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Il sogno di Del Piero: giocare a tennis

Oggi ho parlato con una giovane tennista che mi ha detto di avere capito una volta di più quanto sia determinante il controllo emotivo leggendo un pensiero di Alessandro Del Piero, che riporto perché in effetti vale molto più di tante parole.

“Il mio sogno è misurarmi in uno sport individuale, chissà se avrò tempo e modo di farlo. Questo esalterebbe il mio senso della sfida, la mia voglia di primeggiare sempre. Mi piacerebbe essere un tennista: la presenza della palla, per me, è essenziale, e nel tennis la palla c’è. Poi c’è la rete, c’è l’avversario. Uno sport tremendo: penso che le enormi tensioni psichiche, alla fine, rendano molti tennisti dei tipi davvero particolari, un po’ come i golfisti. Nel tennis l’impegno emotivo è assoluto. Lì non esiste la panchina, non c’è un allenatore, che ti tiene fuori o ti sostituisce. Lì ci sei solo tu. Anzi, sei tu da solo.”

(da Alessandro Del Piero, Giochiamo ancora, p.80-81).

Il ritorno di Zeman

Lo sport fa vivere a noi adulti quelle emozioni semplici e intense che i bambini vivono con molta più facilità Il ritorno di Zeman alla Roma, al grande calcio, è per me uno di questi momenti. Perché dice che vedremo di nuovo una squadra in cui tutti hanno lo stesso scopo, in cui si corre e si fanno molti goal, una squadra il cui leader è innanzitutto un uomo pulito. Non a caso anche il più importante giornale finanziario, il Wall Street Journal, ha pubblicato su Zeman un articolo intitolato: “Il ritorno dello Jedi del calcio.” A mio avviso non poteva scegliere un accostamento migliore, ancora una volta le emozioni riemergono con la citazione della saga di Guerre Stellari. In un periodo di truffe e scandali, sono notizie che fanno bene al calcio e a noi tutti.
Leggi l’articolo: http://online.wsj.com/article/SB10001424052702303830204577444361
592390248.html?KEYWORDS=GABRIELE+MARCOTTI&tw_p=twt#articleTabs%3Dcomments

Lo sport fa piangere

Lo sport fa piangere per le ragioni più diverse. Si può piangere di gioia, di rabbia, di delusione, di dolore, di fatica. Lo sport è un’attività che coinvolge la persona nella sua globalità perché per fare bene bisogna impegnare corpo e mente in modo intenso e senza risparmio. E’ un’attività ad alto tasso emotivo e non solo nel calcio dove Messi non è andato alla conferenza stampa di addio di Guardiola per non mostrare a tutto il mondo il suo stato psicologico. In atletica vi sono allenamenti che determinano al termine una condizione di fatica tale che porta anche alle lacrime, ma si piange anche per l’orgoglio di avere raggiunto un risultato incredibile. Piangere è un segno che lo stato emotivo ha raggiunto il suo massimo livello di tolleranza, anzi lo ha oltrepassato e rappresenta una reazione che libera l’atleta da una situazione diventata insopportabile e non più controllabile. Piangere fa bene.

- 2 alla Maratona di Roma

Mancano solo due giorni alla maratona di roma e sono giorni di totale riposo fisico e mentale. E’ una prova molto impegnativa per chiunque corra questa distanza e c’è bisogno di avere con sè tutte le energie. Sono da vivere appieno anche le sensazioni e i pensieri di queste ultime ore perchè è importante conoscere le proprie reazioni prima della corsa. Soprattutto se si parla con gli amici ci si accorge che ognuno vive l’attesa a modo suo, c’è il tranquillo,il tranquilo per finta, il nervoso, il timoroso, quello che pensa “ma chi me l’ha fatto fare” e quello che non capisce come farà a correre tutti quei km perchè già adesso è stanco. Personalmente appartengo a quella categoria che la settimana precedente si riposa perchè mi sento stanco, non ho voglia di correre, le gambe mi fanno male. Poi tutto questo scompare la mattina della gara e di solito sono contento. Anni fa intervistando Laura Fogli anche lei mi disse che provava questi stati d’animo, che poi scomparivano quando faceva gli allunghi prima dalla partenza. Scoperto questo suo modo di vivere l’attesa, accettava quello che veniva durante la settimana perchè sapeva che non l’avrebbe danneggiata in gara. Quindi, che ognuno viva, questi attimi, li apprezzi e poi si goda domenica questa bellissima esperienza.

Le emozioni del calcio

Orgoglio e determinazione chiedevano in settimana i due allenatori di Lazio e Udinese e ciò non è stato. La conseguenza è che le due squadre hanno meritatamente perso, perchè se è vero che tecnica e tattica sono indispensabili, se la testa della squadra non funziona non si può giocare per vincere. Questo è lo stress agonistico: dovere fare per forza il risultato quando si è stanchi e non abituati al vertice della classifica (Udinese) o troppo rilassati per avere vinto il derby (Lazio). Le squadre forti sono quelle che giocano per chiudere la partita (questo non implica che ci riescano sempre), le altre sono quelle che hanno questo atteggiamento in maniera alternata.

Le facce piene di umanità di Conte e Ranieri viste in questi due giorni raccontano di come anche questi allenatori-condottieri vivano in modo emotivamente intenso ed estremo le gesta dei loro giocatori. Vanno apprezzati per non volersi nascondere.

A proposito di come insegnare a scuola

Ho letto l’articolo di Marco Lodoli sui problemi della scuola che attribuirebbe troppo valore alle emozioni e poco allo sviluppo del pensiero logico razionale, nonchè i commenti tutti veramente interessanti, che fanno a gara a fornire le proposte più efficaci. Nulla da dire sui contenuti ma non credo sia questo l’approccio migliore. A mio avviso prima del cosa viene il come e a questo riguardo ritengo che, molti insegnanti non abbiamo l’interesse e la volontà di insegnare, cosa assolutamente difficile ma decisiva. Poco importante poi se si vuole privilegiare il latino, la matematica o Dante. La mia domanda è la seguente: i docenti devono essere dei conferenzieri che illustrano dei temi e l’apprendimento dipende solo dall’allievo, o viceversa sono degli insegnanti che devono ottimizzare l’apprendimento dei loro allievi. Secondo, quale deve essere l’impegno a casa degli allievi, quanto deve essere, quale programmazione i diversi insegnanti  adottano per consentire una distribuzione dei carichi di lavoro, qual è l’intensità di lavoro che devono richiedere e come la insegnano. In qualsiasi prestazione, atletica, musicale o professionale queste sono le domande principali a cui devono sapere rispondere i leader. Poi magari vi sarà anche il problema delle emozioni, ma questo viene dopo. Quindi prima condividiamo il metodo e poi entreremo nel merito dei temi. http://www.repubblica.it/scuola/2011/08/31/news/scuola_emozioni_ragione-21064877/?ref=HREC2-3#commentatutti

 

Metterci la faccia

Se si guardano le immagini di Tiger Woods all’ultimo torneo a cui ha partecipato ottenendo un risultato particolarmente negativo, si può capire che cosa sia la delusione e la tempesta emotiva che le sue espressioni manifestano. Lo sport non permette di nascondersi, neanche a un campione planetario. Woods ci fornisce una bella e educativa lezione: non si scappa ma si affrontano i momenti di difficoltà, e questo atleta consapevole del continuo confronto con il suo passato (recente), non ne sarà certamente contento, ma non si tira indietro. Dovremmo imparare da lui a fare lo stesso, cioè sentirsi responsabili al di là del risultato. http://www.repubblica.it/sport/2011/08/13/foto/disastro_woods_fuori_al_us_pga_championship-20397812/1/

Gli errori e le emozioni

Alcune frasi di atleti che sbagliano in sport come i 100 metri nell’atletica, il golf, il tiro a volo, il tennis. “Ero troppo convinta e mi è successo che negli ultimi 30m mi sono indurita.” “Ho sbagliato per sei volte lo stesso piattello, ho un problema su quelli che vanno a destra.” “E’ inutile in allenamento non sbagliavo mai, oggi invece cinque errori sui primi 50 piattelli.” “Mi sono preparato come le altre volte prima d’iniziare, ho finito il riscaldamento con il drive che dovevo fare alla buca 1, lì però l’ho sbagliato.” “Mi chiedo ancora perchè ho fatto tutti questi errori, quando imbracciavo il fucile non andava mai dove doveva, non puoi gareggiare con questa sensazione.” “Sono andata subito sotto di un set a zero, mi sono così arrabbiata che ho perso la testa.” La cosa interessante di queste frasi è che l’hanno dette atlete/i di alto livello che sanno cosa vuole dire lottare per vincere e per dare il meglio di sé; in questo ultimo fine settimana non ne sono stati capaci e questi sono stati i loro pensieri e stati d’animo. Voglio mettere in evidenza la difficoltà che s’incontra quando pur avendone le possibilità non si riesce a gareggiare come si vorrebbe. Questi atleti sono forti non solo quando vincono ma anche perchè sanno che devono riprendersi da questa frustrazione e ritornare a essere pronti alla prossima occasione, che per molti loro si presenterà nel giro di pochi giorni. Noi saremo utili se siamo in grado di fornire indicazioni per accettare questi risultati negativi e per fare riprendere il cammino positivo verso la prossima gara.

Attacchi di panico

Lo sport di livello assoluto è un generatore di ansia e di timori che come sappiamo gli atleti devono imparare a gestire. Gli attacchi di panico sono tipici in atleti di alto livello (forse anche perchè trovano il coraggio di parlarne) sono un intreccio tra perfezionismo degli atleti, loro aspettative di risultati assoluti e stress connesso alla competizione. Che fare? Accettazione di queste emozioni, rilassamento e visualizzazioni di eventi positivi sono alla base di questo processo di miglioramento. Il dialogo continuo con se stessi è la costante che accompagnare questo processo.

La rabbia di Dunga

La facilità di Dunga a irritarsi è stata sotto gli occhi di noi spettatori in ogni istante della partita, anche quando Il Brasile era in vantaggio contro l’Olanda. Come si fa a trasmettere fiducia ai propri giocatori quando si è così instabili? Sono convinto che la sua difficoltà a gestire la propria impulsività sia stata una causa decisiva della sconfitta con l’Olanda.