Archivio mensile per febbraio, 2023

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Scrivere un tema è come partecipare a una gara

Ho iniziato ad associare il competere in una gara allo scrivere un tema.

Il titolo del tema e della gara riguarda come sviluppare la migliore prestazione di cui si è capaci in base alle proprie competenze.

In ambedue le prove la qualità della prestazione è determinata dall’integrazione fra aspetti fisici e motori, tecnico-tattici e mentali. Nella scrittura così come nella prestazione sportiva gli aspetti fisici e motori sono fondamentali. Nella prima vi è la coordinazione fine richiesta per scrivere in modo fluido e continuativo che nello sport è ugualmente presente anche se si manifesta in modo diverso.

Gli aspetti tecnico-tattici nel tema riguardano le conoscenza della grammatica e l’abilità nel saper introdurre un argomento, nello svilupparlo e infine nel concludere il tema. Nello sport si parla degli aspetti fondamentali di una  disciplina sportiva e di come gareggiare in funzione non solo di se stessi ma in relazione all’ambiente esterno, ai tempi da rispettare, alla durata e così via.

La parte mentale riguarda i concetti che si vuole organizzare ed esprimere così come nello sport riguarda fra le altre cose, il mantenimento dell’autocontrollo e la gestione dello stress.

Il tema e la gara hanno anche in comune che per diventare esperti nello svolgere questi compiti ci sono voluti molti anni di studio e di allenamento nonché di prove che da semplici sono diventate più impegnative.

E’ chiaro che ciò che conta in gara è la qualità della prestazione e nel tema la qualità dei contenuti espressi ma tutto questo si basa anche sui fattori strutturali di queste due prove che sono la componente fisico-motoria e le competenze tecnico-tattiche.

A conferma di ciò molte ricerche hanno ampiamente dimostrato che attività sportiva e scolastica si rinforzano reciprocamente e non sono affatto alternative.

 

Qual è lo scopo di una gestione efficace delle pause in gara

In molti sport vi sono delle pause tra un punto e l’altro. Ci sono nella scherma, nel tiro a volo e nel tiro a segno, nel tennis e nel tennis tavolo ma anche in sport di squadra come la pallavolo. Spesso gli atleti, però, non fanno buon uso di questi momenti, considerandoli come fasi di sospensione e non come momenti che sono parte integrante della loro prestazione. Quando questa convinzione è dominante, le pause vengono vissute come un tempo attesa prima dell’inizio dell’azione vera e propria. In generale, si può dire che solo gli atleti di élite fanno buon uso di questi momenti per ridurre lo stress e riconcentrarsi su quanto sta per succedere.  E comunque non è raro vedere utilizzare male le pause anche da parte di atleti che sono tra i primi cento nel tennis e nel tennis tavolo, quindi professionisti.

Molti atleti non sono consapevoli di una regola semplice e cioè che il prima determina il dopo. Non sanno che cosa fanno durante la pausa determinerà la qualità della loro prestazione nel punto successivo.  In gara diventano preda delle loro preoccupazioni, si mettono dubbi e pensano al risultato. Sono convinti che basti essere in forma per fornire una prestazione eccellente, non pensano che sono le loro convinzioni prima dell’azione a permettergli di performare il prossimo punto nel modo in cui sono capaci. D’altra parte molti giovani non si allenano a gestire le pause, per cui come possono fare in gara quanlcosa  che non fanno mai in allenamento?

Non voglio entrare nel merito di come allenare le pause e di come servirsene in gara, m’interessa intanto stimolare gli allenatori a insegnare ai loro atleti cosa fare durante le pause e agli atleti a praticare questo approccio in allenamento allo scopo di stabilizzare una propria routine, coerente con le diverse fasi di gara e del punteggio.

Tennis mental coaching

In gara bisogna capire quali errori si commettono

Hai mai pensato che i singoli errori che gli atleti commettono in gara si possono attribuire a diverse modalità indipendentemente dalle cause che li determinano. Si può sbagliare perchè si è troppo ansiosi o poco convinti delle proprie capacità. Quindi si fanno errori per diverse ragioni, che possono essere anche di origine mentale. Dobbiamo però imparare a chiederci quali sono gli errori che commettono Mario e Giovanna quandovivono questi stati mentali.

Si sbaglia perchè:

Pensa troppo - L’atleta non sceglie fra diverse alternative che gli vengono in mente, è troppo analitico e perde il ritmo della gara

Pensa troppo poco - Per tutta la gara l’atleta persegue un solo pensiero senza impegnarsi a fare qualcosa di diverso, mostra un tipo di attenzione rigida e ridotta

Agisce prima di pensare -  L”atleta s’impegna a reagire alla situazione ma senza avere alcuna idea da realizzare, si comporta in modo impulsivo

Cambia spesso idea - L’atleta cambia spesso il piano di gara, ingigantendo l’importanza degli errori commessi

Stabilire specifici obiettivi da perseguire, la ripetizione mentale della gara, l’essere pronti a fronteggiare gli errori sono tre strategie utili, se praticate insieme, per ridurre questi limiti.

Le difficoltà del ruolo di allenatore nel calcio

In questi ultimi blog ho parlato di allenatori e di leadership, professione e ruolo difficili da vivere, poiché richiedono continue decisioni, la costruzione di piano di sviluppo del team e la gestione dei momenti di euforia e di quelli depressivi. L’allenatore, il manager come meglio sarebbe dire, giacché il suo compito è la guida di una squadra, per farlo svolge ruoli diversi coerenti con le situazioni dei singoli e della squadra. La descrizione di questa molteplicità di parti che si trova a vivere l’ha ben descritta Marguerite Yourcenar a proposito dell’imperatore Adriano.

“Regnavano in me di volta in volta personaggi diversi, nessuno dei quali molto a lungo; ma presto quello esautorato riconquistava il potere: l’ufficiale meticoloso, fanatico della disciplina, pronto a dividere con gioia le privazioni della guerra con i suoi uomini; …il giovane luogotenente altero che si ritira sotto la tenda , studia le sue carte alla luce di un lume, e non fa mistero agli amici del suo disprezzo per come va il mondo; finanche il futuro statista….Poco a poco, entrava in funzione un nuovo venuto, un direttore di compagnia, un regista. Conoscevo i nomi dei miei attori; regolavo loro entrate e uscite plausibili; tagliavo le risposte inutili; evitavo con cura gli effetti volgari. Imparavo, infine, a non abusare del monologo: Poco a poco, le mie azioni mi formavano”.

Il lavoro dell’allenatore è una professione rischiosa data la frequenza con cui nel calcio vengono esonerati e richiede, pertanto, lo sviluppo di una serie piuttosto complessa di competenze tra loro integrate. fra cui svettano:

  1. possedere una visione personale e professionale coerente e in linea con i valori chiave del club
  2. sviluppare capacità chiave nella valutazione delle prestazioni e nel dare feedback costruttivi
  3. ottimizzare la gestione delle priorità
  4. comprendere e gestire i conflitti
  5. migliorare l’efficacia di comunicazione
  6. gestire nel modo più efficace le relazioni interpersonali
  7. sviluppare una rete di relazioni personali e di lavoro con lo staff e la dirigenza
  8. dimostrare comprensione delle capacità chiave e delle aree di sviluppo dei calciatori
  9. fronteggiare i sovraccarichi di lavoro ed equilibrare lo stress
  10. realizzare un bilanciamento tra lavoro e vita privata

 

Arabia Saudita non può essere sponsor della FIFA

“Penso sia bizzarro che la FIFA voglia Visit Saudi come sponsor dei Mondiali femminili, quando io non sarei nemmeno supportata e accettata in quel paese” ha detto Alex Morgan, stella della nazionale statunitense.

“Penso che l’Arabia Saudita possa impegnarsi con la sua squadra femminile, che è stata formata solo un paio d’anni fa e non è ad oggi nemmeno classificata nel sistema di ranking della Fifa a causa delle poche partite che ha giocato. Questo sarebbe il mio consiglio. E spero davvero che la Fifa faccia la cosa giusta”.

“L’US Soccer sostiene fortemente i diritti umani e l’equità per tutti e crede nel potere del nostro sport di avere un impatto positivo”, ha dichiarato la federazione statunitense. “Sebbene non possiamo controllare il modo in cui le altre organizzazioni gestiscono le selezioni degli sponsor per i tornei in cui competiamo, possiamo esprimere le nostre preoccupazioni e continueremo a sostenere le nostre giocatrici”.

Si lavora nel calcio per migliorare la maturità psicologica dei calciatori?

Pioli, allenatore del Milan, è ritornato sullo stesso tema toccato da Maldini giorni fa e che riguarda la necessità di avere del tempo per permettere ai giocatori di maturare per arrivare a essere in grado di gestire lo stress agonistico nei momenti più importanti: “La società non ha sbagliato gli acquisti, sono tutti giocatori talentuosi. Semplicemente è meglio fare giocare i più solidi nei momenti difficili. Ognuno ha la sua crescita e vi assicuro che i nostri ragazzi stanno crescendo”.

Anch’io lavorando con giovani atleti/e mi trovo a pensare le stesse cose e a lavorare con loro su come sviluppare queste capacità. Ciò di cui parlano Maldini e Pioli è la difficoltà più importante, a mio avviso, che un calciatore deve superare indipendentemente dal suo talento e dalla quantità di allenamento. Ci si può allenare anche 20 ore a settimana ma se non si mette a focus questo obiettivo si manterrà intatto lo stesso limite.

Credo che la maggior parte dei calciatori s’impegni molto, non credo sia questo il loro problema. E’ un modo per rilevare questa difficoltà consiste nell’osservare la sua reazione a un fallo. Subisce un fallo ma è subito pronto a riprendere l’azione oppure subisce un fallo, protesta e riprende a giocare?. Il primo atteggiamento è una dimostrazione di maturità psicologica mentre il secondo non lo è. Una partita di calcio, è piena di episodi di questo tipo che permettono di capire il grado di maturità mentale di un giovane.

A questo punto la mia domanda è: con che frequenza si allena la consapevolezza del calciatore rispetto a questi episodi che ne evidenziano i limiti e come insegnano gli allenatori a sviluppare un atteggiamento diverso in campo. La questione è piuttosto facile da definire. E’ l’atteggiamento del calciatore rispetto alla partita che determina come svilupperà in campo i compiti che gli sono stati forniti. Se l’atteggiamento è sbagliato perchè è poco motivato, è frustrato dall’aggressività degli avversari, vuole essere protagonista indiscusso senza collaborare con i compagni allora è probabile che il suo contributo sarà insufficiente e tenderà a escluderlo dalla partita.

Non mi stupisco della presenza di questi limiti, perchè sono delle strettoie da cui gli atleti devono passare per diventare atleti di livello assoluto o ottimi calciatori. Mi chiedo come mai nel calcio, lavorando con giovani di questo tipo ma che guadagnano milioni, non ci si renda conto dell’importanza della perdita (economica e prestativa) e quindi dell’urgenza di limitare al minimo il tempo in cui un calciatore sta in questa situazione veramente dannosa per la squadra e per lui stesso. Pioli dice “vi assicuro che stanno crescendo”. Nei team in cui lavoro c’è un’attenzione notevole su questo tema e continuamente ci chiediamo quale sia l’allenamento migliore per loro, come intervenire per migliorare la consapevolezza piuttosto che il senso di responsabilità, come migliorare la loro capacità di gestire le frustrazioni. In sostanza, si tratta di un lavoro quotidiano svolto a ridurre queste problematiche. Per dirla in poche parole, insegnamo agli atleti a trovarsi comodi in situazioni scomode. Siamo certi che nei club vi sia lo stesso senso di urgenza nel volere eliminare questo limite?

 

Tennis e mentalità vincente

Molti nel tennis parlano di cosa sia la mentalità vincente. Alcuni la confondono con gli attributi maschili mentre altri la considerano come l’espressione di una fiducia estrema in se stessi, altri ancora pensano che sia questione di carattere e quindi la responsabilità del suo affermarsi dipenderebbe da un fattore innato e non allenabile, infine c’è anche chi ritiene che una bassa condizione sociale determini quella volontà di affermazione che mostrano i campioni, la famosa “fame di vincere”. Queste spiegazioni servono a costruire un’idea rigida e magica della mentalità vincente e pone il tennista in un condizione di subire le sue origini, che se non corrispondono a quelle sopradette non potrà mai emergere come vincente.

Sulla base della mia esperienza con tanti atleti di successo, di cui 12 vincitori di medaglie alle Olimpiadi e di quanto documentato dalla psicologia dello sport in relazione ai top atleti la questione è molto diversa e più articolata. In questo breve articolo voglio fornire alcune indicazioni pratiche che ogni tennista potrebbe impegnarsi a seguire con la certezza di migliorare le sue prestazioni, che ovviamente saranno adeguate al suo livello tecnico, forma fisica e tipo di gioco.

Non avere aspettative, impegnati a fare del tuo meglio - Ogni giocatore vuole vincere la partita che andrà a giocare, ma bisogna mettere nel punto più lontano della mente questa idea e pensare solo a giocare. Nessuno può sapere cosa succederà, mentre tutti possono concentrarsi sul presente, sul servizio e sulla risposta. Nelle mani del tennista vi è la possibilità di impegnarsi al proprio massimo ma non quella di vincere un punto, quindi il focus deve essere solo sul proprio gioco … e poi alla fine dello scambio vedere se il proprio massimo è stato sufficiente o se l’avversario è stato più bravo.

Sii paziente, i momenti negativi stanno arrivando - Il tennis è un gioco in cui vince chi fa meno errori del proprio avversario, lo scopo non è non sbagliare ma sbagliare meno frequentemente dell’altro. I momenti negativi ci sono in ogni set e non si deve avere la presunzione di credere che non arriverà quel momento. Bisogna accettare questo limite e quando si presenta non bisogna arrabbiarsi o deprimersi ma mostrare pazienza e continuare a giocare in modo attento.

Non lasciare che il punteggio determini le tue emozioni - I giocatori poco esperti e molti adolescenti si entusiasmano quando giocano bene e perdono il controllo emotivo quando perdono i punti. Sono tennisti che in campo dimostrano poca stabilità nei loro comportamenti. In tal modo, è il loro stato d’animo che determina come giocano. Spesso dico a queste persone che dovrebbero  essere il primo tifoso di loro stessi, mentre invece si comportano come quei tifosi che applaudono la loro squadra quando vince e la fischiano quando perde.

Gestisci lo stress agonistico e accetta le tue paure - Molti tennisti hanno così paura delle loro paure che preferiscono credere che: “oggi non sentivo i colpi”, “ero rigido, le gambe legnose”, “l’altro ha fatto la partita della vita”. Le ragazze invece sono spesso emotivamente più ondeggianti e si caricano o scaricano in funzione dei punti vinti o persi. Bisogna avere il coraggio di accettare le proprie paure e imparare a gestirle, questa è una delle grandi differenze fra i campioni e gli altri.

Pensare al gioco - Quale che sia il proprio livello tecnico, il tennista deve pensare a come vuole giocare. Può essere anche un semplice “corri e buttala di là” ma non può non pensare. Questo approccio è particolarmente evidente nel servizio: “In che modo metto in difficoltà la mia avversaria?” “Cosa ho fatto quando vinco i punti”. Vi sono pensieri tecnici e pensieri che aiutano a sostenere la motivazione e un approccio attivo al game.  Servono tutte e due.

Indicazioni per lo sviluppo positivo dei giovani tramite lo sport

Il tema di come sport e attività motoria partecipino allo sviluppo dei giovani dovrebbe essere uno degli argomenti più discussi sia dal mondo scientifico che dalle organizzazioni sportive, per rinforzare sempre di più il rapporto tra dati scientifici e ricadute applicative nei programmi di allenamento. Per quanto mi riguarda me ne sono molto occupato sino dai tempi della promozione del minivolley negli anni ’80 sotto la guida di Carmelo Pittera e insieme ad altri psicologi, sviluppando un percorso che comprendeva anche lo sviluppo di abilità psicologiche come l’autostima globale e motoria, la motivazione e la collaborazione e come avrebbero dovuto agire gli insegnanti per essere efficaci nel loro lavoro con i bambini. Per molti anni vi è stato anche all’interno della Scuola dello Sport un grande interesse nei confronti di questa area, che portò all’introduzione di un nuovo insegnamento denominato “Metodologia dell’insegnamento sportivo”, proprio a sottolineare la centralità non solo dei programmi di allenamento ma a pari livello delle strategie e tecniche didattiche e dei sistemi di valutazione del comportamento degli allenatori e dei giovani. In relazione ad oggi mi sembra che la centralità dello sviluppo del giovane sia diventato un argomento certamente riconosciuto come rilevante ma poco studiato. Mi sembra soprattutto che ci sia scarsa conoscenza e condivisione di quanto viene svolto nelle federazioni e nelle grandi organizzazioni sportive su questo tema. Sono convinto che saper fare-fare-far sapere continui a essere un dovere da parte di chi lavora, così da permettere confronti fra le idee, le pratiche e i risultati ottenuti. Il caso contrario porta a pensare che non vi siano dati su cui confrontarsi e che i programmi svolti non siano diffusi per timore di ricevere osservazioni critiche, o forse più semplicemente non si diffonde per pigrizia intellettuale e scarsa motivazione verso questo tipo di attività.

Per stimolare il ritorno a parlare di questo tema riporto qui sotto una breve sintesi di un articolo del 2011 ma ancora attuale, riporta una sintesi degli approcci sul tema dello sviluppo positivo dei giovani attraverso lo sport e chi vorrà attraverso una ricerca degli autori citati potrà conoscerne le indagini più recenti.

Nicholas L. Holt & Kacey C. Neely. (2011).  Positive youth development through sport: A review. Revista Iberoamericana de Psicologia del Ejercicio y del Porte, 6, 299-316.

Il concetto di sviluppo positivo dei giovani (PYD) è diventato negli ultimi anni un “tema caldo” nella psicologia dello sviluppo e dello sport.

Lo sviluppo ottimale può essere definito come un modo per “consentire agli individui di condurre una vita sana, soddisfacente e produttiva, da giovani e poi da adulti, perché acquisiscono le competenze per guadagnarsi da vivere, per impegnarsi in attività civiche, per sostenere gli altri e per partecipare alle relazioni sociali e alle attività culturali” (Hamilton, Hamilton, & Pittman, 2004).

Lo sport giovanile è stato associato a numerosi esiti negativi, tra cui (ma non solo) i problemi associati agli adulti che modellano comportamenti inappropriati (Hansen, Larson, & Dworkin, 2003), l’abuso di alcol (O’Brien, Blackie, & Hunter, 2005), l’impegno in comportamenti delinquenziali (Begg, Langley, Moffitt, & Marshall, 1996) e l’uso di farmaci che migliorano le prestazioni (Siegenthaler & Gonzalez, 1997). La competizione con i coetanei per le posizioni in una squadra può portare a sentimenti di rivalità (Brustad, Babkes, & Smith, 2001) e impedire ai giovani di assumere la prospettiva degli altri, interferendo con lo sviluppo morale (Shields & Bredemeier, 1995). La partecipazione allo sport giovanile è stata anche associata a un aumento della paura e del rischio di lesioni (DuRant, Pendergrast, Seymore, Gaillard, & Donner, 1991). In effetti, sulla base di una revisione della letteratura, Morris, Sallybanks, Willis e Makkai (2003) hanno concluso che mancano prove solide dell’influenza della partecipazione sportiva sullo sviluppo positivo.

Rispetto ai loro coetanei che non praticano sport, i partecipanti hanno riportato livelli più elevati di autostima, regolazione emotiva, risoluzione dei problemi, raggiungimento degli obiettivi e abilità sociali (ad esempio, Barber, Eccles, & Stone, 2001; Eccles, Barber, Stone & Hunt, 2003; Richman & Shaffer, 2000). La partecipazione allo sport è stata anche collegata a una minore probabilità di abbandono scolastico, a un miglioramento della media dei voti e a tassi più elevati di partecipazione all’università per i maschi con scarsi risultati e appartenenti alla classe operaia (Eccles et al., 2003; Marsh & Kleitman, 2003). Come hanno osservato Larson e Seepersad (2003), le esperienze sportive degli adolescenti si distinguono da quasi tutte le altre attività (comprese la socializzazione e i compiti scolastici) in quanto offrono opportunità di divertimento mentre esercitano uno sforzo mirato verso un obiettivo.

I fattori esterni e interni specificati per i bambini pongono un’enfasi maggiore sul ruolo dei genitori nell’aiutare i bambini a svilupparli. Per esempio, nell’ambito dei valori positivi, si suggerisce che gli adolescenti debbano accettare e assumersi la responsabilità personale, mentre nell’infanzia i genitori dovrebbero incoraggiare i bambini ad accettare e ad assumersi la responsabilità delle loro azioni a scuola o a casa.

Hanno identificato sei domini di esperienze di apprendimento, suddivisi in sviluppo personale e interpersonale. Lo sviluppo personale descriveva i processi di sviluppo che avvengono all’interno dell’individuo e comprendeva tre domini: il lavoro sull’identità, lo sviluppo dell’iniziativa e la regolazione emotiva. Lo sviluppo interpersonale descrive i processi di sviluppo che coinvolgono i legami sociali. Comprendeva i domini del lavoro di squadra e delle abilità sociali, delle relazioni positive, compresa l’acquisizione di norme prosociali e le relazioni tra pari, e lo sviluppo di reti di adulti e del patrimonio sociale.

Hanno scoperto che il PYD è stato favorito quando i programmi hanno rafforzato le competenze sociali, emotive, comportamentali, cognitive e morali; hanno costruito l’autoefficacia; hanno dato forma ai messaggi della famiglia e della comunità su standard chiari per il comportamento dei giovani; hanno aumentato il legame sano con gli adulti, i coetanei e i bambini più piccoli; hanno ampliato le opportunità e i riconoscimenti per i giovani; hanno fornito struttura e coerenza nell’erogazione del programma e sono intervenuti con i giovani per almeno nove mesi o più. Questi temi sono caratteristiche dei programmi PYD di alta qualità.

Il National Research Council e l’Institute of Medicine (2002) ha suggerito otto caratteristiche dei contesti di sviluppo legati alla PYD: (a) strutture sicure e che promuovono la salute, (b) regole e aspettative chiare e coerenti, (c) relazioni calorose e di supporto, (d) opportunità significative di inclusione e appartenenza , (e) norme sociali positive, (f) supporto per l’efficacia e l’autonomia, (g) opportunità per lo sviluppo di competenze, (h) coordinamento tra famiglia, scuola e comunità.
 

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