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Da stella a niente

In una imperdibile rassegna The Daily Beast parla di grandissimi atleti che come allenatori e dirigenti hanno invece fallito. Fra essi miti come Michael Jordan e Magic Johnson:  http://www.thedailybeast.com/galleries/2013/06/14/from-great-to-blah-star-athletes-who-failed-as-bosses.html#815027b6-2b8e-4092-9a13-dc2dcb24cde5

Lo scarso controllo emotivo delle tenniste

Oggi ho assistito a una partita di tennis tra due ragazze numero 300 nel ranking mondiale che ha avuto il seguente punteggio: 6/2 0/6 e poi al 3° set 0/3, 2/4, 4/4, 6/6, 7/5. E’ un punteggio da manuale e frequente fra le tenniste che mostra lo scarso controllo emotivo delle due avversarie, di come si può perdere con facilità un set senza manifestare alcuna forma di reazione. Poi chi ha vinto il 2° set a zero e dopo 9 game vinti, commette due errori da cui non si riprende, permettendo all’avversaria di portarsi in parità e alla fine di vincere il match. Secondo coach e genitori questa difficoltà emotiva delle giovani tenniste è una difficoltà molto diffusa mentre è assolutamente assente una qualche forma di preparazione mentale. Il consiglio più frequente dei coach è quello di dire alle ragazze che giocando molti tornei impareranno a gestirsi in modo migliore, se non ci riescono passano a dire “con te non c’è proprio niente da fare”. Certamente non tutte possono diventare una campionessa, ma sono convinto che la maggior parte potrebbe migliorare se venisse allenata mentalmente. Il mio consiglio è che i coach comincino a collaborare con gli psicologi dello sport nella costruzione di programmi di allenamento che abbiano lo scopo d’insegnare alle tenniste ad acquisire una mentalità vincente. Oggi nemmeno più nel calcio l’allenatore è l’unico a lavorare con la squadra ma pur mantenendo la sua leadership lavora con una squadra di esperti, nel tennis al massimo c’è il preparatore fisico; un po’ poco per chi vuole raggiungere l’eccellenza.

Perché molti atleti scelgono di non doparsi

Allenatori, dirigenti sportivi e genitori devono sviluppare sempre più la loro capacità d’identificare, comprendere e rispondere alle esigenze dei giovani di cui godono la fiducia. Perché non devono più accadere esperienze come quella di Alex Schwazer.

Leggi l’articolo su http://www.huffingtonpost.it/alberto-cei/perche-molti-atleti-scelgono-di-non-doparsi_b_3161051.html?utm_hp_ref=italy

Troppe espulsioni fra gli allenatori di calcio

Mai come durante questa stagione agonistica vi sono state così tante espulsioni fra gli  allenatori nel calcio di Serie A. Il fenomeno riflette un livello di stress professionale che gli allenatori hanno spesso difficoltà a controllare e di conseguenza sul campo inveiscono contro gli arbitri in modo poco controllato. Quali possono esserne le cause:

Pressione –  è forte la richiesta di  Società e tifosi  di fare subito risultato e lo è altrettanto l’incapacità dei club di permettere, salvo rare eccezioni, al tecnico di lavorare su obiettivi che non siano solo quelli della partita della domenica

Precarietà – L’effetto è che l’allenatore rischia di venire esonerato se perde qualche partita o se non corrisponde subito alle aspettative del presidente.

Esposizione –  L’allenatore è quotidianamente sulle pagine dei giornali e delle trasmissioni sportive. Intorno a lui si sviluppa un gossip continuo che espone le sue scelte alla discussione senza fine del pubblico e dei giornalisti, che s’interrompono solo durante la partita per riprendere subito dopo nelle interviste post-partita.

In queste condizioni non è semplice svolgere il proprio lavoro e certamente gli allenatori troverebbero utilità nello svolgere attività di coaching allo scopo di migliorare la loro abilità nel gestire gli stress che incontrano nel loro percorso. D’altra parte questo è un approccio di cui si servono i manager delle aziende proprio per migliorare la loro leadership.

 

 

 

 

Come eseguire un respiro profondo

Dal momento che gli allenatori e i preparatori ficisi non insegnano a eseguire un respiro profondo, volgio darvi alcune indicazioni su com effettuarlo. Respirare profondamente è un ottimo modo per ridurre la tensione muscolare di tutto il tronco ed ha una notevole influenza positiva sulla mente.

  • Prendi l’aria-  dal naso inizialmente si riempie la parte inferiore dei polmoni, così facendo il diaframma si abbassa ed è questo il motivo per cui l’addome viene in fuori. Successivamente, l’aria occupa la parte media dei polmoni, in tal modo le costole inferiori e lo sterno si alzano; il torace si dilata immediatamente dopo, quando l’aria invade anche la parte superiore dei polmoni. Naturalmente, non esistono tre fasi distinte ma un unico movimento ritmico di respirazione.
  • Trattieni l’aria – per qualche secondo in modo da permettere ai polmoni di assorbire l’ossigeno che hai appena introdotto.
  • Espelli l’aria – gradualmente dalla bocca.

Allenati a fare delle serie di tre respiri per volta per tre volte consecutive, mettendoci tra una serie e l’altra una breve pausa di 30 secondi.

Perchè gli allenatori non consigliano l’allenamento mentale

Sempre più spesso mi chiedo perchè la maggior parte degli allenatori non consiglia ai propri atleti di seguire un programma di allenamento mentale. Non parlo di atleti principianti ma di ragazzi che praticano da diversi anni uno sport e che vogliono valorizzare le loro abilità quando gareggiano. Le parole tipiche degl allenatori di fronte a delle difficoltà psicologiche sono: “mettici un po’ più di …” e qui si può scegliere la dimensione psicologica che si ritiene più opportuna: più fiducia, più attenzione, più decisione, più impegno e così via. Il problema è che gli atleti di solito non capiscono queste frasi, e non sanno come “essere più”. D’altra parte la scarsa attenzione degli allenatori alla dimensione psicologica è evidente nel fatto che quasi nessun atleta sa fare un respiro profondo, non hanno perso tempo a insegnarglielo! Mentre è noto a tutti che un respiro profondo è in grado di abbassare livelli di tensone psicologica troppo elevati ma non importa l’allenatore che si trova in questa situazione dirà al suo atleta, la frase risolutiva “Stai calmo” e come conseguenza l’atleta o si sentirà ancora più agitato oppure si arrabbierà con l’allenatore che non lo sa aiutare.

Come si risolve questo problema? Semplicemente, gli atleti più consapevoli del valore della mente decidono da soli di andare da un esperto in mental coaching, naturalmente esistono anche gli allenatori che orientano  gli atleti a seguire questa opzione ma sono pochi.

Come motivare gli atleti è un tema sempre di attualità per gli allenatori

Tutti gli allenatori sono fortemente consapevoli della stretta interazione tra motivazione e apprendimento. La motivazione è però un concetto teorico  che non può essere direttamente osservato e che può` essere  solo ipotizzato sulla base del comportamento degli atleti. In ogni caso,  la conoscenza del processo motivazionale è un fattore cruciale per ogni allenatore, che voglia  insegnare in modo efficace.

Le motivazioni più importanti riconosciute dai giovani atleti  sono relative a:

  1. competenza (imparare e migliorare le proprie abilità sportive),
  2. divertimento  (eccitamento, sfida e azione)
  3. affiliazione (stare con gli amici e farsi nuovi amici),
  4. squadra (essere parte di un gruppo o di una squadra),
  5. competere (gareggiare, avere  successo, vincere)
  6. forma fisica (sentirsi in forma  o  sentirsi più forti)

Viceversa, le cause principali della diminuzione della motivazione o dell’abbandono della pratica sportiva sono da ascriversi a: mancanza di divertimento,  mancanza  di successo, stress da competizione,  assenza  di appoggio da parte dei genitori, incomprensioni con l’allenatore, noia e incidenti sportivi.

In sintesi sono i tre principali bisogni che l’atleta vuole soddisfare per mezzo dell’attività sportiva:

  1. divertirsi, soddisfa il bisogno di  stimolazione  ed   eccitamento,
  2. dimostrare competenza, soddisfa il bisogno di acquisire  abilità e di sentirsi autodeterminati  nelle  attività  svolta,
  3. stare con gli altri, soddisfa il bisogno di  affiliazione con gli altri e di stare in gruppo.

Con riferimento al bisogno di stimolazione si può affermare che:

  1. Il successo va costruito calibrando il programma  da svolgere con le abilità e l’età dell’atleta.
  2. L’allenamento deve essere mantenuto stimolante e  vario.
  3. Ogni atleta deve essere attivo; non bisogna  lasciare agli atleti il tempo di annoiarsi.
  4. Durante l’allenamento è necessario fornire agli  atleti l’opportunità di svolgere esercizi stimolanti.
  5. Bisogna insegnare agli atleti a identificare obiettivi realistici.
  6. Durante l’allenamento è utile stabilire dei  momenti in  cui  gli atleti si esercitano senza  essere  valutati dall’allenatore.

Per quanto riguarda il bisogno di competenza, è compito  dell’allenatore stimolare sia il bambino che il giocatore evoluto non solo ad imparare specifiche  tecniche sportive ma, anche, a sviluppare  il desiderio di progredire e  la  curiosità verso se stessi e l’ambiente in cui agiscono.

A tale proposito l’allenatore dovrà rammentare che:

  1.  Obiettivi specifici, difficili e  che  rappresentano una  sfida sono più efficaci di obiettivi specifici  ma facili,  di  obiettivi  definiti in termini di fai-del-tuo-meglio  e  di   non-obiettivi.
  2. Gli atleti devono possedere un numero sufficiente  di abilità per raggiungere i loro obiettivi.
  3. Gli obiettivi sono più efficaci quando sono definiti in  termini comportamentali, specifici  e  quantitativi, rispetto a quando sono definiti in maniera vaga.
  4. Vanno definiti obiettivi intermedi che devono interagire con quelli a lungo termine.

Quanto al Bisogno di affiliazione esso si fonda sull’esigenza di appartenere  ad un gruppo e di esserne accettati,  stabilendo così con gli altri membri della squadra rapporti  significativi. Soddisfacendo il bisogno di  affiliazione  e di stima, l’atleta sperimenta  maggiore  fiducia verso  se stesso e maggior controllo nei riguardi  delle situazioni che si presentano. In effetti ogni atleta  e allenatore sa per esperienza che quando vi sono fra loro problemi  di comunicazione è difficile seguire il  programma di allenamento che è stato prefissato.

I punti chiave per soddisfare  il bisogno di affiliazione e di stima  degli  atleti possono essere così riassunti:

  1. Ascoltare le richieste degli atleti.
  2. Comprendere i bisogni espressi, orientandoli  all’interno del programma annuale di allenamento.
  3. Stabilire il ruolo di ogni atleta, definendo per ciascuno obiettivi realistici.
  4. Riconoscere apertamente l’impegno posto nel  collaborare a obiettivi di gruppo.
  5. Insegnare ai giocatori a correggersi reciprocamente.
  6. Fornire istruzioni tecniche e incoraggiare  l’impegno personale.
  7. Ridurre lo stress agonistico rinforzando l’importanza di gareggiare  dando il meglio di sé e riducendo l’importanza  attribuita al risultato.

In altri termini, l’allenatore per sviluppare nei suoi atleti i il senso di appartenenza a quel particolare gruppo, deve mostrarsi credibile e costante nei suoi atteggiamenti e comportamenti.

Per essere  credibili  bisogna essere sinceri con tutti i propri atleti: giovani  e adulti,  esperti e meno esperti, titolari e riserve. A  tale proposito è necessario:

  1. Condividere con gli atleti il programma tecnico, evidenziando le loro abilità e le aree da migliorare.
  2. Spiegare le ragioni di tecniche e strategie:  saranno così ricordate meglio.
  3. Non far promesse, personalmente o indirettamente, che si potrebbe non riuscire a mantenere.
  4. Rispondere alle domande con competenza, sincerità, sensibilità.
  5. Evitare di pronunciare frasi che potrebbero ledere la stima dell’atleta (es: “Non farai mai parte del gruppo dei migliori). Come indicazione ci si chieda: “Se fossi  l’atleta, vorrei sentirmi dire questo dall’allenatore?”.

Un altro allenatore si dimette per stress

Scrivo spesso della difficoltà di gestire lo stress. Questo è un problema non solo per gli atleti ma lo sta diventando sempre più anche per gli allenatori. Guardiola si è dimesso perchè sentiva il bisogno di prendersi un periodo di riposo. L’allenatore del Sydney con l’arrivo di Del Piero ha vissuto un periodo di stress intenso e anche lui si è dimesso. Ora è stato il turno di Alekno, ct della nazionale russa di volley  oro a Londra: anche lui si dimesso per troppo stress. Mi auguro che queste storie insegnino agli allenatori a formarsi maggiormente dal punto di vista psicologico.

Allenatori solo vittime dei club?

Ancora una volta il calcio non perdona gli allenatori e con regolarità dopo qualche partita persa vengono esonerati. Si dice sempre che ciò avviene perché è più facile licenziare un allenatore piuttosto che 11 giocatori e che i presidenti delle squadre non sanno accettare la sconfitta. Ragionando in questo modo gli allenatori sono sempre vittime e gli altri sono i loro carnefici. Per una volta mi piacerebbe provare a pensare che invece i risultati delle squadre rispecchino i limiti degli allenatori e che questi esoneri dovrebbero essere vissuti come campanelli d’allarme di un modo di essere leader che è stato sbagliato e che quindi andrebbe capito, valutato e cambiato per essere più preparati quando si presenterà la prossima occasione di sedere in panchina. Non so neanche se questi allenatori nel caso in cui effettuino questo percorso critico lo facciano da soli o si affidino all’aiuto di un consulente nel campo del miglioramento delle prestazioni. La mia impressione è che questo modo di fare non appartenga al mondo degli allenatori di calcio, per la ragione che se non sentono la necessità di un consulente psicologo quando sono alla guida della squadra perché mai dovrebbero sentirne la necessità quando sono senza squadra.

Il calendario degli allenatori

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