è una tendenza. Sono partite in cui bisogna commentare poco con i giocatori. C’è da trovare grande motivazione, cosa non semplice per chi ha vinto tanto. Queste partite ci possono aiutare a farlo. La difficoltà è nel mantenere il giusto livello di mentalità per lunghi periodi di tempo”.

  • Risposta un po’ debole, per un allenatore che vuole essere vincente, quella di dire che questo approccio “non è una tendenza”. La questione è che da questi professionisti si dovrebbe pretendere un’altra qualità nella conduzione della partita. Intensità, rapidità e precisione sono tre fattori che una squadra che vuole competere con le big del calcio europeo dovrebbe sempre dimostrare. Consiglio a Sarri, invece, di parlare con i giocatori per trovare come uscire da questi momenti negativi, che con il Napoli hanno riguardato tutta la partita ma si sono già presentati per minor tempo anche in molte altre.
  • Questa impostazione spiega perché a un allenatore non basta essere solo un bravo tecnico ma deve essere anche un condottiero, che insegna alla squadra a gareggiare per vincere; a entrare in campo con la disposizione a lottare per imporre agli avversari la propria mentalità.

 

Capire la Juventus in 10 punti

Voglio provare a mettere insieme i problemi che la Juventus, come squadra, si trova ad affrontare.

  1. Ha vinto gli ultimi 8 campionati di Serie A – Vincerne altri è sempre una priorità, può essere che i calciatori non la vivano in questo modo.
  2. La Champions League è la sua bestia nera. Fino a qui ha giocato bene.
  3. E’ una squadra composta in larga parte da campioni. Avere vinto molto, può essere un problema se hai un allenatore che non vive la vittoria con l’intensità emotiva di Allegri e Conte e quindi non sa trasmetterla?
  4. Vi gioca Cristiano Ronaldo, stella planetaria del calcio portatore d’interessi economici formidabili per Juventus SpA. Va capito e spronato nel suo ruolo di unicum della squadra.
  5. Ha sempre avuto allenatori con un atteggiamento concreto, molto direttivi e rivolti a vincere partendo da difese forti (Trapattoni, Capello, Lippi, Conte e Allegri), un centrocampo centrato a favorire il campione di turno (Sivori, Platini, Zidane, Pirlo e così via) sino a un attacco che schierava sempre i campioni più forti
  6. La Juventus non appare determinata in campo, non gioca con l’intensità che invece mostra chi vuole vincere. La motivazione manca e questa è direttamente espressione della volontà di vincere.
  7. Questa è una difficoltà dovuta a un approccio superficiale da parte dei calciatori? Si aspettano di vincere anche con poco impegno?
  8. L’allenatore è troppo concentrato sul volere dimostrare che il suo modulo di gioco è quello “giusto”? Mentre si occupa meno di come cambiare ciò che invece accade sul campo?
  9. L’allenatore sembra meno determinato nella comunicazione (pubblica) rispetto ai suoi predecessori alla Juventus. Mostra in modo diverso questo tratto personale rispetto agli altri o invece questa è una sua carenza?
  10. Come coniuga il problema principale che hanno tutti gli allenatori: volere dimostrare che ha ragione e nel contempo volere vincere. Nel primo caso domina maggiormente il suo metodo mentre nel secondo l’adattamento alla filosofia della Club, alla cultura della squadra e alle caratteristiche dei suoi calciatori

 

 

 

La gestione dello stress da parte di Sarri e Ancelotti

I problemi che stanno incontrando Sarri nella gestione di Ronaldo e Ancelotti nei riguardi della squadra e del suo presidente mettono in evidenza quanto sia difficile in questi momenti mantenersi ottimisti, tesi, soddisfatti e determinati piuttosto che pessimisti, insoddisfatti, insicuri e sfiduciati. Ora la questione è la seguente: come mantenere questo atteggiamento positivo in questi momenti di stress, nel perdurare di una situazione di crisi.

Questo stress non deriva tanto dai risultati ma si riferisce allo stress da gestione dei calciatori, da incomprensioni  che insorgono durante il percorso di lavoro o dal dover negoziare con i propri giocatori.

Sappiamo che ciò che differenzia un allenatore che le gestisce da un altro che, al contrario, le subisce è nel modo di fronteggiare le situazioni che percepisce come stressanti.

Una domanda a cui rispondere è la seguente: “Come faccio a mostrarmi convinto che ce la faremo a uscire da questa crisi  o che le mie scelte sono quelle giuste?” Nel calcio si sa che se quando entri in campo non sei convinto che hai tutto quanto ti serve per riuscire a raggiungere il tuo obiettivo, è quasi sicuro che non lo raggiungerai. E’ come dire ai propri avversari: “Tenete oggi vi regaliamo un po’ della nostra convinzione di vincere, noi preferiamo restare insicuri.” Quindi l’insegnamento è il seguente: accettare la sfida e giocare convinti di farcela sino al fischio finale. Ai giocatori s’insegna a rincorrere anche le palle impossibili da prendere, perché non si deve mai abbandonare l’idea che sia  possibile.

Per trasmettere quotidianamente a se stesso questa mentalità, l’allenatore deve essere il primo a dimostrare apertamente un atteggiamento di questo tipo. Qualcuno potrebbe obiettare che non è affatto facile vivere in questa maniera, d’accordo, parafrasando Andy Warhol si può dire che 15 minuti di sconforto non si negano a nessuno ma dopo bisogna cambiare atteggiamento, abbandonare completamente questa condizione e impegnarsi a realizzare le decisioni prese, con convinzione e positività.

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Juve-Milan è stata la prima partita trasmessa in TV

Il 5 febbraio 1950 la Rai trasmise Juventus-Milan per la sola città di Torino. Il Milan del tridente Gre-No-Li travolse i bianconeri per 7-1. Si trattava, però, solo di un esperimento: la Rai avrebbe cominciato a trasmettere ufficialmente solo quattro anni dopo.

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Dybala nella trappola delle aspettative

Le aspettative sono il principale killer della fiducia di un atleta, ci si aspetta di giocare al meglio grazie al proprio talento e all’allenamento, niente di più sbagliato, non basta. Probabilmente Paulo Dybala sembra essere caduto in questa trappola. Possiede tutte le qualità necessarie per diventare uno dei migliori calciatori al mondo, poi la pressione di doverlo dimostrare sul campo lo sta rovinando. E’ un errore tipico di molti atleti di livello assoluto, si caricano sulle spalle questa inutile pressione e non riescono più a gareggiare al loro meglio. Anche il Brasile ai campionati del mondo di calcio di Rio si aspettava di vincere, invece la squadra crollò sotto l’incapacità di gestire questa pressione o Andy Murray sinora ha vinto molto meno rispetto alle sue possibilità reali ma ha dovuto lottare a lungo per imparare a togliersi dalle spalle le sue aspettative e quelle di un’intera nazione che dopo tanti anni aveva finalmente trovato un campione nel tennis.

L’aspettativa di vincere, di segnare una rete o di sapere guidare una squadra sono certamente importanti, nessuno entra in campo per perdere o giocare male. Non bisogna però confondere queste convinzioni, che vanno lasciate nello spogliatoio, con i comportamenti reali che bisogna mettere in gioco per realizzarle. Le aspettative possono essere anche estremamente positive ma si deve saperle tradurre in obiettivi di gioco e comportamenti agonistici. Questo determina la differenza fra chi sul campo è affidabile e chi invece vive di fantasie che se stesso e gli altri (sponsor, allenatore, squadra, famiglia, procuratore) determinano.

Le attuali strategie di gestione dello stress agonistico hanno proprio lo scopo d’insegnare agli atleti a stabilire quali sono i processi mentali che determinano l’affermarsi sul campo di un tipo di concentrazione orientata a manifestare i comportamenti di gioco più efficaci per raggiungere gli obiettivi che ci si è proposti. Possedere talento può essere un ostacolo a sviluppare questa condizione di prontezza psicofisica, perché si può ritenere che le proprie doti saranno sufficienti. Quando ciò avviene la caduta è ancora più dura, poiché cresce il rischio di mettere in dubbio le proprie capacità, entrando in un spirale negativa che di partita in partita può condurre a isolarsi, a sentirsi incompresi e ad aspettarsi che a un certo punto la buona stella tornerà per incanto a brillare. Questo circolo vizioso va bloccato e l’atleta dovrebbe farsi aiutare da un professionista per stabilire obiettivi concreti e impegnativi da raggiungere e identificare i comportamenti necessari al loro raggiungimento. Per Dybala questo momento di difficoltà potrebbe così trasformarsi in una importante opportunità di sviluppo personale e di crescita verso il raggiungimento di una consapevole maturità sportiva e umana.

Il problema di Higuain: un’opportunità di miglioramento

Il problema di Higuain è che da un po’ di tempo non segna e la domanda che di certo si sta ponendo riguarda come uscire da questa situazione e andare nuovamente in rete. Espressa in questa maniera, la questione sembra facile: cosa fare per prepararsi a effettuare più tiri in porta efficaci. Se fosse una macchina il problema sarebbe di facile soluzione poiché sarebbe sufficiente modificare alcuni parametri (rapidità, precisione, timing, tipologia di tiro) per ottenere il risultato sperato. Trattandosi invece di un essere umano la difficoltà si lega alle aspettative del giocatore, della squadra e dell’ambiente, alla difficoltà ad accettare che un fuoriclasse possa trovarsi in questa difficoltà, alla tendenza del calciatore a reagire allontanandosi dal gioco o a muoversi in modo impulsivo, al subire l’influenza dei compagni di squadra che invece continuano a segnare.

Sarebbe invece utile, per se stesso e per la squadra, vivere questa momento professionale come un’occasione di miglioramento e non invece come una sorta di sindrome dell’attaccante. Accettare le difficoltà è l’unico modo per superarle. In questo ha ragione Arrigo Sacchi quando sostiene che per vincere non bisogna avere il problema di vincere. Si può parafrasare questo pensiero dicendo che per mettere a segno una rete non bisogna avere l’ossessione di fare goal, perché altrimenti si giocherà sempre sulla difensiva o in modo impulsivo e non si manifesterà un comportamento innovativo ed efficace come invece ci si aspetta da un campione.

Italian job: allenatore vincente di calcio

20 anni fa Marcello Lippi, Fabio Capello e Giovanni Trapattoni avevano vinto il campionato italiano (Juventus), spagnolo (Real Madrid) e tedesco (Bayern di Monaco). Quest’anno il triplete dei campionati si è ripetuto a favore di Massimiliano Allegri (Juventus), Antonio Conte (Chelsea) e Carlo Ancelotti (Bayern di Monaco).

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Le regole vincenti Max Allegri

Giocatore-allenatore “Era bravo a leggere la partita, sapeva valutare dove riuscire a colpire l’avversario, a individuarne i punti deboli. Ma anche a capire quando e dove soffriva la squadra: se vedeva il terzino in difficoltà con l’ala era capace di sistemarsi in modo da limitare il gioco avversario senza bisogno che arrivasse una segnalazione dall’esterno. Aveva delle capacità innate in questo senso”. (Galeone)

Gestione degli imprevisti – “La fantasia e la capacità di gestire l’imprevisto. Le partite si preparano, ma non si prevedono. Mi succede di decidere una formazione il venerdì pomeriggio e di stravolgerla la domenica sulla base di un’intuizione. Il momento migliore sono le sette e mezzo del mattino. L’ora alla quale solitamente contraddico me stesso”.

Fiducia in se stesso – “Sono molto sicuro di me. Dico le cose dritte per dritte, non mi aspetto gratitudine, misericordia, empatia. Sentimenti che nel calcio non esistono più. Sono bravo a fingere e a rifugiarmi nella bugia al momento giusto”.

La tecnica è fondamentale – “I terreni di allenamento sono stati accorciati per affinare il gioco nello stretto. I match si vincono in due modi, con l’occupazione militare dello spazio e con la qualità degli interpreti. Il tempo per pensare con il pallone tra i piedi si riduce, alla fine la palla va per forza a quello più bravo”.

Leadership autorevole – “Il dialogo è complicato. Entri nello stanzone e trovi quasi tutti con le cuffie alle orecchie, la musica ad alto volume. Nessuno parla con nessuno. Servono autorevolezza, rispetto e pazienza. Non è mio costume sottolineare ogni giorno che sono io quello che comanda, gli spiego che sono costretti ad ascoltarmi non perché sono più bravo, ma semplicemente perché sono più vecchio. Ci sono talenti che sono come le onde, penso a Morata e a Coman per esempio. La loro parabola si alza e si abbassa, bisogna dosarli, aspettare il tempo giusto. Alcuni vanno presi per mano ed educati come bambini, da altri trovo collaborazione, esperienza, personalità”.

Compito allenatore –  ”Non sminuisco l’importanza dell’allenatore, ma il suo compito principale è mettere a loro agio i giocatori”.

Andare oltre la tattica - “Il calcio si fa su un prato di 106 metri per 68, si corre con i piedi, si gioca con i piedi, la palla spesso prende giri strani e si pretende che in queste condizioni la soluzione la diano delle situazioni schematiche? Se gli schemi servissero a vincere, perché il Real Madrid ha speso cento milioni per Bale, che molto semplicemente dribbla, tira e spacca la porta? Bisogna saper andar oltre la tattica, gli schemi sono solo una traccia”.

L’importante è volere migliorarsi – “Ho un gruppo di ragazzi in gamba, che si sono rimessi in discussione, che vogliono ancora vincere. E ho detto loro che mi inc*** molto se non migliorano, perché hanno potenzialità tecniche e fisiche veramente notevoli. Lo dico anche pensando alla Champions”.

La scarsa motivazione della Juventus

Nel calcio la competizione sportiva è una situazione in cui la prestazione di una squadra viene confrontata con lo standard previsto per quell’evento. Inoltre, ogni squadra dovrebbe dimostrare sul campo la voglia  di superare le difficoltà tramite la collaborazione fra i giocatori, mentre verso gli avversari dovrebbe essere dominante la competitività. Certamente in una squadra serve il talento di qualcuno ma sicuramente non si vince se manca l’integrazione fra i comportamenti  dei calciatori, se manca la coesione del gruppo. Questi concetti non devono essere pensati come buoni propositi, generali e non specifici, perché sono alla base delle squadre vincenti. Se si applicano questi principi alla condizione attuale della Juventus si evidenzia, in modo immediato, che i comportamenti dei calciatori in campo non corrispondono se non in minima parte a queste semplici regole. Manca il cosiddetto spirito di squadra e un gruppo unito, che sono obiettivi rilevanti per affrontare con efficacia uno stagione agonistica impegnativa e di massimo livello. Non va dimenticato che la motivazione dovrebbe essere una dimensione psicologica sempre presente e indipendente dalla qualità del gioco. Anzi proprio quando vi possono essere incertezze o difficoltà a svolgere il lavoro richiesto dall’allenatore, come è vero per la Juventus in questo inizio di campionato, diventa indispensabile per i singoli calciatori essere presenti sul terreno di gioco con la combattività e la tenacia che viene richiesto a chi è parte di una squadra. E’ mantenendo alta la motivazione al gioco che i singoli calciatori, la squadra e l’allenatore possono ragionare solo sugli aspetti tecnici del gioco e non sui comportamenti sbagliati della squadra che si mostra poco motivata in campo. Nei momenti di crisi serve che il leader, Allegri, trasmetta poche idee che siano chiare, specifiche e percepite dai calciatori come realizzabili sin dalla prossima partita. La squadra deve sapere che serve tempo per migliorare la qualità collettiva del gioco ma che combattività e tenacia sono qualità mentali che dovrebbero essere presenti sino dal prossimo incontro, altrimenti si continua a giocare con l’alibi che se la squadra non ha ancora un gioco o è poco tempo che si gioca insieme questo determina la scarsa convinzione nel seguire le istruzioni dell’allenatore. Inoltre, il nocciolo duro della squadra rappresentato dalla difesa nel suo complesso ha fatto poco per mostrare sul campo questo atteggiamento e per motivare i compagni degli altri reparti, dovrà impegnarsi molto di più. La Juventus ora è una squadra umiliata dalla superficialità con cui ha affrontato questo nuovo campionato. L’errore più grave da parte dei dirigenti è stato di affermare che sarebbe stato un anno di transizione, dando così ai calciatori la percezione che non sarebbe stato così importante mantenere lo standard del passato. Ora hanno scoperto che perdere le partite a causa della propria incapacità di essere squadra e di reagire immediatamente agli errori non piace a nessuno e porta la squadra in un baratro; vedremo se sapranno motivarsi tutti a giocare con l’intensità adeguata a mostrare le capacità della squadra. Il compito di Alllegri non è solo tecnico ma è di aiutare la squadra a cambiare registro emotivo, dovrà spiegare che non vi è nessun alibi per nessuno e che in campo servono combattività e tenacia.