Archivio mensile per marzo, 2021

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Chi è il miglior allenatore nel calcio?

In questi ultimi anni il ruolo dell’allenatore nel calcio viene spesso messo in discussione. Sembra un lavoro che trova rilevanza solo nella singola partita. Se la squadra vince si è un buon leader, in caso contrario non si sono dimostrate le qualità necessarie per guidare una squadra. Un esempio di questo fenomeno è rappresentato da Claudio Ranieri, che l’anno successivo ad avere vinto con il Leicester il campionato inglese, avere vinto il premio come migliore allenatore FIFA è stato esonerato per i risultati negativi della stessa squadra.

Come valutare quindi un allenatore nel calcio?

Alcuni spunti che verranno approfonditi in blog successivi.

  1. Si parte dal concetto che l’allenatore ha l’obbligo di contribuire allo sviluppo professionale e personale del calciatore.
  2. L’allenatore dovrebbe essere in grado di riflettere in modo professionale sulla sua attuale esperienza con la squadra che allena, allo scopo di esserne consapevole e per elaborare un piano di miglioramento.
  3. Dovrebbe comprendere qual è il suo impatto sui calciatori e sulla squadra.
  4. Dovrebbe sapere in che modo si evidenzia la sua leadership sulla squadra, attraverso quali comportamenti dei singoli, dei giocatori più rappresentativi e del collettivo.
  5. Dovrebbe avere la volontà di sentirsi impegnato in un processo di miglioramento continuativo per migliorare la sua esperienza nel calcio.

IJSP 2° Special Issue: 50° Anniversario

Stiamo per pubblicare il secondo special issue dell’International Journal of Sport Psychology per festeggiare il 50° Anniversario di questa rivista – 1970-2020. E’ dedicato al futuro della psicologia dello sport.

Ecco la bozza della copertina.

Dedicato a chi ha fretta di vincere

“Mi sono allenato 4 anni per correre 9 secondi. È divertente come le persone che non vedono risultati in 2 mesi si arrendono e se ne vanno. A volte il fallimento si cerca da soli”. (Usai Bolt)

Non servono commenti

La foto ironica di Usain Bolt sull'importanza del distanziamento sociale  per il Covid-19

Psicopandemia: quali possibili soluzioni?

Al di là delle evidenze diffuse esistono ormai numerose indagini che ci mostrano i dati della cosiddetta psicopandemia, con un aumento generalizzato dei problemi psichici nella popolazione di tutte le età. Di seguito i punti principali della questione tratti da David Lazzari, Presidente Ordine degli Psicologi.

  • OMS già prima della pandemia 17 milioni di italiani soffrivano per disturbi psicologici, oltre un italiano su quattro e nella metà dei casi queste problematiche insorgono verso i 14 anni (Kastel 2019).
  • L’incidenza più elevata è in gruppi a rischio come i reduci dalle terapie intensive, i colpiti dal Covid, i malati fisici che non si sono potuti curare per paura del contagio o per limitazioni negli accessi, le persone che hanno perso un congiunto in situazioni particolari, i “caregiver” che assistono patenti o persone con malattie o disabilità, le persone con maggiore o pregressa fragilità psicologica, gli operatori sanitari in burnout.
  • Indagini indipendenti effettuate in diversi Paesi sono convergenti nel dire che una persona su tre oggi avrebbe bisogno di ascolto e sostegno psicologico, anche per evitare lo strutturarsi di disturbi più gravi e costosi.
  • In una recente indagine del Centro Studi dell’Ordine degli Psicologi il 47% dei genitori con figli 3-14 anni evidenzia problemi emotivi, e sui bambini evidenzia stati psicologici negativi  nel 62% dei casi.
  • Tra gli adolescenti 6 su 10 dichiara di sentirsi stressato ed uno su tre vorrebbe un supporto psicologico (Unicef 20.11.20).
  • 7 persone su 10 in questi casi preferiscono un aiuto psicologico ai farmaci (McHugh 2013). E’ dimostrata una maggiore e più lunga efficacia della psicoterapia per la maggior parte di queste situazioni (Huhn et al. 2014, Cuijpers et al. 2014, Lazzari 2020).
  • Gli interventi psicologici hanno una azione ristrutturante perché promuovono le risorse delle persone e prevengono da eventuali ricadute. Parliamo di differenze importanti che si apprezzano soprattutto nel medio e lungo periodo (Harryotaki et al. 2014, Zhang et al. 2018).
  • Un dato confermato dalle analisi economiche costo-benefici, che ci dicono che a 5 anni dal trattamento la psicoterapia fa risparmiare 1481 euro a persona in campo sanitario e 2058 euro alla società rispetto ai farmaci, rivelandosi economicamente più vantaggiosa nel 75% dei casi (Rossi et al. 2019).
  • Tutto questo senza contare i possibili effetti collaterali del diffuso abuso di farmaci.
  • Purtroppo il problema è strutturale: è il sistema che alimenta questa situazione, perché mentre i farmaci sono rimborsati dal SSN o gratuiti (alcune categorie) e facilmente disponibili, i trattamenti psicologici non solo non sono rimborsabili ma sono merce rara nel pubblico. Con uno psicologo psicoterapeuta ogni 12 mila abitanti nel SSN l’accesso a queste terapie nel pubblico è per pochissimi e nel privato sono oggi molti di meno quelli che possono permettersi un trattamento.
  • La psicologia e la psicoterapia sono ancora pensate per chi può pagarsele.

 

 

L’importanza del dialogo con se stessi nel calcio

Gli errori continui nel campionato di calcio, da quelli di Bentancur contro il Porto a quelli di Sassuolo- Napoli mettono in luce che molti calciatori probabilmente non hanno un dialogo con se stessi che gli fornisce istruzioni su come giocare in determinati momenti e che sostiene la loro tenacia nel continuare a impegnarsi al meglio delle loro capacità. Si tratta di errori gravi che incrinano qualsiasi idea tattica di una squadra e della cui importanza non credo che le squadre e gli allenatori siano pienamente consapevoli e agiscano per cambiare. Di seguito alcuni dati scientific che ne dimostrano l’importanza nel calcio.

Il self-talk può influenzare le prestazioni sportive. C’è una correlazione positiva tra il miglioramento delle prestazioni, il self-talk positivo (che aumenta la fiducia e la convinzione nelle proprie capacità) e il self-talk istruttivo (che devia l’attenzione su alcuni elementi di un movimento per aumentare il focus attentino, aiutando così l’esecuzione).

Daftari, Fauzee e Akbari (2010) hanno esaminato gli effetti positivi e negativi percepiti del self-talk sulle prestazioni calcistiche su giocatori di calcio iraniani di élite (membri della squadra nazionale). I partecipanti a questo studio erano 25 calciatori professionisti maschi iraniani (età media 27 anni). I risultati hanno dimostrato che gli effetti percepiti del self-talk neicalciatori professionisti in contesti di prestazioni reali possono essere classificati in due categorie principali: positivi e negativi.

Gli effetti positivi comprendono più dell’80% degli effetti percepiti del self-talk, mentre gli effetti negativi comprendono meno del 20% delle risposte. I tre effetti positivi più citati del self-talk sono stati:

  • “Migliora la coordinazione con i compagni di squadra (15,6%)
  • “Migliora la concentrazione e l’attenzione (12,5%)
  • “Promuove la capacità di prendere decisioni (11,4%)”.

I risultati indicano che gli effetti percepiti del self-talk tra questi partecipanti erano:

  • Aumentare la coordinazione dei giocatori attraverso la ripetizione mentale di situazioni critiche
  • Migliorare la concentrazione degli atleti e affinare la precisione dei loro movimenti
  • Aumentare la loro capacità di prendere decisioni corrette con precisione nel minor tempo possibile
(Fonte: Farina e Cei, 2019)

Adottare una mentalità orientata alla crescita

Ci sono molti esempi di atleti che hanno migliorato e raggiunto il successo adottando una mentalità di crescita.

Carol Dweck ci ricorda che un atleta può essere soffocato dalle insidie di una mentalità fissa, quella di chi pensa che il talento naturale non dovrebbe avere bisogno di sforzo. Lo sforzo è per gli altri, i meno dotati. Il talento naturale non chiede aiuto. È un’ammissione di debolezza. In breve, il talento naturale non analizza le sue carenze e non le allena o le elimina. L’idea stessa di carenze è terrificante

Dweck si riferisce anche al momento in cui Billy Jean King, campionessa di tennis, si rese conto che il duro lavoro era necessario per integrare il suo talento se voleva raggiungere il vertice. Nonostante abbia giocato a un livello molto alto contro la formidabile Margaret Smith, la King perse la partita, ma la sconfitta le insegnò il valore del duro lavoro. Tutto d’un tratto, capì cosa fosse un campione. Qualcuno che può alzare il proprio livello di gioco quando è necessario. Quando la partita è in gioco, improvvisamente il campione diventa tre volte più forte.

Concentrazione e tenacia mentale sono le due chiavi del successo e non un tratto di personalità innato. Quando undici giocatori vogliono buttarti a terra, quando sei stanco o infortunato, quando gli arbitri sono contro di te, non puoi lasciare che nulla di tutto ciò influenzi la tua concentrazione. Come si fa a farlo? Bisogna imparare a farlo con esercizi appositi.

Gli allenatori dovrebbe abbracciare questo approccio che evidenzia il valore di una mentalità orientata alla crescita, al fine di consentire loro di essere aperti al miglioramento, lavorare sodo e imparare dal fallimento.

Spesso diciamo: “Impara dagli errori”. Commettere errori è parte integrante della crescita. Porre troppa enfasi sull’importanza del risultato e sulla vittoria non fa altro che aumentare lo stress agonistico e la probabilità di non accettare i propri errori.

Quanto tempo spendi per migliorare?

Aristotele diceva che “Noi siamo ciò che facciamo costantemente. L’eccellenza quindi non è un atto ma una abitudine”.

L’eccellenza nasce dall’abitudine a voler migliorarsi con una dedizione pressoché totale. Chi non capisce che questa è la strada da percorrere quotidianamente crede di sopperire con le conoscenze e competenze che già possiede.

Come professionista – allenatore, medico, psicologo, preparatore fisico – quanto tempo spendi per il tuo miglioramento continuativo?

Cosa è per il miglioramento? Imparare nuove competenze? Migliorare l’attuazione di quello che sai già fare? Valutare gli effetti del tuo lavoro  in modo più professionale? Con quale frequenza rifletti su questi aspetti del tuo lavoro?

Perché e come è cambiata la preparazione psicologica in questi 50 anni

Vorrei parlare di come è cambiato, a mio avviso, la preparazione psicologica in questo trent’anni. Certamente sono state introdotte nuove strategie e tecnologie ma non è su questo che voglio soffermarmi.

Inizialmente la preparazione psicologica si è diffusa specialmente fra gli atleti di alto livello e in particolare fra quelli che partecipavano alle Olimpiadi e alle manifestazioni sportive più importanti. Se si pensa ai programmi psicologici introdotti negli anni ’70  e diffusi in tutto il mondo negli anni ’80 e ’90 si evidenzia che tendevano a sviluppare alcune abilità psicologiche connesse essenzialmente alla gestione dello stress agonistico. Dai primi programmi proposti da Richard Suinn e da Lars Eric Unestahl alla maggior parte di quelli realizzati in quegli anni, questi progetti erano principalmente centrati sull’apprendimento del rilassamento, delle tecniche di ripetizione mentale, del goal setting e delle tecniche per l’allenamento dell’attenzione. Il mio libro del 1987 “Mental training per atleti” propone le stesse strategie all’interno di un programma di otto settimane.

In quegli anni collaborando con atleti che gareggiavano per ottenere il massimo successo, non si prendeva in considerazione l’atteggiamento nei confronti dell’allenamento o mindset. Mi ricordo Ennio Falco, oro ad Atlanta 1996 nello skeet, disciplina del tiro a volo, che quando faceva un errore su una pedana, prendeva 500 cartucce e si allenava su quei due piattelli fino a che non considerava corretto quell’errore. Dall’altra parte quando nel 1995 ho iniziato a lavorare con il tiro a volo la maggior parte di loro erano atleti che avevano vinto molte gare internazionali ma volevano imparare a essere ancora più concentrati e a gestire meglio lo stress in alcuni momenti della gara per alzare di un piattello la loro media. In sostanza per almeno 20 anni ho lavorato con atleti che volevano massimizzare competenze che già possedevano, che si allenavano ogni giorno in modo motivato e che volevano rispondere immediatamente alle difficoltà che incontravano. Lo stesso comunque è valido per la maggior parte degli psicologi di quel periodo. John Salmela, che ha costruito un questionario pr la valutazione delle abilità mentali, mi disse che consideravano sufficienti le abilità se su scala da 1 a 5, gli atleti mostravano una media di 4!

Mi sembra che oggi la condizione si sia abbastanza modificata, non solo perchè la preparazione mentale si è diffusa anche tra i giovani adolescenti e atleti di livello inferiore rispetto a quelli di vertice mondiale.

Trattando di queste tipologia di atleta mi sembra che sia emersa in modo più evidente la necessità di comprendere e di potenziare la motivazione e la mentalità orientata alla crescita, permettendo così di imparare ad accettare gli errori e di rispondere alle difficoltà in modo rapido ed efficace. Questi aspetti mi sembra non siano stati così importanti fra gli atleti di vertice mondiale e quindi non venivano presi in considerazione. Lo studio di dimensioni psicologiche come l’ottimismo, la tenacia e la resilienza mi sembra che possa essere spiegata anche perchè siamo diventati consapevoli della carenza di queste caratteristiche in molti atleti, come si può intendere abbiamo a che fare con l’atteggiamento e con la spiegazione dei risultati ottenuti.

Impossibile approfondire questo tema nelle poche righe di un blog ma credo che andrebbe studiato come la preparazione psicologica si è sviluppata dagli anni ’70 ad oggi soprattutto volendo capire quali sono stati i cambiamenti nella mentalità degli atleti e nel mondo dello sport che potrebbero avere orientato la scelta di nuovi indirizzi di studio e di applicazione.