Il lavoro è una parte fondamentale della vita adulta: non solo garantisce l’indipendenza economica, ma permette anche di scegliere come vivere il proprio tempo, partecipare alla società e sentirsi parte di una comunità. Questo vale per tutti, ma per le persone con disabilità ha un significato ancora più profondo. Avere un’occupazione significa essere riconosciuti per le proprie capacità, costruire relazioni più solide con familiari e amici, prendere parte ad attività ricreative e poter contare su un supporto, sia da parte dei servizi che della rete familiare e sociale.
Purtroppo, i dati mostrano quanto sia difficile per le persone con disabilità accedere a un lavoro dignitoso. Nel caso delle persone con sindrome di Down, solo il 31,4% degli over 24 lavora. E anche tra chi ha un impiego, la maggioranza non ha un contratto standard: oltre il 60% è inserito in cooperative sociali senza una vera tutela lavorativa. Ancora più preoccupante è il fatto che nel 70% dei casi non percepiscono alcun compenso o ricevono una retribuzione simbolica, ben al di sotto del valore del lavoro svolto. La situazione è ancora più critica per le persone autistiche: tra gli over 20, solo il 10% ha un’occupazione.
Questa precarietà pesa non solo sulle persone con disabilità, ma anche sulle loro famiglie. Come evidenziato già anni fa dal Censis, molte famiglie si sentono sempre più sole nel progettare il futuro dei propri figli. Se il 30-40% dei genitori di bambini e ragazzi con sindrome di Down fino ai 15 anni immagina per loro una vita autonoma o semi-autonoma, questa percentuale scende drasticamente al 12% quando i figli diventano maggiorenni. La stessa dinamica si riscontra tra le famiglie con figli autistici: il 23% spera in un futuro di autonomia per loro, ma questa fiducia crolla al 5% dopo i 21 anni.
Per provare a cambiare questa realtà, in Italia è nato un progetto innovativo: per la prima volta, una società sportiva, l’Accademia di Calcio Integrato, ha avviato un percorso di formazione professionale per sei giovani con disabilità intellettiva. Il progetto, finanziato con i fondi dell’8×1000 della Chiesa Valdese, ha permesso ai partecipanti di seguire un corso online della Federazione Italiana Paralimpica degli Intellettivo Relazionali, ottenendo la qualifica di assistente istruttore. Grazie al supporto di due tutor – una psicologa dello sport e un’istruttrice laureata in scienze motorie – questi giovani hanno completato la formazione di 16 ore e ora stanno iniziando un tirocinio retribuito di cinque mesi.
Si tratta di un modello di inclusione che potrebbe aprire nuove strade. Fino a oggi, i progetti di inserimento lavorativo per persone con disabilità intellettiva si sono concentrati soprattutto sulla ristorazione e l’accoglienza turistica. Ma lo sport, per molti di loro, è già uno spazio di socializzazione e crescita, un luogo dove hanno costruito legami con coetanei e familiari. Perché, allora, non trasformarlo in un’opportunità professionale? Con la giusta formazione, questi giovani potrebbero diventare assistenti allenatori nel calcio, nel basket e in altre discipline, contribuendo attivamente alla vita delle società sportive.
In Italia ci sono migliaia di realtà sportive, alcune piccole, altre molto strutturate, che potrebbero cogliere questa opportunità offerta dalla Fisdir per dare un futuro lavorativo a tanti ragazzi e ragazze con disabilità intellettiva appassionati di sport. Il progetto dell’Accademia di Calcio Integrato dimostra che è possibile: ora serve che altre realtà seguano questo esempio, trasformando la passione in un vero percorso professionale.