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Atalanta-Juventus: cosa ho imparato

Cosa ho imparato dalla finale di Coppa Italia Atalanta-Juventus.

Pretendere - La Juventus ha finalmente preteso da se stessa di giocare con l’atteggiamento che le è stato proprio negli anni passati di squadra vincente e determinata. Sinora ci si aspettava che succedesse ma non era avvenuto, se non in qualche rara partita. L’autostima di un gruppo dipende dal livello di successo raggiunto, a sua volta questo dipende da quanto una squadra pretende da se stessa. Alle pretese devono corrispondere i comportamenti in campo. Quando ciò non avviene, i comportamenti sono insufficienti, le aspettative diventano limitate o irrealistiche come nel caso della Juve in cui ci si aspettava di vincere, senza manifestare i comportamenti adeguati. L’effetto nel tempo, si evidenzia in pochi successi e una riduzione dell’autostima collettiva. Nella Juve di ieri si sono saldati insieme il pretendere e “chi fa cosa nel momento giusto”. Questa unione determina lo standard di gioco della squadra.

Abitudine – L’Atalanta gioca molto bene e questo in campionato è decisivo poiché si gioca con molte squadre di livello inferiore e il risultato della singola partita non è decisivo per il risultato finale. Nelle coppe invece le singole partite sono decisive e la sconfitta determina l’eliminazione. Partite come queste richiedono un approccio mentale diverso rispetto a quelle di campionato, poiché spesso gli avversari sono almeno di pari livello e vincere questi match è un obbligo se si vuole andare avanti. Non basta essere bravi bisogna anche acquisire l’abitudine a giocare queste partite, e comunque rapidamente sviluppare l’atteggiamento di chi gioca per vincere. Non serve giocare bene se poi si perde, l’accento deve essere posto sul giocare con intensità e concentrazione. La frase che meglio illustra questo concetto è stata espressa da Alex Ferguson quando affermava che non vedeva l’ora che arrivasse il 75° perché sapeva che la sua squadra avrebbe certamente segnato almeno una rete o quando si parla del quarto d’ora del Grande Torino, quando Valentino Mazzola si tirava su le maniche della maglia. a mio avviso l’Atalanta deve acquisire questa abitudine.

Juventus è vittima dei successi

La Juventus sembra vittima dei suoi propri successi (9 campionati consecutivi vinti). Quest’anno la squadra ha cambiato diversi giocatori ma quando si entra in un club con questi risultati alle spalle, si può tendere ad assumere una mentalità arrogante, centrata sui risultati del passato prossimo, ma che non appartiene al presente.

In questo modo, si può giocare una partita con un approccio mentale che tende ad aspettare l’inevitabile risultato positivo, la vittoria. Questo approccio può anche spiegare gli errori di superficialità commessi da Arthur contro il Benevento e da Bentancur in Champions League che hanno regalato un rete agli avversari.

Un primo errore tipico dell’arroganza risiede nella condizione che le regole normali per questa squadra non sono valide. I successi degli anni passati possono accecare la squadra, potandola a credere che una soluzione vincente è comunque sempre disponibile.

Un secondo errore di questa mentalità è la fiducia nelle proprie capacità di risolvere le partite. E’ certamente una convinzione positiva ma solo se si accompagna con l’impegno necessario altrimenti resta solo una speranza ottimistica.

Un terzo errore di questa mentalità arrogante risiede nelle spiegazioni fornite dall’allenatore, Andrea Pirlo, che interpreta, almeno pubblicamente, questi risultati negativi con alcuni errori di singoli giocatori. E’ ovvio che ci sono stati ma in una squadra questi errori di mentalità dei singoli si manifestano quando manca la coesione di squadra sull’impegno con cui affrontare le partite. Sono mancati i giocatori-leader che devono mantenere i livelli di focus elevati durante la partita senza che il gioco diventi impulsivo e troppo rapido.

Juventus: distrazioni che distruggono una stagione

Fabio Capello analizza gli errori commessi dalla Juventus contro il Porto tra andata e ritorno, non risparmiando un’aspra critica nei confronti di Cristiano Ronaldo: “Il primo gol nella prima partita è un regalo, grande disattenzione nel secondo, non si possono subire certi gol. Il calcio di rigore stasera è un altro regalo. Troppo ingenuo Demiral, non si può cercare l’anticipo, è un gravissimo errore. Ma il top è questo. Cristiano Ronaldo che salta e si gira in barriera. Chi sta in barriera non può aver paura di subire un colpo. È un errore imperdonabile che non ha scusanti“.

Capello ha pienamente ragione e ripropone il concetto che oltre il gioco di una squadra, nel calcio sono i singoli episodi che determinato il risultato della partita e in questo caso l’eliminazione dalla competizione europea più importante per una squadra di calcio.

Ma se questa è la situazione come si possono evitare questi errori. Soprattutto quelli di Bentancur e di Ronaldo errori assolutamente evitabili ma che hanno cambiato la valutazione di una intera stagione agonistica.

Il problema non è tanto la distrazione in se stessa ma l’effetto che determina. E’ questo che i giocatori dovrebbero ricordarsi prima di agire in questo modo.

Superficialità o anche presunzione che non può succedere nulla di così negativo. Probabilmente squadra anche poco unita in cui non sembra ci sia qualcuno con il ruolo di tenere alta l’alta attenzione in questi momenti.

Il Porto ha vinto meritatamente perchè è stato più costante nel mantenere elevata l’attenzione, La Juventus ha mostrato troppo alti bassi e di conseguenza ha pagato questi attimi di distrazione.

Quanto si allena la Juventus a evitare che accadano questi episodi, attimi che distruggono una stagione.

Imparare dagli errori più clamorosi

Temi psicologici di questa settimana:

Il caso Juventus - due reti subite appena iniziata la partita, e soprattutto a inizio di ogni tempo. Come mai non erano pronti? Come poteva essere distratto Bentancur? Qual è l’approccio mentale alle partite importanti? Si può sbagliare l’inizio del primo tempo, ma come si fa a sbagliare anche l’inizio del secondo in tempo?

Disastro azzurro femminile nello sci ai campionati del mondo - Troppo nervosismo delle atlete? Come lo staff tecnico si è preparato a gestire queste legittime aspettative di vittoria? Si è creata una sindrome da assenza di Sofia Goggia? Come si fa s sbagliare la terza porta: troppa impulsività alla partenza?

Sono casi da studiare in modo approfondito, non certo per trovare colpe ma per identificare attraverso la conoscenza delle ragioni che hanno creato questi problemi, come evitarli in futuro.

 

I pensieri di Sarri sullo scudetto

”Questo gruppo vince da anni, con allenatori diversi, quindi il merito è suo, coadiuvato dalla società. Io come tutti i bambini da grande sognavo di vincere lo scudetto. Non l’ho vinto da grande, l’ho vinto da vecchio, però l’ho vinto.” Sarri in conferenza stampa.

In queste poche parole c’è tutto: la realizzazione del sogno del bambino e il riconoscimento del valore dell’organizzazione.

Quanti allenatori, e non, hanno questa consapevolezza? E la vogliono mostrarla e condividerla in pubblico?

 

Juventus vittima di se stessa

La Juventus con il Milan aveva l’opportunità di chiudere il campionato. Non c’è riuscita, anche se in vantaggio 2-0. Ha perso 4-2.

La Juventus si danneggia da sola, anche se le avversarie  s’impegnano al massimo per ottenere un successo.  Sono così forti e cinici da non attribuire importanza a questi risultati dati vantaggio in classifica. Non credo.

La questione a mio avviso è semplice: 8 campionato vinti consecutivi determinano convinzioni, aspettative e motivazioni. La cultura di questa squadra, la porta a essere convinta che alla fine il campionato sarà e, quindi, a correre questi rischi per una tendenza dei giocatori e dell’allenatore a non dargli peso per il futuro. Ovviamente i calciatori vivono le loro emozioni e oggi non possono essere soddisfatti.

A mio avviso devono cambiare questo modo di vivere il campionato. Sarri dice che hanno giocato molto bene per 60 minuti, ma se poi ti spegni, gli altri ne approfittano e ti mettono sotto. Tra ottimo e scarso devono trovare una soluzione, altrimenti scenderanno in campo sempre con questo approccio che in ogni singola partita può essere causa di continui problemi.

Le aspettative di vincere comunque la partita, anche con questi blocchi mentali, sono un killer della prestazione, perchè si pensa che si vincerà senza fare quello che serve per vincere.

Cristiano Ronaldo è come Michael Jordan

Intervenuto ai microfoni di Juventusnews24 Alberto Cei ha chiarito alcuni aspetti psicologici del mondo del calcio, tra vittorie e sconfitte, soprattutto alla vigilia della ripresa delle attività in Italia, fissata per il 12 giugno.

Leggi l’intervista.

Cristiano Ronaldo appunto, la personificazione del successo attraverso il lavoro costante sul campo e il sacrificio negli allenamenti. La sua etica ricorda un po’ quella del compianto Kobe Bryant, leggenda del basket e dello sport a livello globale. Sono nella stessa sfera di competitività?

«Secondo me qui si parla di voler eccellere. Si usa spesso a sproposito la parola eccellenza: l’eccellenza è una cosa rara, altrimenti non sarebbe tale. È un po’ come quando Sacchi dice che i giocatori che cercava lui dovevano avere una motivazione straordinaria. Secondo me quei livelli di professionismo, come quello di Cristiano Ronaldo e di tanti altri campioni, richiedono quell’approccio altrimenti non stai lì, puoi essere un professionista valido ma è diverso. Abbiamo tutti visto ultimamente “The Last Dance” con la storia di Michael Jordan: Cristiano Ronaldo mi sembra molto simile, ovviamente ci sono le differenze di carattere delle persone ma credo che l’approccio di chi vince le Olimpiadi, come ho potuto constatare nella mia esperienza, sia molto simile. In psicologia dello sport, questo atteggiamento si chiama “perfezionismo positivo” ed è la ricerca di tutto quello che può avvicinare alla perfezione, che è una cosa che ovviamente non esiste, però è positivo perché è funzionale al raggiungimento degli obiettivi, sennò sarebbe un disturbo psicologico».

Dybala, il poeta del calcio

Penso che l’azione e il goal di Dybala contro l’Inter dimostri che questo calciatore appartiene alla terza categoria di giocatori descritti da Osvaldo Soriano in Futbol. Storie di Calcio.

“Ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avrebbero potuto vedere se avessero osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. Questi sono i profeti. I poeti del gioco”.

Risultato immagini per gol dybala juve inter

 

Complimenti a Bernardeschi

Consapevolezza e senso di responsabilità non sono per tutti.

Complimenti a Bernardeschi per questo intervento su Instagram.

I problemi della Juventus squadra poco unita

La situazione che sta vivendo la Juventus è interessante per cercare di capire come sia possibile che una squadra costruita per vincere la Champions League non sia in grado in questo momento di sviluppare un gioco adeguato al suo livello e subisca l’iniziativa di squadre a lei nettamente inferiori per qualità.

Come hanno detto in molti, nella partita contro il Lione alla Juventus è mancata la velocità, la determinazione e l’intensità di gioco. Molti giocatori si sono dimostrati distratti in campo e l’individualismo di Cristiano Ronaldo non è bastato a ribaltare il risultato finale.

In questo periodo, alla Juventus manca l’impegno e la dedizione totale del collettivo al raggiungimento degli obiettivi di prestazione e di risultato, che sono l’essenza di un team di successo. Osservando i comportamenti in campo, raramente e  solo nei minuti finali delle partite, non si vede la prontezza fisica e mentale a volere giocare una palla, reagire a un errore o a muoversi per aiutare un compagno.

La Juventus è composta da alcuni campioni e altri molto bravi, tutti giocano nelle rispettive nazionali. Ora è una squadra poco unita in cui manca un nucleo centrale di giocatori che la possano guidare. Le squadre di successo hanno sempre un gruppo interno di riferimento per i momenti di maggiore stress competitivo, è rimasto solo Bonucci che da solo non può svolgere con efficacia questo ruolo. Troppi non hanno lo sguardo di tigre (Betancourt, Rabiot, Pjanic, Quadrado) e sembrano svolgere dei compiti assegnati piuttosto che giocare una partita di calcio.

Leader di una squadra non possono essere Ronaldo, Dybala e Iguain, loro sono le stelle che brillano grazie al lavoro di una squadra che li sostiene e li favorisce.

Il secondo problema della Juventus è nel modo di ragionare di Sarri. Quando afferma che non riesce a fare capire alla squadra un concetto semplice come è quello della velocità, personalmente non capisco cosa voglia spiegare.

La velocità si può differenziare in due aspetti. Il primo si riferisce, ad esempio, al fatto che quando un calciatore subisce un fallo deve alzarsi subito ed essere immediatamente pronto all’azione seguente o se perde palla deve rapidamente continuare nell’azione. Questo è un concetto che un calciatore professionista dovrebbe manifestare indipendentemente dalla tipologia di  gioco della squadra. Riguarda la combattività e la tenacia che devono essere sempre presenti in ogni minuto della gara.

Il secondo aspetto, riguarda invece la velocità in relazione al tipo di gioco che la squadra ha preparato durante la settimana e che ogni allenatore richiede in funzione della sua filosofia.

Mi sembra che alla Juventus manchi il primo tipo di velocità che è alla base della competitività e che se viene a mancare impedisce qualsiasi altro tipo di ragionamento, perché la lentezza rende il gioco prevedibile e facilmente contrastabile da qualsiasi squadra che invece sia più reattiva in campo anche se di livello inferiore.

Suggerirei a Sarri di allenare in questi giorni il cuore dei giocatori e non gli schemi.