Archivio mensile per aprile, 2020

La preparazione mentale deve seguire le regole dell’allenamento

L’allenamento psicologico degli atleti dovrebbe svilupparsi seguendo i concetti base dell’allenamento che in sostanza riguardano il passare:

  • dal semplice al complesso
  • da esercizi di carattere generale a quelli specifici per la disciplina praticata
  • da una durata temporale ridotta a una più ampia
  • da essere condotti in condizioni di relativo comfort a condizioni più stressanti e sfidanti
La proposta formulata nel precedente blog risponde infatti a queste esigenze.
  • Il primo esercizio è semplice e di base (fare una respirazione profonda addominale)
  • Il secondo esercizio è di carattere generale, si applica a qualsiasi sport.
  • Il terzo esercizio è specifico per il tennis
  • Infine, il terzo esercizio può essere praticato stando nella propria zona di comfort ma in seguito posso aggiungersi condizioni ambientali o personali di stress
Ecco un spiegazione semplice e pratica di quanto detto in precedenza e che avvicina la preparazione psicologica alle regole e modalità di svolgimento dell’allenamento fisico e tecnico-tattico che sono ben compresi da ogni atleta. In tal modo si favorisce una migliore e più efficace comprensione da parte degli atleti e degli allenatori degli scopi ed effetti dell’allenamngo mentale.

L’allenamento mentale svolto a casa

In questi giorni di lockdown, in tanti mi ha contattato per sapere come è possibile svolgere l’allenamento mentale in mancanza dell’allenamento reale.

E’ difficile spiegarlo in due parole ma voglio comunque fornire un esempio pratico di allenamento che può essere svolto per atleti delle più diverse discipline sportive. L’esempio che propongo riguarda il tennis ma con gli opportuni adattamenti può essere svolto da qualsiasi atleta.

Richiede la competenza di sapere effettuare una respirazione addominale corretta e di sapere cosa voglia dire visualizzare un’azione di gioco.

Questo tipo di allenamento è della durata di circa 25 minuti e dovrebbe essere ripetuto quotidianamente. Ricordate che un esempio e che nel corso delle settimane andrà implementato con altre esercitazioni.

 

Ricordi indimenticabili affiorano lavorando per il 50° anniversario del Journal

Ieri ho scritto a Glyn Roberts in relazione allo special issue dell’International Journal of Psychology che pubblicheremo quest’anno per festeggiare i 50 anni di questa rivista, nata nel 1970. Questi diversi eventi mi hanno riportato alla memoria quando ho incontrato per la prima volta Glyn e gli altri membri del managing council dell’International Society of Sport. E’ stato a Varna, Bulgaria, nel 1987, avevo 32 anni e in quel momento per me fu abbastanza incredibile partecipare a un meeting del managing council, al posto di Ferruccio Antonelli che non aveva voluto partecipare, per parlare del futuro della rivista e soprattutto per ottenere che qualcuno di loro, Robert Singer, John Salmela, Lars Unestahl, Miroslav Vanek o Glyn Roberts assumesse la responsabilità scientifica del Journal.  Furono molto friendly con me, come lo sanno essere i Nord-Americani, forse anche per la ragione che si aspettavano un persona anziana e formale, un po’ nello stile di Antonelli. E quindi rimasero sorpresi quando mi conobbero. C’era molto tempo libero, passato a giocare a tennis, correre e fare passeggiate. Avevo letto il libro di John Silva III e Robert Weinberg intitolato “Psychological Foundations of Sport” e, quindi, conoscevo i capitoli di John Salmela e Glyn Roberts a cui non smettevo di fare domande sulla motivazione piuttosto che sulle origini della psicologia dello sport e il suo ruolo in Nord America.

Certamente molto gentili ma nessuno voleva prendersi la responsabilità della rivista. Conoscevano Antonelli e sapevano che sarebbe stato difficile collaborare con lui, data la sua storia nell’ISSP e anche perché era sua abitudine pubblicare tutti gli articoli che venivano inviati al Journal, senza applicare alcuna forma di revisione. Dissi che ero a conoscenza di questa modalità di gestione della rivista ma che da solo non avrei mai potuto modificare questo tipo di approccio e che, oltretutto non avevo la competenza per gestire una rivista scientifica.

Alla fine della discussione, John Salmela alzò la mano, dicendo in sostanza: “Ok, sono disposto ad aiutare il Journal, perché in ogni caso rappresenta l’International Society of Sport Psychology”. Le sue condizioni erano che lui ed io fossimo i nuovi co-editor, che Antonelli si ritirasse e su questa base avremmo costruito il sistema per migliorare la qualità scientifica del Journal. Le cose non andarono esattamente in questo modo, poiché Antonelli restò ancora per qualche tempo nel ruolo di editor-in-chief, non svolgeva nessuna funzione ma voleva mantenere agli occhi del mondo esterno il ruolo di leader. Comunque il sistema che mettemmo insieme funzionò e, in quegli anni, il Journal accrebbe in qualità scientifica. Con John abbiamo lavorato molto, passando anche del parecchio tempo insieme in Canada prima a Montreal e poi a Ottawa e in Italia, a Roma. Siamo diventati amici e ci siamo visti ogni anno per più di venti anni. Un altro incontro con il managing council fu a Ottawa nel 1992 (come nella foto qui sotto).

Da sinistra, Pierre Trudel, Alberto Cei, poi Jurgen Nitsch, Gerd Konzag,  John Salmela, Robert Singer, Denis Glencross, Gershon Tenenbaum, Marit Sorensen, Glyn Roberts, Atsushi Fujita, Semen Slobunov, Sidonio Serpa, Richard Magill, Carlos Moraes e Terry Orlick.

 

 

 

 

Anniversario fondazione organizzazione mondiale di psicologia dello sport

I bei ricordi aiutano!! Grazie a @NoceFranco, guarda il video.

Coco Gauff e la sua depressione

Coco Gauff, giovane nuova star del tennis internazionale di 16 anni. ha scritto sul sito Behind The Raquet di essere stata depressa per un anno, anche se ottenere buoni risultati sportivi non è mai stato un problema e vive in una famiglia in cui sta bene e che l’accetta. Ciò nonostante qualcosa in questa vita con successi precoci è stato da stimolo per sviluppare la depressione da cui afferma di esserne uscita da poco tempo.

“A volte mi sono sentita troppo impegnata rispetto agli altri. La maggior parte dei miei amici va al liceo normale. Mi sembrava che fossero sempre così felici di essere ‘normali’. Per un po’ ho pensato di volerlo, ma poi ho capito che, proprio come i social media, non tutti sono felici come quello che si vede nei loro post. Mi ci è voluto circa un anno per superare quest’idea”.

Abbiamo spesso parlato in questo blog di come lo sport possa rappresentare una situazione altamente stressante per i giovani che dedicano larga parte della loro vita ad avere successo nel tennis così come in ogni altra disciplina. Il successo ad alto livello raggiunto negli anni dell’adolescenza, l’investimento totale su una singola attività sportiva e la riduzione evidente della vita sociale a cui l’atleta si sottopone nonché le crescenti pressioni determinate da aspettative sportive sempre più elevate e dall’ambiente esterno possono determinare problemi psicologici. Questi si manifestano spesso con il diffondersi di un sentimento di estraniazione dal presente e di depressione come mancanza di quella vita normale idealizzata che sembrano condurre i coetanei.

Se poi i successi sportivi vengono vissuti come un fine su cui giocare la fiducia in se stessi e non come un mezzo per realizzarsi certamente come atleta ma soprattutto come persona, i disturbi psicopatologici possono trovare un terreno fertile su cui svilupparsi. Se scopri che giochi solo per vincere le partite, per diventare ricca, per avere i privilegi che hanno le atlete top, la vita sportiva diventa una rincorsa senza fine ad avere sempre qualcosa di più per essere felici.

Si può giocare tennis anche per queste ragioni, assolutamente legittime, ma se non si mette al centro del proprio progetto sportivo se stessi con la consapevolezza delle proprie capacità e delle proprie carenze, il rischio di non reggere le pressioni insite nell’attività sportivo-agonistica sarà molto elevato.

 

Di seguito le dichiarazioni di Coco Gauff.

“Mi sono sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita senza il tennis. Con quello che questo sport mi ha dato non posso immaginare che la mia vita sarebbe migliore senza. A volte mi sono trovata troppo impegnata rispetto agli altri. La maggior parte dei miei amici va al liceo normale. Mi sembrava che fossero sempre così felici di essere “normali”. Per un po’ ho pensato di volerlo, ma poi ho capito che, proprio come i social media, non tutti sono felici come quello che si vede nei loro post. Mi ci è voluto circa un anno per superare quest’idea. Anche in questo caso, i miei risultati erano ancora buoni, quindi non aveva molto a che fare con il tennis. Non ero comunque felice di giocare. I miei genitori hanno fatto un ottimo lavoro nel cercare di fare in modo che io facessi cose “normali” dell’infanzia. L’anno scorso sono riuscita ad andare al ballo e stavo pensando di andare al ballo fino al coronavirus. Cerco di vedere gli amici il più possibile. I miei genitori lavorano entrambi, quindi passo molto tempo a casa da sola. È difficile andare a scuola da sola mentre non si può socializzare con gli altri studenti. Anche se alcune cose mi mancano, penso che questo stile di vita che vivo sia perfetto per me, e non lo è per tutti. Viaggiare non è mai facile. Ho due fratelli più piccoli e siamo tutti molto uniti. Ogni volta che li lascio mi fa un po’ male. Ogni anno mi perdo il compleanno di uno dei miei fratelli perché cade proprio nel bel mezzo degli Open di Francia. In tutto questo sono fortunata ad averli, perché non sono loro a essere gelosi. A loro non dispiace che io riceva più attenzioni, capiscono e sono sempre di supporto a quello che faccio.

Per tutta la mia vita sono sempre stata la più giovane a fare cose, il che ha aggiunto una pubblicità che non volevo. Aggiungeva questa pressione che avevo bisogno di fare bene in fretta. Una volta che ho lasciato andare tutto questo, quando ho iniziato ad avere i risultati che volevo. Poco prima di Wimbledon, tornando al 2017/18 circa, stavo lottando per capire se questo era davvero quello che volevo. Avevo sempre i risultati, quindi non era questo il problema, mi sono ritrovata a non godermi quello che amavo. Ho capito che dovevo iniziare a giocare per me stessa e non per gli altri. Per circa un anno sono stata davvero depressa.

Quello è stato l’anno più duro per me finora. Anche se l’avevo fatto, mi sembrava che non ci fossero molti amici lì per me. Quando si è in quella mentalità oscura non si guarda troppo spesso il lato positivo delle cose, che è la parte più difficile. Sapevo di voler giocare a tennis, ma non sapevo come avrei voluto farlo. Sono arrivata al punto che pensavo di prendermi un anno sabbatico per concentrarmi solo sulla vita. Scegliere di non farlo, ovviamente, è stata la scelta giusta, ma ero vicina a non andare in quella direzione. Mi ero semplicemente persa. Ero confusa e pensavo troppo se questo era quello che volevo o quello che facevano gli altri. Sono stata molto seduta, a pensare e a piangere. Ne sono uscita più forte e mi sono conosciuta meglio che mai. Tutti mi chiedono come faccio a rimanere calma in campo e penso che sia perché ho accettato chi sono dopo aver superato i punti più bassi della mia vita. Ora, quando sono in campo, sono davvero grata di essere là fuori.

Personalmente mi piace giocare non solo per me stessa. Ora ho delle ragazze che si avvicinano a me, di tutte le razze, ma soprattutto afroamericane, che dicono di prendere una racchetta per la prima volta a causa mia. Mi stupisce perché è così che sono entrata in questo sport. Ricordo che circa un mese prima di Wimbledon andavo al club dove mi alleno e vedevo giocare soprattutto ragazzi. Un mese dopo sono tornata e la maggior parte erano ragazze e l’allenatore ha detto che è stato grazie a me. Non avrei mai immaginato che un torneo potesse avere questo tipo di effetto. Per me, una delle cose più importanti è continuare a rompere le barriere. Allo stesso tempo non mi piace essere paragonata a Serena o a Venus. Innanzitutto, non sono ancora al loro livello. Ho sempre l’impressione che non sia giusto nei confronti delle sorelle Williams essere paragonate a qualcuno che è appena arrivata. Non mi sembra ancora giusto, le considero ancora i miei idoli. Con tutti i loro riconoscimenti non dovrei ancora essere messa nello stesso gruppo. Naturalmente spero di arrivare dove sono loro, ma sono loro le due donne che mi hanno indicato la strada, per questo non potrò mai essere loro. Mi sento come se non avessi nemmeno la possibilità di essere a questo livello senza di loro. Non avrei mai nemmeno pensato di entrare a far parte del tennis, senza di loro, visto che ci sono pochissimi afroamericani in questo sport. Per tutto quello che hanno fatto, non dovrei ancora essere paragonata a loro.

Mi sto abituando all’idea che la gente mi consideri un modello da seguire. Questo aggiunge un po’ di pressione, perché so che la gente osserva ogni mossa. Per la maggior parte delle cose è facile, perché io sono sempre e solo me stesso, non faccio finta di niente, cosa che alla gente sembra andare bene. Non mi sento come se dovessi premere un interruttore o altro. All’inizio pensavo di dover essere perfetta, ma ho fatto molta ricerca interiore e l’ho superata. Da allora mi sono divertito molto di più ad allenarmi e a giocare alle partite. Era il 2018 quando mi ricordo di essermi svegliato e di non volermi allenare. Sono stato fortunato ad averlo capito presto e a fermare quella che avrebbe potuto essere una siccità più lunga. Ho una buona cerchia di amici e familiari che ho sempre tenuto piccola. Non sono mai stata la ragazza che da piccola aveva troppi amici. Sono molto attenta a chi tengo vicino a me. Queste sono le persone che mi hanno aiutato in tutti questi tempi folli. Mi ci è voluto un po’ di tempo per sentirmi a mio agio nell’esprimere loro le mie vere emozioni, ma una volta imparato ho reso tutto più facile”.

S’impara dagli errori?

Una ricerca pubblicata su Harvard Business Review mette in evidenza che potrebbe non essere vero ciò che tutti pensiamo e cioè che s’impara dai fallimenti. Infatti, questo studio ha mostrato che fra due gruppi di individui dopo l’esecuzione di un compito quelli che avevano ricevuto feedback positivi che sottolineavano le risposte corrette a un test piuttosto che un secondo gruppo che aveva ricevuto invece feedback negativi relativi alle risposte sbagliate alla stessa prova, il primo gruppo forniva nel compito seguente prestazioni migliori.

Spesso le persone dopo un insuccesso guardano da un’altra parte per proteggere la loro fiducia in se stessi e così non imparano a meno che non siano molto motivate.

Come è possibile che non s’impari?

  • Atteggiamento  - I propri schemi mentali sono un aspetto significativo. Se una persona ritiene che lo sbagliare sia una dimostrazione della sua mancanza di capacità, certamente la prova successiva non potrà essere migliorata, poiché la sua prestazione può cambiare in positivo solo nel tempo e attraverso un processo di apprendimento.
  • Rilevanza soggettiva della prestazione - Se un individuo ritiene che gli errori commessi non siano rilevanti, la prestazione fornita sarà valutata come poco importante perché ad esempio è centrata sulla rilevazione di conoscenze che sono secondarie per la persona che svolge quella prova.
  • Motivazione - La persona può essere poco orientata al miglioramento poiché dovrebbe investire, a suo giudizio, troppe risorse per raggiungere il successo in un compito specifico e, quindi, non è motivata a percorrere questa strada.
  • Competenze - L’individuo può non conoscere con esattezza le competenze che dovrebbe migliorare e, pertanto, tende a ripetere gli stessi errori senza avere elaborato un programma di miglioramento.
  • Ansia da prestazione - La persona che soffre di questa difficoltà tende a fornire prestazioni inferiori al suo livello di competenze. Può migliorare nelle prestazioni seguenti solo se s’impegna a modificare questo suo modo di reagire alle situazioni prova.

Come le famiglie con persone con autismo vivono il coronavirus

Una nuova indagine nazionale condotta in USA, evidenzia che le famiglie di bambini autistici affermano che i servizi sono stati gravemente compromessi a causa del coronavirus, ma si stanno adattando con soluzioni efficace.

Con le scuole e altri servizi chiusi, oltre il 75% delle famiglie ha riferito di interruzioni da moderate a gravi dei servizi e delle terapie per i propri figli, e la terapia del linguaggio è quella più colpita. Le interruzioni hanno colpito maggiormente i bambini sotto i 5 anni.

I risultati provengono da un’indagine condotta su oltre 8.000 famiglie con bambini con autismo durante la pandemia COVID-19. Il questionario online è stato inviato alle famiglie che hanno partecipato a SPARK, un ampio sforzo per raccogliere e studiare i dati genetici delle persone con autismo e delle loro famiglie, finanziato dalla Simons Foundation Autism Research Initiative.

L’indagine è stata condotta tra il 20 e il 30 marzo. Circa un terzo delle famiglie ha dichiarato di ricevere servizi o terapie a distanza e circa il 50%  ha dichiarato di averne visto i benefici. Più del 62% ha riferito che il loro bambino con autismo si sentiva complessivamente bene e circa il 50% dei genitori ha detto lo stesso di loro. Allo stesso tempo, però, quasi tutti coloro che hanno risposto hanno detto che i disagi causati dal coronavirus hanno avuto un impatto negativo sul comportamento del loro bambino con autismo e l’82% ha detto che ha influito sulla salute mentale ed emotiva del loro bambino.

I genitori hanno anche citato le preoccupazioni per la perdita di abilità duramente conquistate. Tuttavia, alcuni genitori hanno riferito di aver visto dei risultati positivi in mezzo alle sfide. Un genitore ha indicato che suo figlio ha lottato a scuola per migliorare socialmente e con la comunicazione, ma sembrava più felice e più calmo a casa. Altri hanno detto che le lezioni online hanno permesso ai loro figli di muoversi più lentamente.

Centinaia di genitori hanno detto che gli esercizi di respirazione, lo yoga, la preghiera, la meditazione e altri esercizi di consapevolezza sono stati utili per affrontare la situazione. Anche il mantenimento di un programma giornaliero è stato fondamentale per prevenire problemi di comportamento, ha rilevato il sondaggio.

Avere pressione è un privilegio

Billie Jean King, campionessa di tennis e molto di più, parla delle chiavi del successo: serve il Piano B, avere pressione è un privilegio e il campione deve essere adattabile.

Billie Jean King Quote About Success

Una collaborazione eccezionale: Johnny Pellielo

Talvolta le collaborazioni diventano situazioni uniche che durano per tutta la carriera di un atleta. E’ il caso del mio rapporto con Johnny Pellielo che dura da 25 anni, dal 1995, un anno prima dei Giochi Olimpici di Atlanta.

Motivazione e allenamento durante il coronavirus

Oggi seminario online all’Università su temi di attualità.