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Cosa ho imparato in questi ultimi due mesi

In questi giorni di rallentamento del lockdown in cui vivevamo mi sono chiesto cosa avessi imparato, cosa mi portasse con me come esperienza di questi 2 mesi.

Contatti interpersonali vs comunicazione digitale

La vicinanza interpersonale con le persone, non mediata dalla tecnologia, è una necessità per noi mammiferi abituati a condurre una vita sociale quotidiana e fondata sul contatto fisico immediato. Questo periodo ho capito che nessuna comunicazione solo digitale può sostituire questo bisogno, che è sempre stato soddisfatto dagli esseri umani.

Al contrario, però, ho potuto anche pienamente diventare consapevole che la comunicazione online e la facilità del suo accesso rappresentano dei fattori con un impatto straordinario sul lavoro e la vita relazionale. Il digitale agisce nella direzione di regalarci una maggiore disponibilità della risorsa di cui soffriamo maggiormente la carenza: il tempo. E’ un risparmio che ha un effetto anche sul nostro benessere quotidiano, riducendo gli stress dovuti a uno stile di vita in cui gli spostamenti richiedono troppo del nostro tempo.

Per il futuro, dobbiamo valorizzare la cura dei rapporti interpersonali tramite la vicinanza fisica ma nello stesso tempo il digitale rappresenta il sistema più efficace per gestire in modo migliore meno time consuming la complessità della vita professionale.

Equilibrio e definizione delle priorità fra benessere e lavoro

In queste settimane di lockdown benessere personale e necessità professionali si sono intrecciate in modo più evidente rispetto all’usuale organizzazione temporale delle nostre giornate. Lo sforzo di adattamento è stato molto significativo poiché ci siamo trovati a vivere una condizione non prevista e non programmabile in precedenza. Basti pensare alla difficoltà di molte famiglie divise tra l’organizzazione lavorativa dei genitori e gli impegni scolastici online dei figli. In un futuro che si presenterà sempre più digitale sarà necessario trovare un equilibrio fra la vita privata e il lavoro, fra gli stress quotidiani e il benessere.

Lavoro in presenza e lavoro a distanza

Nel mio lavoro con gli atleti e con professionisti di altri ambiti professionali è stato necessario adattarsi a questa nuova soluzione – a distanza – soprattutto nel capire e nel fare comprendere che il lavoro insieme non era “qualcosa in attesa di riprendere nel modo abituale” ma era il modo migliore per allenarsi mentalmente e per prepararsi alle prestazioni in un modo certamente diverso ma non per questo meno efficace. L’atteggiamento mentale di fare qualcosa “in attesa di” è stato molto diffuso e ci è voluto un po’ di tempo prima di accettare un modo diverso di pensare. Attualmente le persone con cui lavoro sono convinte che questo periodo ha permesso loro di diventare consapevoli di aspetti delle loro prestazioni e dell’importanza dello sviluppo di determinate abilità che non avrebbero mai raggiunto, poiché sarebbero stati troppo coinvolti nello svolgimento della stagione agonistica.

Partecipa alla ricerca: la vita degli atleti durante il corona virus

La ricerca applicata è un aspetto importante per promuovere la professione dello psicologo.
In relazione a quanto stiamo vivendo in questi settimane, è rivelante conoscere come gli atleti stanno affrontando questo momento di lunga crisi mai vissuto sinora in queste forme estreme.
Qui sotto viene riportata l’invito a partecipare a questa indagine, tramite la compilazione di un questionario in rete.
Ciao a tutti,
Insieme ad un gruppo di psicologi ed esperti in psicologia dello sport stiamo indagando le conseguenze causate dal nuovo coronavirus (COVID-19) sulla quotidianità delle persone per le quali l’attività sportiva è fondamentale.
Abbiamo deciso di strutturare una ricerca per capire qual è l’impatto che la situazione attuale sta generando nelle vite di ALLENATORI e ATLETI maggiorenni.  Stiamo indagando non soltanto le vostre abitudini sportive, ma anche come state vivendo questo periodo, le emozioni e gli eventi stressanti che state provando, nonché le strategie che state mettendo in pratica per gestirlo al meglio.
Proprio per questo motivo ci serve il vostro aiuto, anzi, l’aiuto di tutto il mondo sportivo.
Infatti, vi invitiamo a completare il seguente QUESTIONARIO (compilabile anche da smartphone e tablet) e a diffondere questa iniziativa a più atleti, allenatori e società possibili. Sarà proprio grazie a voi che riusciremo a capire meglio come affrontare questa situazione e a costruire risorse per il futuro alla ripresa delle attività sportive.
Potete anche seguirci sulla pagina www.facebook.com/sportecovid
Grazie.

La mentalità di chi non rispetta le regole

“Finché respiro spero” diceva Cicerone, oggi lo potremmo tradurre in “finché c’è vita c’è speranza”, più brutale ma altrettanto vero. Il coronavirus colpisce proprio questa capacità che è alla base dei bisogni fisiologici e psicologici degli esseri viventi.  Si può non bere o mangiare per qualche giorno, ma non si può fare a meno di respirare neanche per qualche minuto se non siamo un campione di apnea subacquea. Una respirazione corretta è alla base dell’auto-controllo e gli stress della nostra vita quotidiana determinano come primo effetto negativo proprio problemi di respirazione. La paura ci fa bloccare il fiato, la rabbia  l’altera per permetterci di urlare contro qualcuno, la tristezza la riduce a un filo d’aria che entra ed esce e l’ansia ci fa respirare in modo affannoso e superficiale. Il respiro riflette il nostro livello di forma fisica e di benessere e uno degli effetti di questo nuovo virus è di bloccarlo e di rendere necessario in molti casi la respirazione assistita, pena la morte. Mario Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha detto che “tutto dipenderà da noi, dalla nostra capacità di evitare il contagio. Atteniamoci alle disposizioni. Se tutti avessero stili di vita adeguati e ci fosse un’adeguata prevenzione, forse saremmo più resistenti”.

Questa consapevolezza, associata alla diffusione mondiale del coronavirus e ai suoi effetti devastanti dovrebbe avere sufficientemente terrorizzato le persone da non farle più uscire di casa, motivandole a seguire le regole che sono state diffuse e le cui attuazione è obbligatoria. Ciò nonostante migliaia di persone hanno continuato a viaggiare lungo tutto il paese e la polizia ha multato più di 2000 persone per violazione alle norme restrittive del decreto governativo. Quali le ragioni di questi comportamenti? Superficialità, approccio troppo positivo al problema, angoscia e scarsa abitudine a seguire le regole. La superficialità è una specie di pensiero magico, in cui si pensa che il corona virus sia un problema che riguarda altri, ad esempio anziani e malati, è un modo per proteggersi da sentimenti di tristezza nel breve periodo. Queste persone negano l’esistenza del problema e, quindi, mettono in atto dei comportamenti di fuga dalla loro realtà. Un secondo tipo di atteggiamento è delle persone che hanno un approccio non mediato dalla realtà e che è troppo positivo, come ad esempio chi pensava all’inizio della diffusione che era poco più che un’influenza. Sono individui che vivono nell’illusione di soluzioni positive a breve termine. Un po’ come chi inizia una dieta o vuole smettere di fumare ed è fiducioso di riuscirci solo per il fatto di avere preso questa decisione, sono forme di pensiero illusorio per cui ai primi ostacoli le persone rinunciano a seguire le nuove regole che si sono date perché è troppo difficile. Nel caso del coronavirus il problema si manifesta nella difficoltà a mantenere le regole del distanziamento fisico dalle altre persone e quindi si esce, si fa una passeggiata in compagnia e si porta i figli a giocare ai giardini. Simile negli effetti ma diverso nelle ragioni è l’approccio di chi prova angoscia nel restare a casa, si percepisce come prigioniero, si sente leso nelle sue libertà di movimento e vive questa condizione in modo claustrofobico. Per superarla trova l’unica soluzione nell’uscire fuori. Infine, vi sono coloro che vivono in modo reattivo alle regole, hanno un atteggiamento da eterni adolescenti in lotta contro le norme del mondo degli adulti. Hanno difficoltà a fare proprie le regole, che in questo caso sono obbligatorie, e a sviluppare un concetto pluralistico della convivenza sociale basata non solo sui propri diritti ma anche sui doveri nei riguardi della collettività.

Queste sono alcune possibili interpretazioni di comportamenti che in un periodo di crisi mondiale come quello che stiamo vivendo e di sconvolgimento della nostra quotidianità possono spiegare le azioni dei molti che sembrano non volersi adattare alle nuove regole.

Il valore imprescindibile della scienza

La scienza: quando questo l’incubo coronavirus sarà dietro le nostre spalle, ricordiamoci del ruolo imprescindibile della scienza nella soluzione del problema. E non dimentichiamoci di eliminare da ogni dibattito pubblico tutti i quei ciarlatani che hanno confuso l’opinione pubblica e avvelenato il clima sociale. Riduciamo al silenzio anche le persone che svolgono una funzione pubblica e che hanno dato spazio a questi ciarlatani, screditando il lavoro della comunità scientifica.

Alcune idee pubblicate, per confermare che già in questi giorni la consapevolezza nei riguardi della scienza sta aumentando:

“Nei giorni è cresciuta anche la consapevolezza scientifica, nella mappa indicata con il termine “modernità”, dove s’intende che la modernità della scienza permette di governare meglio i fenomeni. Questo spazio è costantemente cresciuto e ha permesso di abbassare la parte ansiosa, anche se ha mantenuto il sentimento di paura. Cioè la maggior consapevolezza ha tolto indistinzione all’epidemia, ma ne ha confermato la pericolosità”.

Altre si trovano sull’HuffingtonPost

La psicologia della paura del Covid-19

Si può dire che gli esseri umani hanno più paura degli eventi improbabili e catastrofici come gli attacchi terroristici che degli eventi comuni e mortali, come l’influenza. Nel caso di Covid-19, la valutazione del rischio è particolarmente spinosa perché la nostra conoscenza oggettiva della malattia è ancora in evoluzione.
Gli esseri umani si sono evoluti per reagire male a quel tipo di incertezza e imprevedibilità, perché entrambi ci fanno percepire una mancanza di controllo. Siamo esseri umani, quindi siamo pronti a rispondere alle minacce, a proteggere noi stessi. Secondo @DFrizelle, psicologa della salute UK,  è davvero difficile farlo quando la minaccia è così incerta e potenzialmente di vasta portata. Le persone possono assumere comportamenti insoliti, dettati  dal panico.

L’incertezza lascia anche spazio a false affermazioni – che, nel bel mezzo di un’epidemia, possono “portare a comportamenti che amplificano la trasmissione della malattia”, scrive l’epidemiologo Adam Kucharski in The Guardian. Siamo pessimi nel mancanza di volontà nell’individuare la disinformazione online, troppo spesso accettiamo superficialmente le notizie che leggiamo senza verificarle. E poi iniziamo a:

  • credere a ciò che ripetutamente leggiamo,
  • cercare informazioni che convalidino i nostri stereotipi sociali,
  • ricordare cose che suscitano forti emozioni più di quelle che non le suscitano.
  •  cercare sulla pressione della paura un capro espiatorio, individuare la colpa negli altri.

L’epidemia ha avuto origine a Wuhan, in Cina,  quindi i sentimenti e gli attacchi anti-cinesi sono aumentati. Le emozioni che stiamo vivendo con probabilità possono spingerci a fare scelte irrazionali, basate proprio sui nostri pregiudizi. Quando le persone reagiscono per una forte emozione, possono fare scelte rapide e irrazionali per rassicurarsi trovando un nemico esterno che permetta di trovare una spiegazione razionale e rassicurante.

Metin Başoğlu, professore di psichiatria e fondatore dell’Istanbul Center for Behavior Research & Therapy, ha studiato la risposta emotiva e comportamentale dei sopravvissuti al terremoto e vede dei paralleli nelle reazioni odierne al coronavirus.

Dopo il grave terremoto che ha colpito la Turchia nel 1999, uccidendo 17.123 persone e ferendone 43.953, Başoğlu afferma che molti sopravvissuti si sono rifiutati di tornare nelle loro case, scegliendo invece di vivere per mesi in campi all’aperto. Ma il suo team si è reso conto che “se incoraggiamo le persone a tornare nelle loro case, si riprendono in fretta”.

Lui e i suoi colleghi hanno sviluppato un metodo per affrontare lo stress post-traumatico chiamato Control Focused Behavioral Treatment (CFBT), che nasce dall’osservazione che l’esposizione a una fonte di stress può creare un senso di controllo su di essa – una lezione che, secondo lui, si applica alle epidemie, che sono anche incontrollabili e imprevedibili. “Non si può controllare ogni singolo rischio che si presenta nella vita e condurre una vita significativa, ragionevole e produttiva allo stesso tempo”, dice. “Evitare in modo estensivo e irrealistico non è compatibile con la sopravvivenza”.

Questi esperti raccomandano di fare il possibile per riaffermare un senso di controllo sulle proprie paure, senza esagerare e rischiare di contribuire al panico pubblico.

Le misure precauzionali comuni sono particolarmente importanti data l’alta probabilità di contrarre la Covid-19 che includono le norme varate dal governo italiano: l’autoisolamento, lavarsi regolarmente le mani con acqua e sapone e limitare le uscite a motivi solamente necessari (sanitari, sostentamento e lavoro).

L’epidemia che stiamo vivendo può colpire negativamente le persone che già soffrono di disturbi psicologici  come la depressione, l’ansia e il disturbo ossessivo-compulsivo. I social possono essere di supporto per restare in contatto via cellulare con persone di cui si ha fiducia nonché i network televisivi e sul web più accreditati e sicuri.