Archivio mensile per aprile, 2012

Oltre i vincenti e i perdenti

Nessuna delle squadre che inseguono Juventus e Milan lottando per un posto in Europa ha mai vinto più di due partite consecutive nel girone di ritorno e per questa ragione sono distanti 20 punti dalle due capolista. Saranno molte le ragioni di questo andamento e diverse da squadra a squadra. Credo però che vi sia anche un aspetto mentale in questo tipo di percorso. L’essere umano ma anche i gruppi vivono di abitudini, che sono comportamenti tipici che ne caratterizzano la quotidianità. Le squadre sono soggette a queste stesse regole e quindi una volta che s’instaura nella mentalità dei giocatori che il ritmo è due risultati vincenti di seguito, seguiti da sconfitte e pareggi prima di ritornare a vincere una partita si continua in questo modo a meno che non intervenga qualche fattore di discontinuità. Questa spiegazione si basa sulla ripetitività dei comportamenti degli esseri umani, che per agire diversamente hanno bisogno di un ambiente e di leader (gli allenatori) che lavorino sulla necessità di sostituire questo approccio con uno diverso. Quindi nello sport, come nella vita, non esistono solo la mentalità vincente e quella perdente, che rappresentano gli estremi di questo continuum mentale. La maggior parte dei gruppi vive invece una condizione intermedia in cui talvolta prevale un atteggiamento più positivo e determinato mentre con la stessa facilità in altre situazioni emerge un atteggiamento più difensivo e meno propositivo.

Lo sport fa piangere

Lo sport fa piangere per le ragioni più diverse. Si può piangere di gioia, di rabbia, di delusione, di dolore, di fatica. Lo sport è un’attività che coinvolge la persona nella sua globalità perché per fare bene bisogna impegnare corpo e mente in modo intenso e senza risparmio. E’ un’attività ad alto tasso emotivo e non solo nel calcio dove Messi non è andato alla conferenza stampa di addio di Guardiola per non mostrare a tutto il mondo il suo stato psicologico. In atletica vi sono allenamenti che determinano al termine una condizione di fatica tale che porta anche alle lacrime, ma si piange anche per l’orgoglio di avere raggiunto un risultato incredibile. Piangere è un segno che lo stato emotivo ha raggiunto il suo massimo livello di tolleranza, anzi lo ha oltrepassato e rappresenta una reazione che libera l’atleta da una situazione diventata insopportabile e non più controllabile. Piangere fa bene.

Lo sport: da Guardiola a Missaglia

Lo sport ha infinite facce e forse questa è la ragione per cui continua ad appassionarci. Basti pensare al ciclismo che nonostante tuti gli scandali continua ad avere sulle strade un tifo entusiasmante, perchè il cuore degli appassionati continua a mantenere intatto il mito della fatica e dell’uomo solo al comando. In questi giorni abbiamo due occasioni per celebrare uomini di sport che hanno saputo rappresentarci con il loro impegno e passione. C’è lo sport di Guardiola dei campioni che tutti conoscono, che lascia perchè è emotivamente esausto dopo 4 anni vissuti intensamente. C’è lo sport di tutti di GianMario Missaglia, scomparso 10 anni fa in questi giorni, che nella UISP ha creato, direi che questa è la parola esatta, lo sport per tutti in Italia, che è diventato lo sport a misura di ciascuno, libero dalla competizione forzata, in cui prevale la contaminazione fra le discipline, in cui lo sport è associato a cultura, tolleranza e diversità.

Pep il Grande lascia

Guardiola ha spiegato (sempre rigorosamente in catalano, non certo in castigliano): “Non è una situazione semplice per me. Mi dispiace per l’incertezza che si è creata, e se qualcuno ha messo in dubbio il mio impegno e la mia serietà negli ultimi mesi. Ma io sono stato anche un giocatore del Barcellona, questa è sempre stata casa mia e la decisione è stata difficilissima. Ma quattro anni sono un’eternità per un allenatore del Barcellona. A ottobre e a dicembre avevo già comunicato al presidente le mie intenzioni, ma non volevo dirlo ai giocatori e alla stampa, non potevo farlo, c’erano tante competizioni importanti ancora da giocare. Ma rimanere qui vuol dire essere presente ogni giorno, con grande energia per contagiare la squadra e l’ambiente, con grande concentrazione ed enorme passione. Per i giocatori ho una stima infinita, sono stato un privilegiato a poterli allenare, ho cercato di farlo con passione e impegno. Nessuno può immaginare cosa abbia rappresentato per me raggiungere certi risultati e vedere la qualità del gioco che abbiamo espresso. Ma ora devo fermarmi. Il responsabile unico della mia decisione è il tempo. La stanchezza e la fatica, ecco: quattro anni a questi livelli sono un’eternità e adesso sono stanco. La forze e la vitalità di questo club le conoscono tutti e so che continueranno alla grande. me ne vado sapendo di aver dato il massimo, ho una sensazione di pienezza. Ma a un certo punto ho capito che il mio ciclo era finito”. 

C’è tutto in queste poche frasi: riconoscenza, passione, stima, consapevolezza, senso di responsabilità, stanchezza. Poche parole per esprimere emozioni e pensieri profondi.

Roma: squadra insicura

“Professor Cei che sta capitando alla Roma?”

“La mia idea è che Luis Enrique abbia applicato il suo sistema senza adattarlo alla Roma … ci deve essere una tabella di marcia che preveda una percentuale crescente di assorbimento del progetto. Alla Roma non è accaduto … Il sistema è importante, ma poi viene messo in pratica da 11 persone. E’ addosso a loro che va cucito l’abito.

“Molti romanisti s’interrogano sulla figura di Tonin Llorente, il mental coach.”

“Dovrebbe consigliare l’allenatore. Luis Enrique dovrebbe chiedergli cosa dire per trasmettere un messaggio positivo all’esterno”

“Una specie di consulente di immagine?”

“Macché. E’ così che agisce il mental coach con un dirigente. Prima di fare delle dichiarazioni che possono deprimere la squadra, mi consiglio con il mental coach…”

Dall’intervsita a Daniele Galli pubblicata su Il Romanista

 

Macchè

Messi e Maradona

In questi giorni è stato riproposto il confronto tra Messi e Maradona. Il primo talvolta assente nelle partite più importanti, il secondo invece sempre decisivo in positivo nelle stesse situazioni. La differenza principale tra questi due fuoriclasse sarebbe da ricercare nel tipo di vita che hanno vissuto. Messi giunto al Barcellona è potuto crescere in un ambiente protetto mentre Maradona non ha avuto questo stesso percorso. E’ stato più libero di fare esperienze e ha dovuto imparare a gestire il suo estro in ambienti diversi. In altre parole, la differenza fra i due risiederebbe nella maggiore abilità di Maradona di sapersela cavare da solo, che lo avrebbe portato a trovare la via del goal anche nelle situazioni più stressanti. E’ questa una ragione che è stata spesso utilizzata nello sport per spiegare la particolarità dell’essere campione. Ad esempio, ai tempi dell’esplosione del tennis svedese si disse la stessa cosa, questi ragazzi giravano da soli per l’Europa prima e per il mondo dopo e questo li aveva forgiati ad essere autonomi e capaci. Naturalmente non sto mettendo in discussione la classe di Messi ma sto cercando di formulare una spiegazione ad assenze e errori che non ci si aspetta da un campione, considerato il migliore calciatore al mondo, nei momenti che contano.

Quando i “migliori” perdono

Il calcio, nonostante tutto quello che viene fatto per farlo diventare altro, continua a essere uno sport e le partite come le ultime due di Champions dimostrano che le squadre date per sfavorite possono ribaltare questa aspettativa e vincere meritatamente. Dimostrano che anche i campioni più importanti (Ronaldo e Messi) sbagliano rigori decisivi che avrebbero cambiato il risultato. Nessuno, neanche loro, si è sottratto all’influenza che lo stress agonistico gioca nel limitare le prestazioni. Non esistono i “migliori” a priori, perchè le squadre migliori sono determinate dalla capacità di gestire la tensione emotiva durante la partita e in particolare in alcuni momenti decisivi. Chi riesce in questo sarà il migliore.

Tiro a volo: soddisfazioni alla preolimpica di Londra

Il tiro a volo è uno sport di cui poco si parla ma che ha dato molte soddisfazioni alle olimpiadi. In questi giorni è in corso la gara preolimpica sul campo di Londra ed è la prima e unica occasione in cui è possibile conoscere il campo e capirne le caratteristiche. Le condizioni atmosferiche sono piuttosto negative, fa freddo e i piattelli che escono a più di 100km orari sono soggetti all’influenza del vento. E’ un gara importante, non solo perchè qualifica per la finale di coppa del mondo ma soprattutto perchè ottenere una buona prestazione determina una condizione mentale positive e ottimista in relazione alla gara per cui ci si sta preparando da 4 anni. Francesco D’Aniello, argento a Pechino, e Daniele Di Spigno, atleti che seguo da anni, sono arrivati secondo e terzo. La vittoria è mancata per un piattello a D’Aniello che al termine della finale era a pari merito con un avversario e che nello spareggio che ne seguito è stato per il primo fra i due a sbagliare. Anche Di Spigno si è trovato nella stessa condizione ma ha vinto il suo spareggio per il terzo e quarto posto. E’ uno sport in cui si perde o si vince per un piattello (su 200 bersagli), la padronanza tecnica è fondamentale ma se a questa non si associa le voglia di vincere non si riesce a gestire la tensione che si prova quando si è consapevoli che un singolo errore può determinare prima l’esclusione dalla finale a sei tiratori e poi il podio.

Perdere è facilissimo anche per i + forti

Il vincitore della maratona di Londra dello scorso anno, Emmanuel Mutai quest’anno ha impiegato ben 4 minuti di più del suo tempo precedente (2:08:01) e dalle immagini viste in TV si percepiva che gli ultimi km sono stati di una sofferenza totale. Diokovic ha perso in finale contro Nadal 6-3 6-1 e non è mai stato in partita ma non si è sottratto al gioco. Nibali è giunto secondo alla Liegi-Bastogne-Liegi; dopo avere dominato con una fuga solitaria l’ultima parte della corsa, all’ultimo km è crollato ed stato superato da un avversario; dopo una gara di più di 6 ore è giunto a circa 30secondi dal primo. Lo sport è anche questo, dolori fisici e mentali che possono colpire chiunque anche gli atleti più forti che però s’impegnano sino alla fine. Credo che questi tre casi possano essere di grande aiuto a tutti i giovani che aspirano a realizzare i loro sogni: bisogna sapere perdere con dignità lottando sino alla fine.

Divertiamoci: Sei Barcellona o Real Madrid

Divertiamoci con il test Barcellona o Real Madrid: http://www.repubblica.it/sport/calcio/esteri/2012/04/20/news/e_tu_sei_barcellona_o_real_-33641338/?ref=HRERO-1