Il lavoro precario di cui ancora oggi sui quotidiani si parla molto, non solo è un dramma perchè obbliga i giovani a continuare a dipendere dalle famiglie e a continuare a vivere insieme ai genitori ancora a 30 anni. Voglio infatti sottolineare un aspetto di cui poco si parla e che ha a che fare con ciò di cui mi occuppo e cioè il miglioramento delle prestazioni. Oggi sappiamo bene come si diventa esperti nello sport come nel lavoro, nelle arti o nell’artigianato. E’ ormai consolidata e dimostrata l’idea che la maestria è un processo a lungo termine e per meglio definirlo è stata coniata la regola dei 10 anni e 10.000 ore necessari per potere essere definiti “esperti”. La precarietà di cui soffrono in particolare i giovani italiani rispetto a molti coetanei europei mina proprio questo processo: non solo non guadagnano in maniera dignitosa ma i continui e ripetuti periodi di interruzione tra i lavori impediscono di sviluppare le competenze necessarie, per cui rischiano seriamente di non diventare mai competitivi perchè non avranno lavorato per un tempo sufficiente. Sembra un aspetto secondario ma non lo è, poichè il laureato non potrà mai esercitarsi a diventare esperto, forse lo sarà nel cercare il lavoro ma non in quello per cui ha studiato. Inoltre, dato che in Italia si trova lavoro solo per conoscenze familiari, questo approccio rappresenta un limite non solo per chi non le ha (!) ma anche per chi ottiene il lavoro poichè sa benissimo che sapere lavorare non è il fattore su cui sarà valutato, perchè l’unica competenza richiesta sarà quella del conformismo mentale.
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