Archivio mensile per febbraio, 2023

Le chiavi del successo

Lo sport si compone di statistiche che permettono di spiegare il livello di forma di un atleta, piuttosto la qualità del suo gioco e delle su prestazioni. Da psicologo dello sport voglio fornirne alcuni per mettere in evidenza cosa bisogna fare per aspirare a costruirsi una mentalità vincente:

  • 3 - le chiavi del successo: impegno e dedizione, famiglia e amici, allenatori e staff eccellenti.
  • 4 - le abilità psicologiche di base: imparare dall’esperienza, rilassarsi, self-talk positivo e ripetere mentalmente.
  • 6 - le fasi della carriera dell’atleta: divertirsi muovendosi, imparare a allenarsi, allenarsi ad allenarsi, imparare a competere, imparare a vincere, ritiro e passaggio di carriera.
  • 7 - le abilità psicologiche avanzate: goal setting, gestione dello stress, concentrazione, gestione della gara, valutazione delle prestazioni, gestione della vita extra-sportiva, rapporto allenatore-atleta.
  • 700 - le ore di allenamento di un atleta junior.
  • 1.200 - le ore di allenamento annuali di un atleta di livello assoluto.
  • 10.000 - le ore necessarie per diventare atleti esperti.
  • molte migliaia - sono gli errori commessi da accettare.

Per vincere bisogna saper perdere

“Sbaglio, ecco perchè vinco sempre” dichiarava spesso Russell Coutts, 4 volte campione della Coppa America contro team e imbarcazioni diverse, quando gli si chiedeva qual era il suo segreto di skipper vincente. La stessa frase è già stata detta da Michael Jordan: “Nella mia vita ho fallito spesso e ho continuato a sbagliare. Ed è per questo che ho avuto successo”.

Facile a dirsi quando si è delle star mondiali … ma se invece fosse vero? Se fosse proprio come si reagisce agli errori la differenza fra un atleta anche bravo e un campione? In tal caso il segreto consiste nel sapere accettare gli errori, non viverli come fallimenti personali ma come esperienze necessarie per trovare la strada giusta.

Ci pensate a un allenatore di un giovane atleta che gli dice: “devi essere felice di sbagliare, perchè solo in questo modo puoi capire cosa fare”. Quanti allenatori conoscete che parlano in questo modo?

I segreti del benessere: movimento e relazioni interpersonali

Xu X., Mishra G.D., Holt-Lunstad J., et al. Social relationship satisfaction and accumulation of chronic conditions and multimorbidity: a national cohort of Australian women General Psychiatry 2023;36.

Premessa - Le relazioni sociali sono associate alla mortalità e alle condizioni croniche. Tuttavia, si sa poco sugli effetti della soddisfazione delle relazioni sociali sulle condizioni croniche multiple (multimorbidità).

Obiettivi - Esaminare se la soddisfazione delle relazioni sociali è associata all’accumulo di multimorbilità.

Metodi - Sono stati analizzati, a partire dal 1996, i dati di 7.694 donne australiane prive di 11 patologie croniche all’età di 45-50 anni. Ogni 3 anni sono stati misurati cinque tipi di soddisfazione delle relazioni sociali (partner, familiari, amici, lavoro e attività sociali)  ottenendo un punteggio da 0 (molto insoddisfatto) a 3 (molto soddisfatto). I punteggi di ogni tipo di relazione sono stati sommati per ottenere un punteggio di soddisfazione complessivo. Si è voluto studiare l’accumulo di multimorbilità in relazione a 11 condizioni croniche.

Risultati - In un periodo di 20 anni, 4.484 donne (58,3%) hanno riportato multimorbilità. Rispetto alle donne che riferivano la massima soddisfazione (punteggio 15), le donne con la soddisfazione più bassa (punteggio ≤5) avevano le probabilità più elevate di accumulare multimorbilità. Risultati simili sono stati osservati per ogni tipo di relazione sociale. Altri fattori di rischio, come lo stato socioeconomico, comportamentale e la menopausa hanno spiegato insieme il 22,72% dell’associazione.

Conclusioni - La soddisfazione delle relazioni sociali è associata all’accumulo di multimorbilità e la relazione è spiegata solo in parte da fattori socioeconomici, comportamentali e riproduttivi. I legami sociali (ad esempio, la soddisfazione per le relazioni sociali) dovrebbero essere considerati una priorità di salute pubblica nella prevenzione e nell’intervento sulle malattie croniche.

Nelle squadre è questione di fiducia?

Gli allenatori di calcio parlano spesso di mancanza di fiducia. 

Innanzitutto bisogna rendersi conto che quando si attribuisce un risultato alla mancanza di fiducia si dice tutto e niente, poiché pur se sappiamo che la convinzione è necessaria per giocare bene, bisogna però conoscere le cause che l’hanno determinata, altrimenti è un modo di dire che serve solo all’allenatore per salvare la sua coscienza personale e professionale: “Non è colpa mia, sono loro che non sono sicuri”.

Se invece si capisce di quali ingredienti è composta la fiducia probabilmente ci si sta già avvicinando alla cura. A tale riguardo le domande da porsi sono le seguenti:

  1. I calciatori e la squadra sono consapevoli di cosa sanno fare?
  2. Sono concordi su come devono giocare nelle varie fasi della partita o hanno dubbi/timori?
  3. Sanno mantenere con coerenza questo tipo gioco durante l’incontro?
  4. La squadra ha un piano per reagire a situazioni di gioco impreviste?

Se non si risponde a queste quattro domande non si potrà migliorare; bisogna essere consapevoli di cosa manca, l’allenatore per primo. Non ci si può nascondere dietro la frase: “La squadra non ha seguito le mie indicazioni” oppure “La squadra non ha personalità“, bisogna conoscere cosa ha determinato questi effetti altrimenti si continuerà a perdere.

In termini pratici, il primo passo per aumentare la competenza della squadra consiste nell’allenare le abilità tattiche e mentali attraverso esercitazioni di qualità. Infatti l’allenamento delle abilità attraverso un allenamento coscienzioso assicura i giocatori che sono in grado di svolgere quanto viene loro richiesto. Preparazione – miglioramento – competenza procedono di pari passo e questo tipo di pratica quotidiana consente di focalizzarsi sui progressi che avvengono in una singola seduta, in una settimana, in un mese e così via. In tal modo non si modella solo la competenza ma anche la capacità di sapere giocare in modo costante nel tempo.

Attraverso il lavoro sul campo proposto dal tecnico i calciatori sviluppano anche un’altra convinzione che è estremamente importante e cioè che è attraverso il loro impegno che migliorano. Il trittico preparazione – miglioramento – competenza si realizza con successo solo se i calciatori si sentono impegnati al massimo nel realizzare quanto viene loro richiesto. Se invece non scatta questo meccanismo gli allenamenti saranno condotti con il pilota automatica, senza rischiare di sbagliare e impegnandosi quanto basta per non essere ripresi dal tecnico. Quando lavoro con gli atleti, gli faccio notare che questi sono allenamenti “senz’anima” in cui prevale il mestiere di atleta, l’intensità è assente e gli errori vengono spiegati dicendosi “ma è solo un allenamento in gara sarò più concentrato”. In queste occasioni, bisogna essere molto chiari con i propri giocatori e fargli notare che allenarsi in questo modo è dannoso, poiché crea una mentalità passiva che non può che non riproporsi in campo.

Allenamenti intensi e con un elevato livello di concentrazione, comportano anche che l’allenatore sia di supporto e d’incoraggiamento proprio perché alla squadra viene chiesto un coinvolgimento totale. L’idea di base è questa: più si è esigenti in termini qualitativi (velocità e precisione), maggiore deve essere la disponibilità ad accettare gli errori e a sostenere per prima cosa l’impegno e in seconda battuta il risultato. Se si agisce al contrario, prima il risultato e poi l’impegno, i calciatori cominceranno a fare solo ciò che sanno fare bene, in modo tale da ricevere il rinforzo positivo del tecnico, riducendo così la possibilità di migliorare.

I problemi di personalità dell’Inter

In questo campionato l’Inter sta dimostrando una mancanza di personalità da parte dei giocatori, che sembrano non avere capito quale sia la logica di una corsa a tappe come è il campionato, in cui la regolarità del passo è decisiva per raggiungere risultati importanti.  E’ un tema d’importanza capitale per chiunque voglia raggiungere obiettivi impegnativi. Oggi molte persone hanno questo problema. Si può anche avere una stima di se stessi positiva, che consiste nel valore che ci attribuiamo come persone, ma avere nel contempo poca fiducia. E’ possibile, perchè la fiducia è determinata dalle abilità e riflette l’ottimismo di sapere affrontare specifiche situazioni e circostanze in modo apparentemente spontaneo. E’ più facilmente influenzabile da eventi esterni e, quindi, è modificabile in funzione delle situazioni che si stanno vivendo. Ho incontrato diversi atleti motivati, concentrati, competenti ma poco fiduciosi.

La fiducia è come un bicchiere di cristallo, bellissimo e fragile.

Di solito in questi atleti la loro competenza reale è superiore al grado di fiducia in essa. Hanno difficoltà a trarre spiegazioni ottimiste dalle loro esperienze di successo, in tal modo non alimentano la crescita della loro fiducia.

La psicologia positiva è molto chiara su questo punto, bisogna mettere da parte spiegazioni di tipo globale sugli errori che commettiamo. Ciò succede quando ci diciamo “non capirò mai, faccio sempre gli stessi errori” oppure “ancora una volta stesso errore, non imparo”. Mentre bisogna impegnarsi, pensando che gli errori indicano la strada per migliorare, quindi accettiamoli e impegnamoci a fare diversamente. Deve diventare un modo di pensare automatico e perchè succeda bisogna farlo, qualcuno impara più rapidamente per altri ci vorranno dei mesi.

La domanda è: “Quando mi trovo nelle situazioni per me più importanti, quale voglio che sia il mio pensiero dominante? E cosa faccio?”.

Perchè ciò accada in gara, questo modo di essere deve essere già dentro l’atleta, non s’inventa sul momento. Va praticato sempre in allenamento, deve diventare un modo spontaneo di pensare e agire.

 

Le competenze dell’allenatore

Spesso mi viene chiesto quali sono le caratteristiche psicologiche di un leader che lavora con gruppi che mirano all’eccellenza, in questo caso l’allenatore di una squadra o di un gruppo di atleti.  Sappiamo bene che non esiste un profilo ideale, una personalità del vincente. Abbiamo però imparato dai dati scientifici che esistono delle competenze e degli atteggiamenti che un leader deve sapere manifestare in modo coerente e costante nel tempo. Ho imparato anche molto da alcuni psicologi di livello mondiale ed esperti in prestazioni di livello assoluto come John Salmela, Robert Nideffer, Peter Terry, Ken Ravizza.
Alla fine della storia, ho individuato integrando dati e esperienze professionali 10 dimensioni che sembrano possedere gli allenatori di élite. Non è facile praticarle nella vita professionale quotidiana ma chi vuole avvicinarsi a questo mondo dovrebbe, a mio avviso, fare un check per verificare quanto in lui/lei sono presenti.
  1. Competitivi: Individui personalmente competitivi, motivati e spinti dal desiderio di dare il meglio di sé.
  2. Motivazione: Persone che hanno una grande quantità di energia ed entusiasmo. Persone che non si preoccupano del numero di ore di lavoro, purché sentano di essere messi alla prova, di dare un contributo positivo all’organizzazione e di muoversi nella direzione di raggiungere i propri obiettivi.
  3. Responsabilità/Iniziativa: Sono persone che hanno un alto livello di fiducia nella loro capacità di avere successo e di portare a termine il lavoro. Sono allenatori che non hanno paura di assumersi nuove responsabilità e che imparano dai propri errori. Allenatori che non hanno paura di chiedere aiuto.
  4. Equilibrio tra sostegno e confronto: Si tratta di persone sensibili alle relazioni interpersonali, che leggono con precisione le situazioni e le emozioni delle persone (comprese le proprie) e sono in grado di trovare un equilibrio appropriato tra sostegno e confronto.
  5. Abilità verbali: Si tratta di persone in grado di esporre pensieri e idee in modo chiaro. Non sovraccaricano e/o confondono le informazioni. Non hanno paura di parlare a voce alta, di fare domande e/o di discutere di questioni sia individualmente che in gruppo.
  6. Capacità di ascolto: Sono persone che sanno quando parlare e quando ascoltare. Individui che non si mettono sulla difensiva quando vengono sfidati e/o confrontati con altri.
  7. Aperti/non difensivi: Hanno un alto livello di autoconsapevolezza. Sanno quali sono i loro punti di forza e di debolezza, sanno come gli altri li vedono e prendono provvedimenti per massimizzare i loro punti di forza e minimizzare e/o superare le loro debolezze.
  8. Creazione di team e relazioni: Si tratta di persone in grado di stabilire buoni rapporti di lavoro con gli altri. Individui che riconoscono e sono in grado di sfruttare i contributi che ogni individuo apporta alla squadra. Persone con le quali gli altri amano lavorare.
  9. Prestazioni sotto pressione e controllo emotivo: Sono in grado di riconoscere quando le emozioni (proprie o altrui) ostacolano una comunicazione efficace e hanno le competenze necessarie per gestirle.
  10. Consapevoli di sé: Sono allenatori che conoscono i propri punti di forza e di debolezza e se ne assumono la responsabilità. Quando si trovano di fronte a un problema, non si mettono sulla difensiva, si assumono la responsabilità dei loro errori e dei loro fallimenti e imparano da essi.

Come i campioni gestiscono gli errori

Rafa Nadal - “La cosa da imparare non è come si fa una rimonta. Ma che non bisogna mai arrendersi, l’esempio è quello che dai ogni giorno, per tutta la vita: l’esempio di non spaccare la racchetta per la rabbia quando sei sotto 5-1, o quando non perdi il controllo quando ti sembra che le cose in campo non funzionino. E poi devi riconoscere gli errori e trovare la soluzione per commetterne il meno possibile: io li accetto fino da ragazzo”.

Serena Williams – Non ho rimpianti. Non vivo nel passato. Vivo nel presente e imparo a non commettere gli stessi errori in futuro.

Kobe Bryant - Il fuoriclasse dei Los Angeles Lakers è stato primatista NBA per tiri sbagliati, commettendo 13.418 errori a canestro.Quando raggiunse questo record disse: ”Non seguo queste cose … Come spiego il record? Sono una guardia e gioco da 19 anni  … Per la verità non mi interessa. Quando ero un ragazzino ricordo di aver visto Michael Jordan tirare 49 volte in una partita delle Finali Nba. Immaginate se io avessi fatto qualcosa del genere e avessi perso. Bisogna guardare ogni cosa in prospettiva. Bisogna prendersi le responsabilità e giocare, non ci si può preoccupare delle critiche e di un eventuale fallimento”.

LeBron James - “Don’t be afraid of failure. This is the way to succeed … The greatest glory in living lies not in never falling, but in rising every time we fall.”

Muhammad Ali - “Solo un uomo che sa cosa vuol dire essere sconfitto può raggiungere il fondo della sua anima e tirare fuori quel briciolo di forza in più che serve per vincere quando la partita è in parità”.

Sofia Goggia - Dopo avere vinto per la terza volta la Coppa del Mondo di discesa libera: “C’è chi crolla e chi crolla e chi sa resistere. Io ho resistito.

L’educazione mentale dei giovani atleti

In questi anni c’è stata una diffusione molto ampia del lavoro dello psicologo dello sport nell’attività giovanile. Negli anni dell’avviamento allo sport dai 6 ai 12 anni il lavoro è essenzialmente orientato a migliorare la professionalità degli istruttori e a lavorare su specifiche problematicità che possono sorgere con i bambini e con le loro famiglie. Nelle età della adolescenza, a partire dai 13 anni l’attività dello psicologo si amplia ulteriormente, orientandosi direttamente su un lavoro individuale con i giovani. Questo fenomeno riguarda quelle società sportive più consapevoli di altre degli aspetti mentali dell’allenamento e delle competizioni e che vogliono servirsi del nostro lavoro per migliorare la partecipazione dei loro atleti e delle atlete.

E’ un lavoro che con una presenza durante gli allenamenti faccio nel tennis, tennis tavolo e nel tiro a volo a cui si aggiunge un appuntamento settimanale online. Il lavoro in remoto è ormai quello più diffuso con giovani che vivono in diverse parti d’Italia e che vogliono servirsi della mia consulenza e riguarda diversi sport individuali e in special modo quelli di opposizione come la scherma e gli sport di combattimento.

Per quanto mi riguarda questo lavoro è centrato sull’educazione mentale dei giovani in relazione all’allenamento e alle gare.

Gli obiettivi sono diversificati e riguardano:

  1. capire come s’impara un’abilità motoria, tecnico-tattica e mentale
  2. capire qual è l’atteggiamento migliore per allenarsi e partecipare alle gare
  3. sapere che la tecnica e la forma fisica sono fondamentali ma senza guida mentale non si migliora
  4. allenarsi con la convinzione che s’impara solo sbagliando
  5. accettare gli errori
  6. essere corretti con i compagni e gli avversari
  7. sapere che il dialogo con se stessi deve essere costruttivo, altrimenti è dannoso
  8. essere consapevoli di cosa s’impara o si è migliorati in ogni allenamento e gara
  9. domandare quando non si è capito
  10. sapere che diventare un atleta esperto è un progetto a lungo termine
Questi punti sono fortemente correlati gli uni agli altri e la preparazione mentale di questi giovani atleti da svolgere in campo e online permette loro di capire e sviluppare le abilità necessarie che li porteranno a essere soddisfatti del loro impegno sportivo.

 

I fattori che determinano l’attivazione ottimale per giocare una partita

Nel calcio il variare dei livelli di attivazione delle squadre durante le partite è influenzato da molte situazioni e dalle caratteristiche individuali dei giocatori. L’attivazione riguarda il grado di prontezza di un team nel sapere mettere in atto il proprio gioco contro un determinato avversario. Sono però molte le variabili che possono influenzare questa condizione psicologica, fra queste le più importanti sono:

L’esperienza sportiva – maggiore è l’esperienza a giocare partite di alto livello, maggiore sarà la capacità di sapere entrare in partita al livello di attivazione ottimale.

L’ansia – maggiore è il grado d’insicurezza nei riguardi del proprio ruolo in campo, maggiore sarà il livello di attivazione, che se non verrà ridotto potrà impedire al calciatore di giocare al suo meglio.

La fatica – maggiore è la stanchezza fisica e mentale, maggiore è la probabilità di manifestare livelli di attivazione e di agonismo troppo bassi e pertanto non adeguati.

L’impulsività – maggiore è l’impulsività del calciatore, maggiore sarà la probabilità che il suo livello di attivazione sia troppo elevato nei momenti di maggiore tensione agonistica e che il suo gioco diventi falloso.

Il controllo dei pensieri – migliore è l’autocontrollo personale durante la partita, minore è la probabilità di agire senza pensare.

La motivazione – minore è la motivazione a giocare al proprio meglio, minore sarà l’impegno e l’attenzione e minore sarà il livello di attivazione fisica e mentale.

La tenacia – maggiore è la convinzione di sapere affrontare con determinazione qualsiasi situazione competitiva, più efficace sarà il livello di attivazione in cui il calciatore saprà mettersi prima della partita.

Il ruolo in campo – più chiaro e specifico è per il calciatore il suo ruolo in campo, con più facilità saprà a cosa prestare attenzione, come caricarsi mentalmente prima dell’inizio della partita e come mantenere questa condizione durante il suo svolgimento.

Le fasi della partita – Tutto ciò che succede durante la partita influenza ed è influenzato dai livelli di attivazione dei giocatori e delle squadre in un processo d’interazione costante e reciproca. Partite importanti e decisive o partite amichevoli, fasi iniziali o finali del match, risultato a favore o a sfavore, giocare in 10 piuttosto che in 11, sono situazioni che incidono sull’intensità della carica agonistica, che corrisponde al livello di attivazione del collettivo.

La squadra – parafrasando il detto che la squadra campione è formata dai calciatori che si amalgamano nel modo migliore, si può affermare che la squadra campione è costituita da quei calciatori dalla cui attivazione globale si sprigiona la carica agonistica necessaria a esprimere il proprio gioco.

La povertà educativa in Italia

“Non c’è possibilità di sviluppo in un Paese che ha percentuali di dispersione scolastica intorno al 20%. Un ragazzino che si perde e finisce in circuito penale costa allo Stato quattro volte di più di quello che costerebbe se fosse inserito in un programma di recupero scolastico”.  Così ha detto Andrea Morniroli sull’istruzione in Italia. Come coordinatore, insieme a Fabrizio Barca, del Forum delle disuguaglianze e diversità,

Alcuni dati terribili:

  • La povertà educativa incide sul Pil del paese intorno al 4%.
  • Il rapporto Caritas mette in luce che la povertà intergenerazionale ha caratteristiche ben precise: l’ascensore sociale esiste per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; gli altri giovani rimangono nella condizione sociale ed economica originaria.
  • Si eredita anche il livello di istruzione. I poveri si fermano alla terza media e talvolta anche alla sola licenza elementare, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti.
  • Tra i figli di persone con la laurea invece, più della metà arriva a un diploma di scuola media superiore o alla laurea.
  • Oltre a ragazzi che lasciano la scuola, c’è anche chi non raggiunge le competenze di base per trovare lavoro. Sono il 17% nel mezzogiorno e il 22% in Sicilia. Il 90% di questi sono i figli dei figli dei poveri.

Questa è la fotografia di un paese che non ha fatto della conoscenza una priorità.