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Gli psicologi ignorano i contenuti della psicologia della prestazione

A un Convegno dedicato alla psicologia dello sport e organizzato dall’ordine degli psicologi del Veneto a cui hanno partecipato circa 200 psicologi ho tenuto oggi una relazione sul tema della psicologia della prestazione applicata allo sport. Mi sono reso conto ancora una volta che la psicologia della prestazione sia un argomento poco conosciuto dagli psicologi italiani. Probabilmente ciò è dovuto alla mancanza d’insegnamenti di questo tipo all’università, tutta centrata sul capire le varie forme di disagio e di psicopatologia piuttosto che fornire strumenti conoscitivi per sapere come si diventa esperti in qualcosa. Sono trascurati i percorsi per diventare atleti o allenatori esperti. Questa carenza formativa determina così una visione dell’essere umano in cui le difficoltà psicologiche che un individuo vive nel suo cammino professionale vengono spesso interpretate in termini psicopatologici, non comprendendo invece che tali difficoltà sono stimolate dalla complessità delle prestazioni da fornire. Sbagliare un calcio di rigore non è un evento straordinario ma lo può diventare se è quello che farà perdere una partita importante e il calciatore che commette questo errore potrà vivere con estremo disagio questo suo errore, non perchè abbia una personalità psicopatologica ma per le conseguenze della sua azione. Gli psicologi ignorano queste implicazioni e si trincerano dietro parole per loro rassicuranti come ad esempio ansia da prestazione. Non posseggono gli strumenti teorici per comprendere questo fenomeno e tantomeno sanno come affrontarlo senza rivolgersi alle categorie della psicopatologia. Ci vogliono anni per introdurre i cambiamenti necessari a modificare questo modo di pensare, perchè possa a quel punto diventare uno sbocco professionale realistico per molti giovani laureati.

Il codice etico che genitori e allenatori devono seguire

Inizia un nuovo sportivo anche per tutti i bambini iscritti alle scuole di calcio (sono 7000), tennis, pallavolo, nuoto e così via. Mi auguro che sia un anno felice di gioco e di apprendimento per tutti, in cui imparino che lo sport è lealtà, impegno, divertimento, collaborazione  e rispetto. I bambini acquisiscono subito questi concetti e i comportamenti che ne conseguono. Devono però avere intorno a loro allenatori e genitori che agiscono per soddisfare queste esigenze. Alcuni suggerimenti per questi adulti:

  1. Incoraggerò la sportività sostenendo tutti i ragazzi e ragazze, nonchè gli allenatori, i genitori e i giudici di gara.
  2. Il mio primo obiettivo è il benessere fisico e emotivo dei ragazzi e ragazze.
  3. L’allenamento deve soddisfare i giovani e non gli adulti.
  4. Insegnerò ai ragazzi e ragazze a rispettare gli avversari e i giudici di gara.
  5. Indipendentemente dal livello di abilità tutti/e dovranno divertirsi.
  6. Contrasterò con decisione ogni comportamento offensivo da parte di altri adulti.

 

 

Persone o macchine da medaglie

Il nuovo scandalo del doping nell’atletica e il dubbio che il prossimo vincitore del Tour de France sia dopato rappresentano fatti e domande che portano alla distruzione dello sport. Noi appassionati guardiamo i “nostri” atleti, per un attimo facciamo il tifo per loro ma subito dopo ci chiediamo se ciò che guardiamo è vero o se stiamo guardando dei truffatori. Forse è per questo che ci siamo tanto entusiasmati per le paralimpiadi Londra, perchè dentro di noi non concepiamo, ancora, la possibilità che siano dopati. Che fare allora? Sostenere che bisogna abolire la lotta al doping come alcuni dicono? No di certo! Una prima risposta potrebbe essere di non lasciare soli i giovani che fanno sport, soli con allenatori, genitori, medici o dirigenti che possono convincerli a fare scelte sbagliate. Parlerei con questi giovani e gli direi di parlare di questo grande problema che è il doping e di quali sono le ragioni per cui si può cadere in questa trappola e che cosa gli serve per essere convinti che si può vincere anhe senza farsi del male. Bisogna parlare e parlare e parlare senza lasciare mai lasciare sole le persone con i propri fantasmi e con le suggestioni che persone disoneste possono prospettargli. Sono convinto che nessuna organizzazione dello sport abbia mai agito in questo modo, perchè per loro è solo importante dire non dopatevi perchè fa male alla salute e perchè incorrete in un reato penale. Ma nessuno che s’interessi delle paure dei giovani e dei fantasmi che li agitano. Continuiamo pure con questa visione solo biologica dell’atleta ma non possiamo più nasconderci dietro il “te lo avevo detto” perchè come diceva De André “continuate pure a credervi assolti siete per sempre coinvolti”.

Nuove prospettive professionali in psicologia dello sport

Di: Cedric Arijs

Quando la Federazione Europea di Psicologia dello Sport ha annunciato la sua conferenza ‘Sviluppo di competenze e di eccellenza nel campo della psicologia applicata  allo sport ‘ ho avuto la sensazione che questi 2 giorni di conferenza sarebbe molto utili a un giovane studente di psicologia dello sport come me, e i non sono statodeluso! Permettetemi di condividere alcune idee.
I molti psicologi dello sport (APS) e i ricercatori non ha dato la ricetta per una carriera di successo su un piatto d’argento. Ma perché ci dovrebbe essere una traiettoria chiara in una disciplina in cui la risposta è spesso “Dipende …”? Pertanto, auto-riflessione e dibattito tra colleghi sono necessari. Durante il fine settimana ho incontrato molti colleghi (futuri) che erano più che disposti a condividere le loro storie con me. E credo che non ci siaano posti miglioriper il networking di una bella cena in barca sul fiume Senna, vicino alla Torre Eiffel, non sei d’accordo?

Leggi su http://emsepblog.tumblr.com/post/51137951759/reflections-of-the-2013-fepsac-conference-in-paris

L’importanza di sognare per un giovane atleta

L’anno dopo le Olimpiadi è per molti atleti un periodo di transizione. Sovente quelli che hanno ottenuto grandi successi nel quadriennio precedente usano quest’anno come momento di recupero per essere pronti l’anno successivo per ricominciare una nuova avventura. Per i più giovani, invece, può essere un anno importante per dimostrare il loro valore nelle gare internazionali in un momento in cui i migliori non stanno spingendo al massimo. Ed è su questi ultimi che voglio soffermarmi, con la domanda: quand’è che un giovane atleta (ragazza o ragazzo) inizia a sognare che può entrare nella squadra olimpica del suo paese? E poi ha senso sognare?

Ho trovato supporto a questa idea in una ricerca condotta alcuni anni fa dal Comitato Olimpico US che ha rivolto questa domanda agli atleti che sono andati alle Olimpiadi nel periodo 1984-1998. Questi i risultati:

  • Gli atleti hanno iniziato a sognare di diventare atleti olimpionici nel periodo in cui hanno ottenuto i primi successi a livello locale (tra 10,9 e 18 anni).
  • Dopo circa 3,5 anni hanno deciso di perseguire questo loro sogno.
  • Dopo circa 1,7 anni hanno pensato che il loro sogno era realistico a un’età compresa fra 13,4 e 22,4 anni.
Le differenze di età sono dovute al fatto che ginnastica e nuoto sono sport più precoci mentre in altri come il tiro, il canottaggio e l’atletica gli atleti raggiungono la maturità a un’età più avanzata.
Questi dati c’insegnano che i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di coltivare i propri sogni e che questi passano da una fase iniziale di desiderio, a una in cui si decide d’impegnarsi per realizzarlo e all’ultima in cui si ritiene realistica la realizzazione. Un altro risultato importante riguarda il breve periodo di tempo intercorso fra la decisione di diventare olimpionico e la convinzione che sarà possibile.

 

 

Perchè gli allenatori non consigliano l’allenamento mentale

Sempre più spesso mi chiedo perchè la maggior parte degli allenatori non consiglia ai propri atleti di seguire un programma di allenamento mentale. Non parlo di atleti principianti ma di ragazzi che praticano da diversi anni uno sport e che vogliono valorizzare le loro abilità quando gareggiano. Le parole tipiche degl allenatori di fronte a delle difficoltà psicologiche sono: “mettici un po’ più di …” e qui si può scegliere la dimensione psicologica che si ritiene più opportuna: più fiducia, più attenzione, più decisione, più impegno e così via. Il problema è che gli atleti di solito non capiscono queste frasi, e non sanno come “essere più”. D’altra parte la scarsa attenzione degli allenatori alla dimensione psicologica è evidente nel fatto che quasi nessun atleta sa fare un respiro profondo, non hanno perso tempo a insegnarglielo! Mentre è noto a tutti che un respiro profondo è in grado di abbassare livelli di tensone psicologica troppo elevati ma non importa l’allenatore che si trova in questa situazione dirà al suo atleta, la frase risolutiva “Stai calmo” e come conseguenza l’atleta o si sentirà ancora più agitato oppure si arrabbierà con l’allenatore che non lo sa aiutare.

Come si risolve questo problema? Semplicemente, gli atleti più consapevoli del valore della mente decidono da soli di andare da un esperto in mental coaching, naturalmente esistono anche gli allenatori che orientano  gli atleti a seguire questa opzione ma sono pochi.

I normali errori di Buffon

I campioni fanno pochi errori e ciò nonostante hanno spesso un impatto molto negativo sul risultato della gara. E’ questo il caso dei due errori commessi da Buffon, portiere della Juventus, che hanno determinato le due reti con cui la Sampdoria ha vinto la partita. Questi errori ci colpiscono molto di più rispetto a quelli commessi da altri giocatori meno talentuosi. Anche perchè l’errore del portiere, rispetto ad altri ruoli, con più facilità determina una rete a favore degli avversari. Mi sono piaciute le dichiarazioni di Buffon quando ha detto che lui qualche errore lo commette durante la stagione e che questo fa parte della normalità. Seconda affermazione importante è stata quella di dire che una squadra è forte se sa reagire a questi eventi negativi fornendo subito una prestazione vincente. Queste parole confermano una famosa frase secondo cui “non è importante quante volte cadi ma quanto in fretta ti rialzi”. Per i giovani atleti è importante prendere ispirazione dall’esperienza di campioni come Buffon, per capire che tutti sbagliamo ma che la differenza tra i giocatori bravi e gli altri sta nella reazione all’errore, piangersi addosso o addossare le colpe agli altri compagni non serve, anzi è dannoso.

Non è un paese per i giovani sportivi

Il 2012 è finito con la politica che nei suoi programmi non parla di sport e con lo sport che si lamenta di questa assenza, senza fare null’altro. E’ una brutta notizia per tutti noi che siamo convinti che avere uno stile di vita fisicamente attivo non sia solo un passatempo ma un diritto fondamentale per il nostro benessere.  Forse il problema degli esodati viene prima, ma siamo sicuri che avere la più alta percentuale di bambini sovrappeso d’Europa sia un bel record? Mangiano male,  non fanno attività fisica e stanno troppo seduti a scuola e a casa. Negli Stati Uniti questo problema ha suscitato una battaglia condotta da Michelle Obama, non proprio una persona qualsiasi e sta dando i primi risultati positivi, giacché nelle città il sovrappeso sta regredendo. Siamo il paese con il minore numero di ore di attività fisica a scuola e lo si ignora. Devono essere tre ct delle nazionali di pallavolo, rugby e ciclismo a parlare di questa piaga italiana ma le loro dichiarazioni non hanno suscitato nessuna reazione. Il futuro dei giovani si crea anche pensando ai bambini  e agli adolescenti che lasciano non solo lo sport ma anche qualsiasi forma di attività fisica a partire dalla scuola media e non ci torneranno mai più, tranne qualcuno che seguirà il consiglio del medico che se non vuole avere ulteriori problemi di salute deve fare un po’ movimento. Noi ai nostri figli gli tagliamo le gambe sin dall’inizio della loro vita e anche per questo non siamo un paese per giovani.

(da  http://www.huffingtonpost.it/../../alberto-cei/lo-sport-e-assente-dallag_b_2381927.html)

 

Bettini: bisogna rifondare il ciclismo

Il ct della nazionale di ciclismo Paolo Bettini ha detto in un’intervista a Eugenio Capodacqua (pubblicata oggi La Repubblica) che lascerebbe questo ruolo per un altro che gli consentisse di lavorare bene con i giovani. In sostanza afferma che i giovani sono nauseati da allenamenti non adeguati a loro, da genitori ossessionati dai soldi e dalle organizzazioni sportive che chiedono di raggiungere risultati a ogni costo. Mi sembra evidente come questo approccio non sia altro che l’anticamera del doping e che nel contempo allontana dal ciclismo quei giovani che non accettano questo tipo di cultura sportiva. Bettini esprime il suo pensiero con molta chiarezza: “Non si può obbligare un ragazzino a fare allenamenti di 4 ore e mezza e poi palestra, sacrifici, privazioni. Ho visto tabelle junior uguali a quelle di un prof. Il risultato? La nausea”.

E’ altrettanto chiaro sulle proposte da realizzare: “Le cose da fare si sanno: la scuola, il reclutamento, l’avvio graduale, il rifiuto del risultato ad ogni costo. Ma al momento di metterle in pratica c’è sempre qualcuno che si oppone e dice – perché cambiare se abbiamo fatto sempre così? −”. Troppo facile replicare a queste persone che è proprio perché si è fatto sempre in questo modo che il ciclismo è diventato uno degli sport meno puliti.

Complimenti a Bettini per avere detto che ai giovani serve altro e che il ciclismo italiano deve cambiare. Gli psicologi dello sport saranno certamente al suo fianco nel sostenere questa battaglia di cultura sportiva.

Sport sotto stress

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-34c44cc4-0fe6-457a-8940-8f3dc40093a5-raisport.html#set=ContentSet-1142e8eb-ec5b-4ece-bceb-72db5410e0f0&page=0