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Quando fare progetti per il nuovo anno è inutile

Ogni inizio anno ci poniamo obiettivi per i successivi mesi, ne parliamo con gli amici, c’è chi vuole dimagrire, chi fare sport, dedicare più tempo alle persone che ama e così via. Di solito dopo pochi giorni vengono abbandonati perchè ci si sente dominati dalle necessità della vita quotidiana. Per cui si giunge alla spiegazione del classico “vorrei ma non posso”. Non sono io che non voglio era vita che me lo impedisce.

Suggerisco, quindi, a tutti noi di evitare di giocare al cambiamento se tanto sappiamo che poi facilmente abbandoneremo questi buoni propositi.  In tal senso pensare in positivo, e quindi credere che ce la faremo a soddisfare i nostri obiettivi, è fuorviante. Il pensiero positivo è velleitario se non si accompagna alla consapevolezza che sarà difficile raggiungere quanto ci proponiamo e se non siamo disposti a fare dei sacrifici.

Vuol dire impegnarsi a prescindere dai risultati. Bisogna essere disposti a impegnarsi sapendo che potremmo fallire. Dobbiamo pensare che cambiare abitudini richiede tempo ed è difficile, per la ragione che dobbiamo iniziare a pensare e ad agire in modo diverso dal solito nello stesso momento in cui saremmo portati a comportarci nel modo abituale.

Se vogliamo avere successo partiamo da obiettivi a breve termine, in cui spendere un tempo limitato ma quotidiano, ragioniamo in termini di: “Cosa mi va di fare per me oggi e che è diverso da ciò che faccio abitualmente”. Se diamo una risposta affermativa a questa richiesta ci stiamo muovendo sulla strada giusta, anche solo un minuto passato diversamente ci darà un segnale positivo, senza fretta impariamo a raccoglierli.

Gli stereotipi degli allenatori sui giovani

Per l’ennesima volta, pochi giorni fa durante un corso per allenatori, diversi partecipanti mi hanno chiesto come mai i giovani non sono più disposti a fare sacrifici e a impegnarsi oppure se lo stare continuamente attaccati allo smartphone non gli impedisce di avere altri interessi. Questa domanda è sempre più ricorrente in questi ultimi anni, ormai quasi 10 anni, e questi allenatori non chiedono se la loro impressione sia vera o falsa ma la ritengono giusta e vogliono sapere cosa dovrebbero fare.

La questione non risiede certo nell’uso delle nuove tecnologie, non sono queste a limitare lo sviluppo dei giovani. Lo sono ad esempio:

  • essere parcheggiati davanti al televisore perché così non si disturba
  • essere portati sul passeggino, quando invece è meglio camminare, perché così i genitori non perdono tempo
  • stare a casa piuttosto che ai giardini perché poi si prende freddo.

Questo tipo di educazione a essere passivi e sedentari conduce all’esasperazione nell’uso delle nuove tecnologie a discapito di una vita più attiva. La questione non sta nell’uso degli smartphone ma nel sapere quali sono le attività giornaliere dei giovani. E’ il mondo degli adulti che dovrebbe organizzare la loro vita così da educarli al piacere di essere attivi, sino a quando non avranno raggiunto la maturità per guidarsi da soli.

Ritornando agli allenatori che si lamentano va anche detto che la risposta implicita che di solito si aspettano di ricevere è non solo di conferma a questa loro convinzione ma soprattutto vorrebbero sentirsi dire che l’unica risposta da dare in questi casi è una giusta punizione. Sembra di essere tornati indietro a 30 anni fa quando era comune dare punizione del tipo: 20 piegamenti sulle braccia o quattro giri di campo di corsa. Ma perchè non s’investe di più sulla formazione degli adulti a cui affidiamo i nostri figli? Non dimentichiamoci che la maggior parte delle società sportive esiste solo perchè i genitori le finanziano. E se smettessero di pagarle? Ma non lo faranno mai perché anche per i genitori è comodo parcheggiare i figli in modo che stiano occupati senza preoccuparsi della qualità dei dirigenti e degli allenatori.

Stiamo tornando a 30 anni fa

Pochi giorni fa durante un corso per allenatori, diversi partecipanti mi hanno chiesto come mai i giovani non sono più disposti a fare sacrifici e a impegnarsi, mentre quando erano giovani loro era tutto diverso. Questa domanda è sempre più ricorrente in questi ultimi anni e questi allenatori non chiedono se la loro impressione sia vera o falsa ma la ritengono giusta e vogliono sapere cosa dovrebbero fare. Inoltre, la risposta implicita che si aspettano di ricevere è non solo di conferma a questa loro convinzione ma soprattutto vorrebbero sentirsi dire che l’unica risposta da dare in questi casi è una giusta punizione. Sembra di essere tornati indietro a 30 anni fa quando era comune dare punizione del tipo: 20 piegamenti sulle braccia o quattro giri di campo di corsa. Ma perchè non s’investe di più sulla formazione degli adulti a cui affidiamo i nostri figli? Non dimentichiamoci che la maggior parte delle società sportive esiste solo perchè i genitori le finanziano. E se smettessero di pagarle?