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Messina e Pioli spiegano il loro stile di leadership

Ettore Messina “La cosa più importante parlando di squadre e allenatori è capire cosa significhi essere un vincente. In Italia si tende a creare una forte differenza tra chi arriva primo e gli altri; noi vogliamo vincere, nel senso che vogliamo essere la miglior versione di noi stessi, ma in genere vince chi riesce ad essere al top nel momento cruciale della stagione, perché essere sempre al meglio non è possibile, così come non tutto può andare per il verso giusto durante tutto l’anno.”

Stefano Pioli: “Ormai è cambiato tutto, adesso se entro negli spogliatoi e c’è silenzio mi preoccupo. Di solito c’è sempre musica a palla fino all’ultimo secondo. Secondo me sono dei fenomeni: è musica che non si può sentire, per quelli che sono i miei gusti, anche se ultimamente mi sono modernizzato. Ma una volta, se si metteva la musica, sembrava che non si fosse concentrati, mentre adesso i giocatori spengono la musica, entrano in campo e sono pronti. Ci dobbiamo adattare. La cosa più difficile ma anche più motivante è mettere insieme tante caratteristiche mentali e culturali per conoscersi e per trovare quell’equilibrio che ci permette di lavorare insieme con grande disponibilità e con grande condivisione, che credo sia il termine migliore possibile”.

Ettore Messina: “Stefano Pioli ha usato un concetto bellissimo: conoscersi. Conoscersi vuol dire accettare quelle che sono abitudini, culture, religioni o anche solo come ti prepari ad una partita e/o come intendi lo sport, accettarsi su tutto. Qui ad esempio la figura del coach è interpretata diversamente da come la interpreta un serbo o un americano o un africano. Qualcuno ti vorrebbe più pressante altri meno, perché sono abituati così. Qualche volta ci riesci e altre volte no. Rispetto alla percezione che ha il pubblico, un allenatore è conscio che nel concetto di gruppo non è vero che tutti devono fare le stesse cose. Se vedi uno con la cuffia non è che non fa gruppo ma magari ascolta solo musica diversa. Non tutti possono vedere lo stesso film e chi non lo guarda non si può definire come un asociale“.

Stefano Pioli:  ”Il mio modo di allenare è cambiato tanto, delego molto e io mi concentro di più sulle priorità, però devo essere pronto a confrontarmi con tutti su tutto. Essendo al centro dell’attenzione, devi essere preparato a confrontarti con tutti. La comunicazione è sempre più presente e costante. Arrivare preparato alle domande dei giornalisti è importante. Bisogna essere preparati e coerenti per rendere credibile il tuo metodo di lavoro”.

Ettore Messina: “Sentivo che Stefano Pioli al Milan ha 10 assistenti. Io mi ritengo fortunato perché ho quattro assistenti e due video analisti. Nel 1989 quando ho cominciato ne avevo uno e mezzo. Oggi un coach coordina specialisti di alto livello e poi mette assieme le loro opinioni per prendere decisioni tecniche e tattiche. Poi la comunicazione è cambiata. Ora invece di fare una riunione mandi tre clip via Whatsapp ad un giocatore e ottieni un risultato migliore. Così non sente nemmeno la tua voce. Coach Popovich era spaventato dalle troppe volte in cui vedeva i giocatori: preferiva fare una riunione in meno, un allenamento in meno, una cena di squadra in meno piuttosto che correre il rischio di farsi vedere troppo. È cambiato tutto”.

Il calcio del futuro tra algoritmo e imprevedibilità

Se il calcio è l’ultimo rito religioso dei laici, fondato sul fatto che il gol è quell’evento raro durante partita che può avvenire in qualsiasi istante e cambiare il volto di una partita, gli algoritmi proposti da Wall Street Football, start up che si occupa di calcio, possono distruggere le emozioni generate da questa semplice regola e rendere il gioco prevedibile, quindi noioso agli occhi di tutti gli appassionati.

Ogni società ha il diritto di perseguire i propri scopi che in questo caso sono stati ben espressi dal ceo Giovanni Bertoli quando afferma che è possibile prevedere la prestazione del calciatore: tiri, gol, falli fatti e subiti, qualsiasi azione. E’ un’ottima opportunità offerta ai bookmaker che devono stabilire le quote ma anche per i tifosi, per il fantacalcio. Le società di calcio potrebbero servirsene per conoscere i calciatori e in futuro un allenatore saprebbe quando e se sostituire un determinato calciatore, sfruttando la possibilità di avere i dati durante la partita in tempo reale.

Sono d’accordo con l’uso dei dati che si possono raccogliere ma sono stati studiati gli effetti di questo approccio sull’allenatore e sui calciatori? Il fare la cosa giusta nel momento giusto sarà determinato solo dai dati che gli giungono o continuerà a giocare un ruolo importante la soggettività del mister? Gli allenatori filtreranno queste informazioni in base alle proprie idee o saranno indotti a servirsene senza nessuna riflessione critica? I calciatori diventeranno prigionieri dell’algoritmo che gli suggerirà come giocare o useranno ancora la creatività per uscire da situazioni difficili?

E poi perchè non si è studiato come applicare l’algoritmo ai comportamenti dell’allenatore  durante la partita per identificare gli effetti della sua leadership, scoprendo in che percentuale produce risultati efficaci e in quali fasi della partita. Se ricopre come tutti affermano il ruolo di leader, il suo stile di guida dovrebbe avere una notevole influenza sui giocatori, perchè non si è studiato come migliorare le sue indicazioni con un scout del suo comportamento?

In sostanza non togliamo al gioco del calcio l’imprevedibilità del risultato, determinata dalla soggettività dei singoli giocatori, dalle loro interazioni come squadra e dai comportamenti del tecnico, perchè nessuno vuole vedere calciatori perfetti che si muovono come soldatini allenati dal mister-algoritmo.

 

Quanto sei orientato al cambiamento?

Se l’orientamento al cambiamento di un leader è uno atteggiamento base da assumere gli altri due sono rappresentati dal desiderio di assumersi nuove responsabilità e di attribuirne ai collaboratori.

  • Sentirsi responsabili significa  essere consapevoli di aver agito esattamente come si sarebbe dovuto con la scrupolosità e la velocità necessarie, considerandosi totalmente coinvolti nei risultati raggiunti. La domanda a cui rispondere è si deve dare una risposta è:  “Ho fatto proprio tutto quello che era in mio potere di fare?” Quando la risposta è affermativa significa che si era accettato pienamente l’incarico ricevuto, che lo si condivideva, che si era stati motivati a portarlo a termine nel modo migliore, servendosi delle risorse necessarie e che ci si sente responsabili di quanto ottenuto.
  • Altro aspetto fondamentale riguarda l’attribuire responsabilità ai propri collaboratori. Ad esempio, in situazioni di stress organizzativo prolungato nel tempo accade che un manager sia convinto di voler attribuire maggiore delega ai suoi collaboratori perché sentendosi pressato da troppe richieste, ha difficoltà a gestirle e questo determina una riduzione del tempo dedicato alle attività pianificate e un conseguente incremento di quello dedicato alle attività di pronto intervento. L’attività quotidiana scorre così veloce per lui che poco per volta alla consapevolezza di dover cambiare subentra l’assuefazione a  questa condizione di non governo della situazione.
  • D’altro canto anche i collaboratori, a loro volta estremamente abituati a questo modo di agire, appena hanno un problema corrono dal capo a sottoporglielo, aspettando soluzioni. Questo circolo vizioso viene spesso anche incoraggiato da una condizione di reciproca soddisfazione tra manager e collaboratori. Infatti, il primo è comunque gratificato dal percepirsi indispensabile e dalla sua capacità di guidare gli altri fornendo soluzioni tecniche. I secondi sono soddisfatti di non dover prendere decisioni che potrebbero essere sbagliate e di agire sotto una guida che gli risparmia di assumersi delle responsabilità.

Insomma, è diffusa la convinzione che per aver successo non è sufficiente possedere il know-how o avere le competenze professionali e l’esperienza. La validità di questa opinione è da tempo largamente dimostrata nello sport. David Hemery, vincitore di una medaglia d’oro nei 400m ostacoli nelle lontane olimpiadi del 1968 intervistando 63 atleti di élite di 20 sport differentimostrò che la consapevolezza e la responsabilità erano i due atteggiamenti più importanti che questi atleti riconoscevano essere stati alla base dei loro successi. Lo psicologo canadese Terry Orlick (1992), che ha avuto una esperienza quarantennale con atleti, manager e astronauti, nel suo modello sull’eccellenza umana ha evidenziato che l’impegno e la fiducia erano le abilità psicologiche più importanti mostrate dai top performer, altri hanno aggiunto a queste due abilità il goal setting, che corrisponde all’abilità di stabilire obiettivi chiari, specifici e sfidanti e di perseguirli attraverso una pianificazione articolata nelle settimane e nei mesi (Durand-Bush, Salmela, e Green-Hemers, 2001).

Da questi dati emerge, con chiarezza, che se le competenze professionali e le esperienze non sono sostenute da un approccio mentale adeguato ci si trova nella condizione di chi pur possedendo una Ferrari ma non sapendola guidare, corre il rischio di essere superato da un’auto meno potente ma meglio guidata.

Chi desidera avere informazioni su come sviluppare queste competenze mi può direttamente contattare tramite questo blog.

 

Le competenze psicologiche dell’allenatore

La leadership dell’allenatore deve essere sostenuta da alcune caratteristiche psicologiche che sono indispensabili per svolgere per guidare una squadra.

  1. Abilità analitica e multitasking - Gli allenatori lavorano in attività fortemente tecniche,   devono sviluppare ottime  capacità   di problem  solving   ed   essere   capaci     di affrontare  più  compiti  nello  stesso  tempo.
  2. Regolazione emotiva –  Abilità a stare concentrati su un compito in presenza di molte potenziali distrazioni e fattori di disturbo. Gli allenatori devono potenziare sempre più la loro abilità a controllare le emozioni di frustrazione e di rabbia.
  3. Time management - Una buona gestione del tempo richiede l’uso di quelle abilità analitiche necessarie a stabilire priorità fra i compiti e a identificare responsabilità da affidare. Inoltre, gli allenatori devono essere in grado di identificare i propri limiti personali e quelli dei loro atleti.
  4. Fiducia e competitività - Gli allenatori devono fare riferimento a se stessi per l’incoraggiamento, il supporto, la motivazione e il rinforzo. Ci saranno giornate negative e frustranti. Gli individui devono essere sufficientemente fiduciosi e motivati da affrontare la frustrazione e l’assenza di supporto.
  5. Rapidità decisionale - Il successo dipende dall’abilità individuale di affrontare situazioni di tensione, rabbia e frustrazione, e di rispondere  in maniera molto rapida e adeguata. Molte volte, infatti, è necessario rispondere rapidamente. Gli individui ansiosi si distraggono prestando attenzione a stimoli non rilevanti per quell’attività e a pensieri/emozioni distraenti. Quando sono sotto pressione hanno difficoltà ad ascoltare, risolvere i problemi o  prendere decisioni efficaci.

Master per Allenatori in Tecniche di Ottimizzazione della Performance Sportiva

Nello sport si parla molto di come sviluppare le competenze psicologiche degli atleti. In questi ultimi 30 anni sono stati formulati programmi che prevedono l’apprendimento delle abilità mentali di base a partire dalla fine dell’infanzia, per poi giungere negli anni dell’adolescenza a piani di allenamento specifici per ogni disciplina sportiva e, infine, a programmi altamente personalizzati per gli atleti di livello assoluto. Un programma così diversificato non è stato invece proposto per chi ricopre la responsabilità di guidare i giovani attraverso queste fasi della loro vita sportiva: gli allenatori.

Le ricerche evidenziano che gli atleti vincenti richiedono allenatori che siano eccellenti, non solo per i programmi di allenamento che propongono ma come leader che li guidano con competenze tecnica e psicologica. Lo stesso sostengono allenatori come José Mourinho quando afferma che chi conosce solo di sport non sarà mai un allenatore di successo, o Jurgen Klopp quando dice che: “Bisogna servirsi della tattica con il cuore. La partita va vissuta intensamente altrimenti è noia”. O Pierluigi Pescosolido, Fiamme oro e allenatore di molti campioni del tiro a volo, con cui da molti anni ci confrontiamo per migliorare continuamente l’allenamento di questi atleti di livello assoluto parlando della gestione della loro vita, della concentrazione nei momenti decisivi, delle competizioni ma anche di come insegnare queste competenze ai giovani junior che si affacciano per la prima volta al mondo competitivo.

Emerge così con forza la rilevanza della dimensione psicologica del lavoro dell’allenatore a livello giovanile e assoluto. Sono queste le ragioni che mi hanno convinto ad accettare l’invito di Psicosport, l’organizzazione che da 28 anni realizza il più longevo e di successo Master in Psicologia dello Sport, a promuovere insieme a un gruppo di esperti un Master TOP per allenatori in Tecniche di Ottimizzazione della Performance Sportiva. L’obiettivo è duplice:

  • Migliorarne le competenze psicologiche in qualità di specialisti della Prestazione.
  • Ottimizzare le loro abilità nel supportare gli atleti a costruire un profilo vincente in ogni impegno della vita sportiva.
Il Master prevede tre moduli formativi:
  1. Auto-sviluppo – Sviluppare le risorse dell’allenatore e la sua comprensione psicologica degli sport.
  2. Eccellenza – Identificare le aree di miglioramento dell’allenatore e sviluppare un piano di azione personale.
  3. Leadership – Conoscere e applicare gli stili di leadership più efficaci.
E’ l’inizio di una nuova impresa. Chi desidera avere più informazioni può visitare il sito di Psicosport.

Juventus: distrazioni che distruggono una stagione

Fabio Capello analizza gli errori commessi dalla Juventus contro il Porto tra andata e ritorno, non risparmiando un’aspra critica nei confronti di Cristiano Ronaldo: “Il primo gol nella prima partita è un regalo, grande disattenzione nel secondo, non si possono subire certi gol. Il calcio di rigore stasera è un altro regalo. Troppo ingenuo Demiral, non si può cercare l’anticipo, è un gravissimo errore. Ma il top è questo. Cristiano Ronaldo che salta e si gira in barriera. Chi sta in barriera non può aver paura di subire un colpo. È un errore imperdonabile che non ha scusanti“.

Capello ha pienamente ragione e ripropone il concetto che oltre il gioco di una squadra, nel calcio sono i singoli episodi che determinato il risultato della partita e in questo caso l’eliminazione dalla competizione europea più importante per una squadra di calcio.

Ma se questa è la situazione come si possono evitare questi errori. Soprattutto quelli di Bentancur e di Ronaldo errori assolutamente evitabili ma che hanno cambiato la valutazione di una intera stagione agonistica.

Il problema non è tanto la distrazione in se stessa ma l’effetto che determina. E’ questo che i giocatori dovrebbero ricordarsi prima di agire in questo modo.

Superficialità o anche presunzione che non può succedere nulla di così negativo. Probabilmente squadra anche poco unita in cui non sembra ci sia qualcuno con il ruolo di tenere alta l’alta attenzione in questi momenti.

Il Porto ha vinto meritatamente perchè è stato più costante nel mantenere elevata l’attenzione, La Juventus ha mostrato troppo alti bassi e di conseguenza ha pagato questi attimi di distrazione.

Quanto si allena la Juventus a evitare che accadano questi episodi, attimi che distruggono una stagione.

Ibrahimovic al Milan: guiderà la rinascita?

Zlatan Ibrahimovic giocherà per i prossimi 6 mesi al Milan. Si parla molto delle ragioni che hanno determinato questa scelta da parte del Club: “E’ troppo vecchio (38 anni)?”. “Era in pensione a Los Angeles, come farà ad ambientarsi al campionato italiano?”.

Solo lui può sapere se sarà il Salvatore della patria, prendendosi la leadership di guidare sul campo il Milano con il suo atteggiamento combattivo, svolgendo il ruolo di Capo nello spogliatoio e in partita. Mi sembra che sia questa la sfida che avrebbe accettato, scegliendo di venire a giocare a Milano. Avremo così modo di vedere se le sue celebri affermazioni continuano a rappresentarlo o se anche loro saranno invecchiate:

“Io non accetto di perdere , non lo accetto proprio. L’ho imparato dalla vita. Per me contano la grinta e l’aggressività la determinazione e la concentrazione sui propri obiettivi. Io ho la missione di vincere”.

“Sono il settimo giocatore più forte del mondo. Forse tra dodici anni sarò il sesto”.

Comunque in bocca al lupo! E che possa essere veramente un’esperienza di vita positiva, perché aldilà di ogni considerazione economica, le partite mostrano chi sei e le tue ambizioni personali.

Come deve costruire la coesione l’allenatore

In questo periodo iniziale della stagione sportiva dei giochi di squadra, mi viene spesso chiesto come migliorare la coesione di una squadra soprattutto da parte di chi lavora nelle squadre juniores e in quelle dei campionati che non giocano nei campionati di massimo livello. Faccio questo distinguo perché fra i coach è diffusa l’idea che avendo poco tempo a disposizione, tutto ciò che esula dal lavoro tecnico svolto in campo sia un lavoro superfluo, a cui non si ha tempo da dedicare, proprio perché: “Non siamo mica una squadra professionistica, dove i giocatori sono sempre a disposizione”.

Questo atteggiamento è la motivazione che spinge molti allenatori a ritenere che i giocatori debbano adattarsi al loro metodo di lavoro e alla gerarchie proposte. Preparazione fisica e tecnica/tattica la fanno da padroni e se qualcuno non è d’accordo, peggio per lui/lei.

La leadership si manifesta in sostanza con la somministrazione di un programma di allenamento che deve essere seguito senza discussioni. Si parte da considerazioni corrette (tempo limitato, poche risorse economiche, orari non ottimali) per giungere a conclusioni sbagliate. Chi si adatta è ok; chi non accetta questo approccio viene di solito etichettato come pigro, poco disposto a fare sacrifici o presuntuoso.

Purtroppo, la cultura del lavoro e la coesione di squadra sono fattori imprescindibili in uno sport di squadra e non si costruiscono con questo approccio. La prestazione di squadra trae invece la sua forza dall’allenamento quotidiano del concetto di NOI: la prestazione vincente nasce dall’integrazione del comportamento di vari giocatori, per cui bisogna insegnare a più persone a fare bene cose diverse, insieme e contemporaneamente.

L’allenatore deve:

  1. Favorire la partecipazione, ascoltando le indicazioni dei giocatori
  2. Evitare i favoritismi
  3. Premiare i comportamenti altruistici
  4. Ridurre i comportamenti individualistici
  5. Attribuire a ognuno obiettivi sfidanti e raggiungibili
  6. Attribuire a ogni giocatore un ruolo specifico
  7. Favorire un clima di allenamento orientato all’apprendimento e collaborazione
  8. Stimolare l’impegno massimo e rinforzarlo costantemente
  9. Sostenere sempre la squadra quando è in difficoltà
  10. Spendere del tempo per valutare con atleti l’impegno profuso in allenamento
  11. Analizzare freddamente con la squadra i risultati delle partite

La domanda per gli allenatori è: quanto tempo dedichi allo sviluppo di questi fattori della prestazione?

Tom Izzo e la sua leadership intimidatoria

Tom Izzo, allenatore del Michigan State, ha dovuto essere frenato dai suoi giocatori a difesa della matricola Aaron Henry. Lo scambio  è arrivato dopo un 10-0 degli spartani. Izzo era furioso con Henry per una ragione sconosciuta. Questa non è la prima volta che entra in campo.

A sua difesa Winston ha detto: “Il coach è pieno di passione, emozione e amore, sai, quelle sono le cose principali che lo rendono grande come lui. Quando ti insegue o quando sta urlando, non è mai pericoloso. Non è mai per odio. È letteralmente lui che vuole il meglio per te e lui che ti sfida e ti spinge il meglio che puoi e ha funzionato per anni, anni e anni.

Non dovrebbe comunque esserci posto per una leadership abusiva, minacciosa e intimidatoria – ovunque! Se Tom Izzo, allenatore del Michigan State, guida  la sua squadra in questo modo quando è in pubblico, cosa fa quando non ci sono telecamere?

Tom Izzo Has to be Held Back from Going Full Bobby Knight on One of His Players

La mentalità vincente di Mourinho

Guidare uomini -  ”Il calcio per me è una scienza umana, sopra ogni altra cosa”.

L’allenatore è un leader globale - “Un allenatore deve essere tutto: un tattico, motivatore, leader, metodologo, psicologo”. “Un insegnante all’università mi ha detto ‘un allenatore che sa solo di calcio non è di livello superiore. Ogni allenatore sa di calcio, la differenza riguarda altre aree. Era un insegnante di filosofia. Ho ricevuto il messaggio”.

Il calcio è globale - “Non faccio lavoro fisico. Difendo la globalizzazione del lavoro. Non so dove cominci la parte fisica e finisca quella psicologica e tattica”.

Personalizzare la comunicazione - Adeguare la comunicazione a ciascun individuo è il compito più difficile di un allenatore e bisogna sapere sfidare le emozioni dei giocatori.

Conoscere gli uomini - “Ci sono molti modi per diventare un grande manager … ma soprattutto credo che la cosa più difficile sia di condurre gli uomini con differenti culture, cervelli e qualità”. All’Inter concesse una vacanza a Wesley Sneijder che era esausto. “Tutti gli altri allenatori hanno parlato solo di formazione”, ha detto Sneijder. “Mi ha mandato in spiaggia. Così sono andato a Ibiza per tre giorni. Quando sono tornato, ero disposto a uccidere e morire per lui. ”

Gli uomini sono scelti - Ha fiducia in una squadra 24 giocatori perché dimostra che ognuno di loro è stato scelto e potranno svolgere un ruolo significativo per la squadra anche se non sono famosi.

Stimolare i calciatori a capire - “Incoraggia il lavoro tattico, non è un ‘trasmettitore’ e la squadra non è un ‘ricevente’. Si serve del metodo della ‘scoperta guidata’; i giocatori scoprono come giocare  sulla base delle informazioni che ricevono, costruendo situazioni pratiche che li condurranno su un certo percorso”.

Focus costante sulla mente - Pone particolare attenzione alla dimensione emotiva, cognitiva e interpersonale dei giocatori. In tal modo i giocatori anziché seguire le istruzioni come degli scolari, sviluppano le idee stesse di gioco guidati da questo approccio mentale al gioco.

Affiatamento e coscienza collettiva - “Lavoro con i giocatori giornalmente e so che quelli che si impegnano al massimo sono in condizione di fare bene, mentre quelli che non lavorano bene non sono in grado di giocare bene. Si gioca come si lavora, e posso dirlo in faccia a ogni giocatore”.

Lavorare con intensità - Allenamenti brevi e presenza del pallone incentivano i giocatori a esprimersi con il massimo di motivazione ed energia. E’ attento agli errori e provoca i giocatori se sbagliano in modo ripetitivo.