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Rischio o non rischio?

E’ ‘ molto visto il video di un gruppo di scalatori che cantano attaccati a una parete di una montagna “Don’t worry be happy”. E’ la metafora di come ci si dovrebbe comportare oggi se si è giovani? Competenza (arrampicare), piacere per il rischio (appesi a una parete sul vuoto) e umore positivo (cantare) (http://www.youtube.com/watch?v=sPh9PTao6GQ). Il rovescio della medaglia è quanto, invece, viene descritto da un’indagine effettuata da Paola Giuliano e Antonio Spilimbergo sull’atteggiamento dei giovani americani di 18-24 anni di fronte alla recessione. I risultati indicano che è dominante la richiesta di protezione e il desiderio di prendere meno rischi nei propri investimenti (lasciare casa per cercare sbocchi di lavoro e di studio migliori) (http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=5469.

Accettare l’incertezza

Sono tempi incerti come tutti sappiamo e mi capita di ricevere mail da giovani psicologi che chiedono come si faccia a lavorare nello sport. Le risposte sono almeno tre. La prima. Bisogna sapere che cercare un lavoro fa parte del lavoro stesso, così come il lavoro sarà terminato solo dopo che si sarà stati pagati e non quando finisce la parte operativa del lavoro stesso. Ciò detto si lavora se si è in grado di attivare una rete di relazioni sociali abbastanza ampia che nel migliore dei casi permetta di raggiungere le principali realtà sportive situate nella propria area di residenza. Quindi è indispensabile chiedersi chi sono le persone che conosco e qual è il loro ruolo e secondo quali sono le organizzazioni sportive. La seconda. Il programma che si andrà a proporre deve essere costruito in modo da essere facilmente percepito come utile e vantaggioso da chi lo dovrà valutare Non deve essere il programma migliore che si è in grado di realizzare, non deve contenere tutto quello che si sa sull’area in cui si vuole operare, deve essere concreto, specifico e facilmente realizzabile. Deve essere organizzato in moduli che possono essere sviluppati in modo indipendente, così da garantirsi di poterne realizzare anche solo una parte. Inoltre, bisogna lasciarsi un margine per la negoziazione del costo del progetto, in pratica bisogna sempre chiedere di più, così da potere avere spazio per una riduzione. La terza. Non bisogna mai smettere di aggiornarsi, per chi vuole lavorare in psicologia dello sport significa leggere (molto in inglese) e essere parte della rete europea di giovani come l’Euroepan Network of Young Specialists in Sport Psychology  (www.enyssp.org) con cui scambiarsi esperienze e idee.

I giovani laureati e la negoziazione

In questi giorni ho incontrato molti giovani laureati nelle più diverse discipline e nella maggior parte dei casi ho riscontrato un problema comune nella progettazione delle proposte lavorative. La loro attenzione è quasi esclusivamente dedicata alla realizzazione del progetto e scarsa attenzione pongono a pianificare le eventuali obiezioni che potrebbero venirgli rivolte, alla realizzazione di un piano B più ristretto, a preparare un budget in modo da poterlo ridurre se necessario, a negoziare sulle difficoltà che dovranno affrontare. Hanno insomma un approccio di tipo universitario centrato solo sul contenuto della proposta ma che non prevede abilità di confronto con l’interlocutore. E’ un problema direi grave per chi intende proporsi sul mercato in modo competitivo

Precarietà e competenza

Il lavoro precario di cui ancora oggi sui quotidiani si parla molto, non solo è un dramma perchè obbliga i giovani a continuare a dipendere dalle famiglie e a continuare a vivere insieme ai genitori ancora a 30 anni. Voglio infatti sottolineare un aspetto di cui poco si parla e che ha a che fare con ciò di cui mi occuppo e cioè il miglioramento delle prestazioni. Oggi sappiamo bene come si diventa esperti nello sport come nel lavoro, nelle arti o nell’artigianato. E’ ormai consolidata e dimostrata l’idea che la maestria è un processo a lungo termine e per meglio definirlo è stata coniata la regola dei 10 anni e  10.000 ore necessari per potere essere definiti “esperti”. La precarietà di cui soffrono in particolare i giovani italiani rispetto a molti coetanei europei mina proprio questo processo: non solo non guadagnano in maniera dignitosa ma i continui e ripetuti periodi di interruzione tra i lavori impediscono  di sviluppare le competenze necessarie, per cui rischiano seriamente di non diventare mai competitivi perchè non avranno lavorato per un tempo sufficiente. Sembra un aspetto secondario ma non lo è, poichè il laureato non potrà mai esercitarsi a diventare esperto, forse lo sarà nel cercare il lavoro ma non in quello per cui ha studiato. Inoltre, dato che in Italia si trova lavoro solo per conoscenze familiari, questo approccio rappresenta un limite non solo per chi non le ha (!) ma anche per chi ottiene il lavoro poichè sa benissimo che sapere lavorare non è il fattore su cui sarà valutato, perchè l’unica competenza richiesta sarà quella del conformismo mentale.

Cosa sarà che ci fa uscire di tasca dei no non ci sto!

La frode sportiva nel calcio di oggi è un’attività commessa da persone rispettabili, spesso di elevato livello sociale e queste azioni illegali devono essere considerate ancora più gravi di quelle compiute dai criminali comuni perché corrodono la fiducia nell’autorevolezza delle regole sportive e nelle istituzioni federali che devono vigilare che ciò non succeda. Sono crimini commessi contro lo sport, il calcio, a beneficio di un gruppo numeroso di individui e non da singoli. Succede anche nella finanza, ad esempio Merrill Linch ha accettato di pagare allo Stato di New York 100 milioni di dollari a causa di azioni illegali dei suoi dipendenti che consapevolmente fornivano agli investitori informazioni sbagliate e troppo ottimistiche relative agli investimenti bancari da effettuare. La definizione di truffa riferita al calcio è sostanzialmente analoga a quella della frode finanziaria. In questo caso gli attori non sono solo persone esterne al calcio ma anche i calciatori (ex e non), individui il cui valore è pubblicamente riconosciuto, socialmente ammirati ma che agisocno in modo ingannevole nello svolgimento della loro attività sportiva (ad esempio il portiere che mette tranquillanti nelle borracce dei compagni di squadra). Quando questa attività illegale viene scoperta crea sconcerto nell’opinione pubblica e, purtroppo, data la frequenza con la quale sempre più spesso vengono identificati nuovi casi di truffa nel calcio, si diffonde la sfiducia verso questo mondo e sulla regolarità dei successi.
La sfiducia non porta sempre al rigetto della truffa, perchè nei giovani  può determinare il desiderio di emulare non solo le gesta del loro campione ma anche il percorso basato sull’inganno che gli ha permesso di arricchirsi ulteriormente.

Kostner e psicologo

La Gazzetta dello Sport ha pubblicato oggi la lettera che ho inviato alcuni giorni fa in relazione all’intervista di Carolina Kostner e questo è un fatto certamente positivo. Dal commento del giornalista emerge che per molti la nostra professione e la sua specificità non è ben chiara. Condivido questo commento perchè spesso mi capita di sentirmi chiedere che cosa faccio nel mio lavoro. Ad esempio, è dei giorni scorsi la richiesta di un direttore tecnico di una società di calcio interessato alla psicologia e che mi ha chiesto subito dopo “e quindi in cosa consiste il tuo lavoro in una società di calcio?” Abbiamo ancora molta strada da fare per chiarirlo agli altri e credo che spesso dovremmo spiegarlo anche a molti nostri colleghi, che agiscono nella speranza che quello che sanno fare possa anche essere utile nel mondo sportivo.

Sei un game changers

E’ quanto si propone un programma della National Collegiate Athletic Association in collaborazione con il programma Human Highlight Reel, si tratta di fare pervenire a questa associazione video per presentare studenti-atleti che hanno dimostrato questa capacità all’interno della comunità in cui vivono, perchè possano diventare fonte di ispirazione per tutti. Devono avere dimostrato dedizione,determinazione e spirito di sacrificio. Valori questi che li spingono a essere dei modelli al di là dell’evento sportivo. Guardiamo il sito, forse sarà un po’ retorico ma credo che ci sia da imparare molto da queste iniziative. E’ innanzitutto una maniera per valorizzare i giovani e per parlare di alcuni valori di base che non riguardano quanto sei bravo ma come vivi la tua vita nel tuo ambiente sociale. Noi invece continuiamo a organizzare premi per l’etica da dare a campioni famosi e che a loro volta partecipano perchè non possono negarsi. Perchè non premiamo gesti di atleti magari meno importanti ma per questo più significativi, proprio perchè non producono fama.    Leggi:  http://www.ncaa.com/buick

Idee per i giovani psicologi

Vorrei prendere spunto da due aspetti tra loro solo apparentemente distanti: il 1° maggio, la Festa dei lavoratori anche se molti giovani non lo sono ancora e la convinzione della maggior parte degli italiani che uno degli aspetti che li contraddistingue consiste nel sapersela cavare da soli (vedi La Repubblica di oggi). Ne consegue che per trovare un lavoro bisogna solo contare sulle proprie forze,  a meno che non si appartenga a quel gruppo che si sistema tramite gli amici degli amici. Non ho mai appartenuto a questo tipo di gruppo e, quindi, mi permetto di dare dei suggerimenti ai giovani psicologi che vogliono farcela con le proprie forze. Eccoli di seguito, sono semplici, forse possono apparire banali ma sono azioni a disposizione di tutti:
1. conoscere l’inglese: bene;
2. avere voglia di specializzarsi e, soprattutto, farlo;
3. fare parte di un social network internazionale di giovani professionisti che si scambiano idee e opportunità di lavoro e tirocinio;
4. fare una mappa delle proprie conoscenze e prevedere cosa ognuna di queste persone può fare per fornire opportunità e conoscenze;
5. Fare stage all’estero (estivi e non), essere disposti a qualsiasi rinuncia pur di poterselo permettere economicamente;
6. chiedere ai propri docenti di conoscere ragazzi e ragazze che ce l’hanno fatta a realizzare quello che volevano e parlargli per sapere;
7. Tenete in casa il manuale più aggiornato su quanto vi interessa e poi per gli articoli, trovate su internet la email degli autori e scrivetegli, ve li manderanno;
8. non ascoltate quelli che vi dicono che non c’è niente da fare, impegnatevi a trovare la vostra strada;
9. Datevi un tempo determinato per trovare il lavoro nella vostra città, poi andatevene via;
10. Costruitevi una rete di conoscenze in tutto il mondo, mantenetela, alimentatela vi sarà sempre utile.
Poche idee, semplici, orientate a risolvere problemi individuali: se qualcuno vorrà condividere i suoi sforzi o esperienze li pubblicherò con piacere.

Non rinunciamo

I ragazzi e le ragazze italiane abbandonano lo sport a 14 e 11 anni. Siamo uno dei paesi del mondo occidentale con meno laureati ed è appena stata pubblicata una ricerca da cui emerge che solo il 21% dei nostri giovani è convinto che lavorerà nell’azienda in cui vorrebbe impiegarsi contro il 35% degli inglesi, il 37% degli svedesi e il 38% dei francesi. Bene! Continuiamo così a negare la realizzazione dei sogni e a allontanarli dallo sport e dallo studio.

Stiamo tornando a 30 anni fa

Pochi giorni fa durante un corso per allenatori, diversi partecipanti mi hanno chiesto come mai i giovani non sono più disposti a fare sacrifici e a impegnarsi, mentre quando erano giovani loro era tutto diverso. Questa domanda è sempre più ricorrente in questi ultimi anni e questi allenatori non chiedono se la loro impressione sia vera o falsa ma la ritengono giusta e vogliono sapere cosa dovrebbero fare. Inoltre, la risposta implicita che si aspettano di ricevere è non solo di conferma a questa loro convinzione ma soprattutto vorrebbero sentirsi dire che l’unica risposta da dare in questi casi è una giusta punizione. Sembra di essere tornati indietro a 30 anni fa quando era comune dare punizione del tipo: 20 piegamenti sulle braccia o quattro giri di campo di corsa. Ma perchè non s’investe di più sulla formazione degli adulti a cui affidiamo i nostri figli? Non dimentichiamoci che la maggior parte delle società sportive esiste solo perchè i genitori le finanziano. E se smettessero di pagarle?