Archivio mensile per luglio, 2011

Campagna il condottiero

Mettete un ottimo allenatore e la pallanuoto rinasce. Ci voleva così tanto tempo per capirlo? Campagna è l’esempio di come una leadership adeguata è in grado di fare risorgere una nazionale che non vinceva da anni. L’allenatore è decisivo perchè l’unità della squadra, il cuore e il coraggio sono una conseguenza del suo lavoro e non esistono a priori. Per questo gli allenatori bravi sono come i condottieri del passato è la loro presenza che motiva i giocatori.

In vacanza in mezzo alla natura

In famiglia (quale essa sia per voi) siete dei camminatori nella natura (nature walker)? Le persone che si vivono in questo modo hanno una percezione di se stessi in cui la componente fisica e ambientale è rilevante e questa loro identità è un predittore significativo di come si comporteranno in futuro. Pertanto sviluppando una forte percezione di amanti della natura (diremmo noi in italiano) svilupperemo una altrettanto intensa motivazione a continuare a stare a contatto con la natura e a rispettarla. Chi ha figli può insegnare loro questo piacere, sapendo che una volta che questo atteggiamento sarà stato da loro interiorizzato continuerà a essere presente anche da adulti.

Un anno dalle Olimpiadi di Londra

Un anno alle Olimpiadi del 2012 significa un anno dalla gara della vita, un anno di preparazione e speranza. Per provare a vivere questo stato d’animo si può immaginare il nostro obiettivo più ambizioso pensando che fra un anno saremo chiamati a dimostrare di avere le capacità per raggiungerlo. Forse così avremo avuto un’idea di cosa si pensa e si sente in quei momenti. Questi pensieri entusiamano ma nello stesso tempo mettono paura. L’obiettivo su cui gli atleti lavorano è quello di non soccombere sotto questa pressione e di conviverci, trasformandola in forza. Forza che si manifesta pensando solo alla propria prestazione e non al risultato, così come ha fatto Federica Pellegrini, quando il giorno precedente la finale dei 200m, ha pianificato il ritmo di gara e lo ha seguito con la certezza che l’avrebbe portata a toccare per prima, senza preoccuparsi del ritmo delle avversarie. Così fanno i campioni e così si allenano, perchè anche il lavoro dei prossimi 365 giorni dovrà essere un’esperienza bella e coinvolgente.

Imparare da Agassi

Imparare da Agassi perchè dalla sua autobiografia “Open”, uscita circa 2 anni fa, si possono trarre molte idee su uno dei tanti modi in cui si è campioni. I temi principali sono diversi: il rapporto padre-figlio, quello con la squadra con cui lavora, l’odio per il tennis e l’impossibilità di abbandonarlo, l’amore, la consapevolezza della propria esistenza e la necessità di viverla fino in fondo. E’ un libro complesso perchè complessa e piena di contraddizioni è la vita. E’ una storia da leggere per capire l’esistenza di un giovane che non può che fare “quella cosa lì.” I ragionamenti durante i match sono impressionanti, Agassi sa con notevole anticipo quando sta per vincere o perdere e ciò accade con regolarità. Appare evidente che è la mente a guidare la propria esistenza e che la lotta consiste nel metterla in condizioni di fargli raggiungere il successo, con l’aiuto grande e indispensabile dei suoi mentori e dei suoi amori. La storia ha un lieto fine, perchè con Steffi Graf trova una compagna giusta per lui e viceversa. I due figli che hanno non giocano a tennis. Non è la descrizione di come vivono i campioni ma è come uno di loro ha vissuto questa esperienza. E’ un esempio di come si convive con i propri mostri interiori e di come ci si rialza dopo le sconfitte. Leggerlo arricchisce e permette di capire come la vita di un atleta sia e non possa altro che essere una lotta continua contro quelle parti di sè che si ribellano a questa condizione e che preferirrebero il lasciarsi andare e il rinunciare. Infatti,  reagire significa combattere contro questo stato mentale che, riempiendo di odio quello che viene fatto, ha lo scopo di portare l’atleta all’autodistruzione. Questo è ciò che non fatto Agassi che è stato uno dei tennisti più longevi e di successo.

Accettare l’incertezza

Sono tempi incerti come tutti sappiamo e mi capita di ricevere mail da giovani psicologi che chiedono come si faccia a lavorare nello sport. Le risposte sono almeno tre. La prima. Bisogna sapere che cercare un lavoro fa parte del lavoro stesso, così come il lavoro sarà terminato solo dopo che si sarà stati pagati e non quando finisce la parte operativa del lavoro stesso. Ciò detto si lavora se si è in grado di attivare una rete di relazioni sociali abbastanza ampia che nel migliore dei casi permetta di raggiungere le principali realtà sportive situate nella propria area di residenza. Quindi è indispensabile chiedersi chi sono le persone che conosco e qual è il loro ruolo e secondo quali sono le organizzazioni sportive. La seconda. Il programma che si andrà a proporre deve essere costruito in modo da essere facilmente percepito come utile e vantaggioso da chi lo dovrà valutare Non deve essere il programma migliore che si è in grado di realizzare, non deve contenere tutto quello che si sa sull’area in cui si vuole operare, deve essere concreto, specifico e facilmente realizzabile. Deve essere organizzato in moduli che possono essere sviluppati in modo indipendente, così da garantirsi di poterne realizzare anche solo una parte. Inoltre, bisogna lasciarsi un margine per la negoziazione del costo del progetto, in pratica bisogna sempre chiedere di più, così da potere avere spazio per una riduzione. La terza. Non bisogna mai smettere di aggiornarsi, per chi vuole lavorare in psicologia dello sport significa leggere (molto in inglese) e essere parte della rete europea di giovani come l’Euroepan Network of Young Specialists in Sport Psychology  (www.enyssp.org) con cui scambiarsi esperienze e idee.

XIII Congresso Europeo di Psicologia dello Sport

Questo Congresso dovrà essere ricordato per una serie di novità che lo hanno caratterizzato e che rappresentano lo specchio di dove sta andando la psicologia dello sport. Partiamo dai numeri che dicono già di per se stessi quanto sia diffusa la psicologia dello sport. Sono stati 600 partecipanti, almeno 1/3 provenienti da altri continenti. I paesi non europei più rappresentati sono stati gli USA ma soprattutto i paesi asiatici (più di 30 sono stati solo i colleghi di Taiwan). Sono stati 5 i key note speaker provenienti da Gran Bretagna, Francia, Norvegia e Portogallo e questo, come vedremo meglio più avanti evidenzia le aree geografiche dove in Europa è particolarmente diffusa questa disciplina e cioè i paesi del nord-ovest. Sono 85 i symposia che si sono svolti con un numero di quattro presentazioni per ognuno, il 27% organizzato da Università della Gran Bretagna, il 10% rispettivamente da Germania, Olanda e il restante 50% circa fra le altre nazioni. I poster sono stati 360. Sono stati 16 gli italiani presenti. 10 symposia sono stati dedicati agli sport di squadra ma ben otto sono stati centrati sul calcio. I temi trattati hanno riguardato gli aspetti della comunicazione e il team building, ma anche l’organizzazione di programmi di mental training a lungo termine, piuttosto che i processi decisionali e gli aspetti neuro-cognitivi insiti nei calci di rigore. Il talento è un altro tema che è stato affrontato in diversi symposia, analizzando il ruolo dei genitori e degli allenatori o studiando in profondità l’ambiente sportivo o presentando dati su come fornire servizi di psicologia dello sport ai giovani o ancora su come identificare i giovani potenziali talenti o, infine, su come insegnare loro a gestire lo stress determinato dall’ambiente e dai successi spesso precoci.
I temi che una volta erano dominanti come quelli riguardanti lo studio della personalità e l’ansia riportati con queste parole sono stati assenti e probabilmente l’unica area che continua da sempre a suscitare forte interesse riguarda il costrutto della motivazione. Temi nuovi rispetto al passato sono quelli della Toughness (Tenacia) e della Mindfulness (Attenzione consapevole). Inoltre, continuano a essere largamente studiati i processi cognitivi e emotivi nonché le loro molte interazioni nello sport di alto livello ma anche nell’apprendimento/controllo motorio e nella psicologia dell’esercizio fisico. Gli altri temi trattati hanno avuto come oggetto: lo sviluppo del benessere individuale e sociale attraverso lo sport, il passaggio di carriera per gli atleti, la prevenzione e recupero dagli infortuni, le abilità psicologiche nello sport per disabili, la formazione degli allenatori con particolare riferimento alla comunicazione interpersonale e al suo ruolo nell’allenamento, l’interazione fra processi di auto-controllo, auto-regolazione e motivazione individuale, l’etica e moralità, il significato interculturale della fiducia, lo sviluppo di nuovi sistemi di valutazione grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, le differenze di genere, l’uso dello sport come sistema di inclusione sociale, l’attività fisica e la disabilità mentale e fisica.
L’assemblea generale ha infine votato per il nuovo consiglio direttivo della Federazione Europea di Psicologia dello Sport (FEPSAC) per il prossimo quadriennio che sarà costituito da: Paul Wylleman (presidente, Belgio), Anne-Marie Elbe (vice-presidente, Danimarca), Xavier Sanchez (segretario generale, Spagna), Alberto Cei (tesoriere, Italia), Nadine Debois (consigliere, Francia), Antonis Hatzigeorgiadis (consigliere, Grecia), Vana Hutter (consigliere, Olanda), Caroline Jannes (consigliere, Belgio), Markus Raab (consigliere, Germania). Per informazioni relative alla FEPSAC: www.fepsac.com

Juventus e autostima

Capisco i problemi di Conte, l’allenatore della Juventus, quando dice che bisogna rinforzare l’autostima in chi è abituato a perdere. Una squadra non acquisisce una mentalità vincente solo cambiando qualche giocatore. Ma la domanda è perchè Conte vuole fare tutto da solo, senza farsi aiutare da uno psicologo? Ovviamente perchè la Società lo ritiene utile, lui pure.Che fare? Al momento nulla, siamo un paese arretrato, non vi sono istituzioni importanti che sostengono la psicologia dello sport e quindi il calcio resta un tabù … a meno che non siate amici del presidente.

La tenacia: un’abilità per superare le crisi

La tenacia è ovviamente utile a ogni persona e non solo agli atleti. Prendendo ad esempio di attività il nuoto si può dire che serve a mantenere l’attenzione sul presente. In gara significa essere focalizzati sul piano di gara e nel mantenere la condizione emotiva necessaria a eseguirlo. In allenamento permette di perseguire gli obiettivi di una singola seduta al fine di raggiungerli o di avvicinarsi il più possibile. Dopo una gara consente di fare ciò che serve per imparare il massimo dall’esperienza agonistica appena svolta e prepararsi per quella successiva.

Decisivo è interpretare l’agitazione

Dal libro di Andre Agassi: “L’agitazione è una cosa buffa. A volte ti fa correre al bagno. Altre volte ti fa sentire arrapato. In certi giorni ti fa ridere e non vedi l’ora di batterti. Decidere che tipo di agitazione hai quel giorno è la prima cosa da fare quando devi scendere in campo. Capire la tua agitazione, decifrare ciò che ti dice del tuo stato mentale e fisico è il primo passo per controllarla e farla lavorare per te.”

Attacchi panico in mare

Intervista in TV a un allenatore di nuoto della nazionale sull’attacco di panico della Consiglio. Il giornalista chiede cosa bisogna fare e il tecnico risponde: “ritornare in acqua il prima possibile.” Complimenti per la risposta che avrebbe saputo dare anche mia nonna ma che purtroppo è quella sbagliata. Poichè la questione non è l’acqua ma risolvere questo problema solo psicologico insegnando all’atleta a ritrovare quella fiducia che in quei momenti non ha avuto. Gli attacchi di panico sono tipici in atleti di alto livello e nascono da un intreccio tra perfezionismo,  aspettative di risultati assoluti e stress da competizione. Che fare? Accettazione di queste emozioni, rilassamento e visualizzazioni di eventi positivi sono alla base di questo processo di miglioramento. Il dialogo continuo con se stessi è la costante che deve accompagnare questo processo. Quindi ricapitolando, per il medico “è solo un fatto psicologico” e per il tecnico “basta entrare in acqua”. Bocciati.