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The evolutionary history of humans explains why physical activity is important for brain health
David A. Reichlen and Gene E. Alexander, Scientific American, January 1, 2020
Brief synthesis
“Why does exercise affect the brain at all?
Physical activity improves the function of many organ systems in the body, but the effects are usually linked to better athletic performance.
Instead exercise seems to be as much a cognitive activity as a physical one. In fact, this link between physical activity and brain health may trace back millions of years to the origin of hallmark traits of humankind. If we can better understand why and how exercise engages the brain, perhaps we can leverage the relevant physiological pathways to design novel exercise routines that will boost people’s cognition as they age—work that we have begun to undertake.
… we demonstrated that people who spent more time engaged in moderate to vigorous physical activity had larger hippocampal volumes.
Researchers have also documented clear links between aerobic exercise and benefits to other parts of the brain, including expansion of the prefrontal cortex, which sits just behind the forehead. Such augmentation of this region has been tied to sharper executive cognitive functions, which involve aspects of planning, decision-making and multitasking—abilities that, like memory, tend to decline with healthy aging and are further degraded in the presence of Alzheimer’s. Scientists suspect that increased connections between existing neurons, rather than the birth of new neurons, are responsible for the beneficial effects of exercise on the prefrontal cortex and other brain regions outside the hippocampus.
If we can augment the effects of exercise by including a cognitively demanding activity, then perhaps we can increase the efficacy of exercise regimens aimed at boosting cognition during aging and potentially even alter the course of neurodegenerative diseases such as Alzheimer’s.
They found an additive effect: exercise alone was good for the hippocampus, but combining physical activity with cognitive demands in a stimulating environment was even better, leading to even more new neurons. Using the brain during and after exercise seemed to trigger enhanced neuron survival.”
The things a golf player must do in a competitive round:
- Play to play great. Don’t play not to play poorly
- Love the challenge of the day, whatever it may be
- Get out of results and get into process
- Know that nothing will bother or upset you in the golf course, and you will be in great state mind for every shot.
- Playing with a feeling that the outcome doesn’t matter is always preferable to caring too much.
- Believe fully in yourself so you can play freely
- See where you want the ball to go before every shot
- Be decisive, committed and clear
- Be your own best friend
- Love your wedge and your putter
Spesso parlo con i giovani tennisti dell’importanza di guidarsi in modo utile durante le partite. La maggior parte di loro mostra troppo spesso pensieri troppo complicati e soprattutto vogliono dimostrare di aver un gioco brillante e non noioso. A mio avviso questo modo di pensare li allontana dall’essere concreti e dal fare le cose semplici che gli permetterebbero di mettere in difficoltà l’avversario e di aspettare il momento in cui chiudere il punto.
Tutti parlano di Federer esaltando le sue qualità tennistiche ma raramente viene messo in evidenza che prima del gioco viene l’approccio mentale al gioco. E’ invece lo stesso Federer ha ricordarci l’importanza dell’atteggiamento mentale in questa intervista. Queste frasi evidenziano quanto detto in modo evidente, quando dice che nel quarto set la sua mente stava vagando troppo e allora si è detto “non fare casino”, “non rovinare tutto”.
Quindi prima di tutto diamo un ordine utile ai nostri pensieri e poi concentriamoci su ogni punto.
“The problem in the fourth set was that my mind was all over the place,” Federer told Australia’s Seven Network. “I was so close and I was telling myself, ‘Don’t mess it up,’ and then that’s exactly what I did. I got a bit lucky at the beginning of the fifth set. I personally don’t think I would have come back if he’d broken me first.”
Le tre abilità psicologiche da insegnare ai nostri figli sino dall’infanzia. Vale anche per insegnanti e allenatori.
- Sapere aspettare e pensare prima di agire
- Trattenere e utilizzare le informazioni per risolvere problemi
- Modificare i comportamenti in funzione dei cambiamenti situazionali e ambientali
Perchè non allenare a pensare i giovani che fanno sport. In che misura l’allenamento prevede che un atleta (ma anche un bambino) rifletta su ciò che sta facendo? Quanti sono gli allenatori che al termine di un’esercitazione chiedono “Cosa hai fatto? Come avresti potuto fare meglio?” Che siano proprio queste le domande o altre non importa; ciò che conta è spendere del tempo a domandare e sollecitare una più profonda consapevolezza in relazione all’esecuzione tecnica. Un’altra riflessione: gli allenatori ritengono che parlare con i propri allievi sia utile per favorire l’apprendimento? Oppure credono che sia una perdita di tempo, perchè gli atleti non sono ancora sufficientemente bravi per capire e quindi è meglio che eseguano e basta? Quante volte ci si è confrontati su questo tema con altri colleghi? E’ importante allenare e sviluppare la consapevolezza negli atleti? La mia impressione è che questo sia un argomento di cui si parla troppo poco, perchè la metodologia dell’allenamento è dominata dalla fisiologia, dalla biomeccanica e dalla medicina, discipline che non s’interrogano sugli aspetti mentali (cognitivi e emotivi) e sociali dell’apprendimento motorio. Finchè non vi sarà una concezione unitaria dell’individuo, gli allenatori continueranno ad agire ignorando in larga il ruolo del pensiero nell’insegnamento sportivo.
Essere consapevoli che si stava per entrare in campo con l’atteggiamento sbagliato; questo è mancato al Napoli contro l’Arsenal. Hamsik riassume il pensiero della squadra: “In gare così non si possono regalare 15′. Poi diventa difficile rimontare. Loro sono stati devastanti, ma noi siamo partiti molto male”. Giusto ma cosa hanno fatto nello spogliatotio per mettersi nella condizione mentale necessaria a contrastare l’Arsenal. Molte volte le squadre pensano di avere l’atteggiamento giusto ma non è così e fanno poco per allenarsi a riconoscere se lo stato d’animo pre-partita è utile a giocare bene o può essere un ostacolo. Pensare di essere pronti non è la stessa cosa di sentirsi pronti, se non lo capisci non potrai migliorare e dovrai sempre aspettare di giocare i primi 5 minuti della partita per saperlo. Ci sono sistemi per imparare a conoscersi e a mettersi nella condizione pre-partita migliore, credo proprio che non lo sappiano.
Dopo la vittoria della Italia sulla Francia del rugby, i giocatori italiani hanno detto che Brunel gli ha insegnato il significato dello sport, a entrare in campo con la voglia di vincere e che per raggiungere questo obiettivo bisogna osare. Osare significa avere il coraggio di fare qualcosa che sia rischioso. Voglio fare notare che questo approccio è alla base non solo della mentalità vincente ma anche della motivazione. Infatti gli esseri umani sono spinti da tre bisogni: competenza, socializzazione e eccitazione.
Quest’ultimo, l’eccitazione, è sostenuto dall’abilità a svolgere attività valutate come emozionanti, sapersi assumere dei rischi (calcolati) è il modo in cui si soddisfa questa necessità E’ un bisogno che è già presente nell’infanzia e il riquadro qui sotto ne illustra le ragioni.
Sapersi assumere dei rischi
Si collega al sapersi muovere pensando durante le attività svolte. Ad esempio, nel calcio sempre più spesso i tecnici affermano che i giovani calciatori tirano raramente in porta o non sanno fare un dribbling. Tirare in porta è una situazione sportiva in cui è possibile sbagliare l’esecuzione ed essere tacciati dagli altri compagni di volere giocare da soli. Il giovane si assumerà questo rischio se sa che il tecnico apprezza questo modo di agire, se premia l’osare e non soltanto le azioni corrette o quelle che sono state preparate in precedenza insieme alla squadra. Dal punto di vista cognitivo saper decidere rischiando e saper pensare durante il gioco in situazione di pressione competitiva sono due aspetti che favoriscono lo sviluppo dell’intelligenza motoria, che è molto sviluppata fra gli atleti.
Come si vede non bisogna arrivare in nazionale per imparare a osare, basta creare situazioni di allenamento in cui i giovani debbano assumere delle iniziative per soddisfare le esigenze dell’esercitazione.