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Sapere di non sapere

La povertà educativa in Italia

“Non c’è possibilità di sviluppo in un Paese che ha percentuali di dispersione scolastica intorno al 20%. Un ragazzino che si perde e finisce in circuito penale costa allo Stato quattro volte di più di quello che costerebbe se fosse inserito in un programma di recupero scolastico”.  Così ha detto Andrea Morniroli sull’istruzione in Italia. Come coordinatore, insieme a Fabrizio Barca, del Forum delle disuguaglianze e diversità,

Alcuni dati terribili:

  • La povertà educativa incide sul Pil del paese intorno al 4%.
  • Il rapporto Caritas mette in luce che la povertà intergenerazionale ha caratteristiche ben precise: l’ascensore sociale esiste per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; gli altri giovani rimangono nella condizione sociale ed economica originaria.
  • Si eredita anche il livello di istruzione. I poveri si fermano alla terza media e talvolta anche alla sola licenza elementare, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti.
  • Tra i figli di persone con la laurea invece, più della metà arriva a un diploma di scuola media superiore o alla laurea.
  • Oltre a ragazzi che lasciano la scuola, c’è anche chi non raggiunge le competenze di base per trovare lavoro. Sono il 17% nel mezzogiorno e il 22% in Sicilia. Il 90% di questi sono i figli dei figli dei poveri.

Questa è la fotografia di un paese che non ha fatto della conoscenza una priorità.

L’importanza di studiare per un professionista

La psicologia dello sport ha raggiunto un notevole livello di diffusione nel mondo universitario. Ogni anno vengono pubblicati migliaia di articoli che spaziano in tutti gli ambiti di questa disciplina.

Le più importanti case editrici pubblicano con grande frequenza manuali piuttosto che libri dedicati a un singolo tema psicologico o a una disciplina sportiva.

Infine, vi sono i libri divulgativi e non ultimi per rilevanza le biografie degli atleti in cui spesso raccontano come affrontato, subito o risolto le loro sfide mentali.

Abbiamo a disposizione una quantità di informazione in cui è anche facile perdersi. Nel corso della carriera di un persona che ha iniziato a lavorare negli ’80 la disponibilità di notizie è cambiata in modo radicale. La Human Kinetics era nata da poco e due erano le riviste internazionali. Il primo manuale in lingua inglese che ho letto è stato nel 1984 “Psychological foundations of sport” di John Silva III e Robert Weinberg e lo consideravo una specie di messale da consultare settimanalmente su qualsiasi questione mi venisse in mente.

Venendo ad oggi ho l’impressione che gli psicologi che vogliono occuparsi di sport leggano poco e le loro letture sono molto orientate verso libri divulgativi  e poco complessi. Seguono molto gli atleti, sia su instagram che leggendo le loro biografie, e anche questi sono fonti d’informazioni che non restano nell’ambito dell’esperienza di un singolo ma diventano anche un orientamento su cui orientare il proprio lavoro. Lo studio approfondito di un manuale non è considerato abitualmente un’opzione importante. Capisco che possa essere meno avvincente della vita narrata ad esempio da Agassi nel suo libro “Open” ma dovrebbe imprescindibile, per poi restringere l’interesse verso articoli scientifici più specifici a seconda dei propri interessi.

Mi auguro di sbagliarmi e di avere una percezione sbagliata rispetto a questo tema della conoscenza.

I giovani devono imparare a imparare

Così ha scritto  Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia:

“La sfida che abbiamo di fronte non è solo dotare di più giovani energie il corpo docente ma soprattutto  come attribuire ai moltissimi insegnanti che quotidianamente si misurano con limiti e difficoltà imposti dalla tradizione, dai programmi scolastici, dai vincoli di bilancio, nuovi obiettivi: quelli cioè d’insegnare ai loro studenti come imparare a imparare, di convincerli dell’importanza di continuare a formarsi lungo tutta la loro vita, lavorativa e non, di diventare ricercatori permanenti, indipendentemente dalla loro occupazione contingente” (da Investire in Conoscenza, 2014, p. 141).

Questa è una delle principali azioni da mettere in campo per fronteggiare con successo le sfide del nuovo secolo.