Archivio mensile per marzo, 2023

Libri di altri tempi

Insegnamo a pensare ai nostri giovani

Nel blog precedente, ho parlato della necessità di sviluppare nei giovani atleti la consapevolezza nelle loro competenze e in come gareggiare. L’articolo qui sotto riportato, a questo riguardo, illustra come gli allenatori dovrebbero essere dei “progettisti di paesaggi”, per fornire i loro allievi l’ambiente migliore dove scoprire ed esercitare le proprie abilità motorie e sportive. Questo approccio ha un nome: Pedagogia Nonlineare.

Chow Jia Yi, Komar John, Seifert Ludovic.  The Role of Nonlinear Pedagogy in Supporting the Design of Modified Games in Junior Sports
Frontiers in Psychology, 12, 2021.

Nel loro articolo, Woods et al. (2020) hanno descritto come gli operatori sportivi siano visti come “progettisti di paesaggi” che possono supportare gli allievi a trovare la propria strada nell’apprendimento delle abilità di movimento, percependo e navigando attraverso problemi emergenti legati alla performance. Ciò indica che l’allievo non è un attore passivo nel percorso di acquisizione e adattamento delle abilità. Gli atleti e, nel contesto di questo lavoro, gli atleti junior imparerebbero attraverso il coinvolgimento in pratiche e ambienti di prestazione che li sfidano a risolvere i problemi in modo autoregolato. Che cosa imparano questi atleti dall’analogia con il “wayfinding”? Woods e colleghi sostengono che attraverso il wayfinding, gli studenti possono approfondire la loro conoscenza dell’ambiente (si veda anche Sullivan et al., 2021), essendo esposti a un continuum di opportunità nell’ambiente, in quanto il processo di wayfinding è caratterizzato dall’embodiment e dall’embedment (cioè, non disgiungere l’emergere del movimento da quello del corpo).

L’opportunità è che i giovani allievi acquisiscano una serie di movimenti che possono essere trasferiti ad altri contesti di movimento simili. È importante che si tratti anche di “imparare a imparare” (Hacques et al., 2021). Gli individui imparano a prendere decisioni, a esplorare e ad adattarsi, e tutto questo può avvenire su una scala temporale più lunga (Hacques et al., 2021).

Vogliamo che questi giovani atleti abbiano l’opportunità di raggiungere l’adattabilità (cioè la flessibilità e la stabilità) nel modo in cui utilizzano il loro repertorio di abilità di movimento in contesti di prestazione.

D’altra parte, praticando più sport, l’allievo sarebbe esposto a una maggiore gamma di possibilità di movimento grazie alla sintonizzazione con le varie fonti di informazione presenti nei diversi contesti sportivi. Il coinvolgimento nella polisportiva può potenzialmente ampliare il repertorio di soluzioni di movimento a disposizione dell’allievo, che può così disporre di un maggior numero di movimenti adattabili (magari anche atipici!) che possono risultare efficaci negli sport di riferimento. È qui che le soluzioni di movimento innovative, spontanee e personalizzate diventano un bene prezioso per l’individuo che è stato esposto a un’ampia varietà di sport.

La Pedagogia non lineare sostiene contesti di pratica che incorporano situazioni che sfidano l’allievo a “replicare” l’abilità di movimento in contesti diversi e dinamici, poiché molte di queste “pratiche” rappresentative non sfideranno mai l’allievo esattamente nello stesso modo (cioè, l’idea di ripetizione senza ripetizione).

Non si vince solo migliorando la tecnica

Lavorando con giovani adolescenti di sport diversi dal tennis al calcio, dalla scherma al tiro a volo o al golf mi rendo sempre più conto che già a 14 anni, ragazzi e ragazze, hanno sviluppato un’idea totalmente biomeccanica dello sport. Per cui sono bravo quando eseguo ti tecnicamente bene ciò che so fare per la durata della gara. Interpretano, invece, il gareggiare male viene spiegato come  non essere riusciti oggi a fare quello che so fare. La causa è che l’esecuzione tecnica non veniva bene, oppure riguarda l’avversario oppure l’ansia e la paura di sbagliare. La soluzione per la gara seguente, quasi sempre, consiste nel migliorare la tecnica e nell’essere più concentrati e meno emotivi.

Migliorare tecnicamente dipende da cosa farà a riguardo l’allenatore. Migliorare mentalmente consiste nel dirsi che non ci si deve abbattere o arrabbiarsi, mentre sia dovrebbe stare più calmi. Di solito la spiegazione psicologica è secondaria rispetto a quella tecnica. Ci si arrabbia, infatti, perchè l’azione tecnica non viene bene o perchè l’avversario era fortunato o migliore.

Questo approccio, mette in evidenza che la componente mentale è solo una reazione logica a qualcosa di tecnico. Ciò spiega frasi di questo tipo:

  • “Non sono io che giocato male, è che l’altro faceva solo vincenti”
  • “Non so io, è che il dritto oggi non mi entrava”
  • “Non sono io, è che ha preso una marea di reti”
  • “Non sono io, è che era sbagliato il bastone”
  • “Non sono io, è che di colpo le nuvole hanno cambiato la luce”
  • “Non sono io, è che la palla non si poteva calciare da quella posizione”
Questi atleti finché non si alleneranno in in modo diverso mai miglioreranno.

Il clima organizzativo sostiene la motivazione

Alla conferenza stampa di Vivicittà tenutasi in un liceo scientifico di Roma, una studentessa ha chiesto quanto fosse importante il clima che c’è in un gruppo sportivo per sostenere l’interesse verso la pratica sportiva.

Ho risposto che gli altri che siano genitori, allenatori, dirigenti o compagni sono fondamentali perchè nessuno impara da solo. Tutti abbiamo bisogno di un ambiente in cui sentirsi apprezzati per quello che si fa. Gli psicologi sostengono che tutti possono avere successo, intendendo con questa affermazione non certo chi vince una gara. Vuol dire che tutti possono imparare, migliorando grazie al loro impegno.

Di conseguenza, chi organizza lo sport deve costruire un clima nelle società sportive che favorisca l’impegno e l’apprendimento. Lo sport è flessibile, tutti possono imparare indipendentemente dalla loro base di partenza. Lo sport è di per se stesso inclusivo, perchè si piega alle esigenze di ognuno, sta a chi lo promuove non costruire delle barriere che impediscano a qualcuno di partecipare.

Quindi tutti possiamo essere sportivi per tutta la vita.

Quando si giocava per strada c’erano i bravi calciatori

In Italia nessun bambino gioca più per strada. Noi giocavamo 3-4 ore per strada e poi andavamo ad allenarci, oggi questo non accade più. Non è un caso se giocatori nascono ancora in quei Paesi, come Uruguay, Argentina o Brasile, dove si gioca ancora molto per strada”. Lo dice il ct azzurro Roberto Mancini in merito alle difficoltà del calcio italiano a sviluppare talenti.

Non si può che dare a ragione a Mancini. Io stesso, che non ho mai giocato per una squadra, giocavo 2 ore tutti i giorni a pallone, in cortile, in un parco vicino a casa, o all’oratorio. Tutto questo sino alla fine delle medie era assolutamente comune a tutti ragazzi, nel tempo libero che era molto si giocava a pallone, anche solo a colpi di testa sul pianerottolo, senza fare cadere la palla giù per le scale o dentro la buca dell’ascensore.

Sappiamo con certezza che s’impara poco svolgendo un’attività anche per tre volte la settimana per due ore. S’impara forse l’italiano studiandolo per questa stessa durata di tempo? Ovviamente non è possibile, risponderebbe qualsiasi docente. Lo stesso vale anche per il calcio, se non lo si considerasse come una sotto-attività, che invece si può imparare dedicandoci poco tempo. L’italiano lo s’impara perchè lo si parla tutti i giorni al di fuori della scuola e poi gli insegnanti insegnano a servirsene in modo corretto. L’inglese, ad esempio, non s’impara proprio per la stessa ragione per cui non s’impara il calcio e cioè perchè non è praticato al di fuori delle poche ore che gli sono dedicate a scuola.

Un secondo punto importante è che il gioco del pallone praticato in modo autogestito sviluppava abilità proprio grazie all’auto-organizzazione che si davano i ragazzi. Infatti, stimola,

  • la capacità di adattamento al terreno dove si gioca, ad ampiezze e lunghezze sempre diverse,
  • la creatività dei giovani a trovare soluzioni
  • l’accettazione degli altri, altrimenti si viene esclusi,
  • la collaborazione fra i compagni, non c’è approvazione verso chi non passa mai palla,
  • la coordinazione motoria, per superare le irregolarità del campo.
E’ piuttosto evidente che a giovani così auto-allenati era più facile insegnare a giocare al calcio.

 

 

Come affrontare gli imprevisti

Ogni persona, nella sua vita quotidiana, cerca di prevedere quello che può succedergli così da poter condurre una vita organizzata che si sviluppa nel modo previsto.

Lo stesso lo fa l’atleta che studia le mosse dell’avversario per poterlo mettere in difficoltà, o negli sport influenzati dalle condizioni climatiche, ricercano le informazioni che gli servono per conoscere quali saranno le situazioni meteo che incontreranno durante la gara.

Tuttavia, siamo tutti consapevoli che sebbene le previsioni permettano di conoscere con quanta probabilità dovrebbe succedere quanto previsto, esiste sempre allo stesso tempo un grande margine di imprevedibilità, che può mettere in discussione le previsioni.

Pertanto. l’imprevedibilità è parte integrante della nostra vita come di quella degli atleti. Quante volte è successo che una squadra o un atleta prendessero come facile una partita e, invece, la perdessero perchè non avevano previsto che gli avversari potessero giocare così bene. Quante volte abbiamo sentito dire da un allenatore: “Non ci aspettavamo quel tipo di gioco, che ci ha messo sin da subito in difficoltà”.

Bisogna al contrario essere consapevoli che gli imprevisti ci sono, e proprio perchè non sono prevedibili non sappiano quando si manifesteranno.

Agli atleti e alle atlete con cui lavoro, dico sempre che in ogni gara ci sarà un momento in cui si troveranno in difficoltà e che con probabilità non avevano previsto. Quello è il momento più importante della gara perchèlo stress agonistico aumenterà, si chiederanno cosa sta succedendo di diverso, magari saranno stupiti perchè sino a un attimo prima andava tutto bene. Ecco questi sono i momenti che differenziano gli atleti esperti dagli altri. I primi sanno che devono ragionare e trovare una soluzione mentre gli altri si fanno prendere dal panico e iniziamo a commettere molti errori.

Un modo semplice per cominciare a imparare a gestire queste fasi critiche, consiste nell’allenarsi a immaginare cosa potrebbe andare storto in una gara e impegnarsi a trovare rapidamente una soluzione. Questo strategia allena la mente a rispondere in modo propositivo agli imprevisti, si costruisce in questo modo un file mentale, classificato gestione degli imprevisti, in cui inserire quelli realmente accaduti e quelli solamente immaginati con le loro soluzioni.

ISSP Master Class Series on sport excellence

ISSP MASTER CLASS SERIES – LECTURE #2 

EXCELLENCE IN WORKING WITH OLYMPIC ATHLETES AND COACHES:  TWO CASES FROM CHINA AND DENMARK

New Date: Thursday, May 11th, 2023
Speaker: Prof. Gangyan Si and Prof. Kristoffer Henriksen
Title: Excellence in working with Olympic Athletes and Coaches: two cases from China and Denmark
Length of Session: 75 minutes (45-minute lecture, 30-minute Q&A)
Time: 12:00 UTC (Chicago 7:00, Sao Paulo 9:00, London 13:00, Beijing 20:00, Tokyo 21:00)
Where: Zoom
Register: https://issponline.org/webinar-registration/

Program Overview
Recent sport psychology literature highlights the importance of developing and implementing service delivery practices grounded in the cultural and contextual frameworks within which practitioners and their clients perform. Two successful examples of excellence in delivering contextually grounded practice are represented in the work of Prof. Gangyan Si and Prof. Kristoffer Henriksen and with elite coaches and athletes. Gangyan is a sport psychologist for Team China, an Asian international sports superpower. Gangyan will present what he experienced and learned working with top Chinese athletes and coaches during the past five Olympics Games. Kristoffer has been a sport psychologist for Team Denmark since 2008. Located in Western Europe, despite being one of the smallest countries in the world, Denmark has experienced great success at the international level. Kristoffer will present what he experienced and learned while supporting Danish athletes and coaches on-site during the London, Rio, and Tokyo Olympic Games. In this Master Class, Gangyan and Kristoffer will share stories, insights, and reflections from their work, while offering insight into differences and similarities in their work and how they are rooted in different cultures and contexts as well as personal preferences.

About The Speaker

Gangyan Si is a senior sport psychologist at the Hong Kong Sports Institute and a professor at the Wuhan Sports University in China. Gangyan is a certified psychologist and has been appointed as an expert by the Chinese Olympic Committee for providing psychological services for the 2004, 2008, 2012, 2016, and 2020 Olympic Games for different Chinese Olympic teams. Over the years, Gangyan has also worked directly with different Hong Kong teams providing sport psychology services and traveling with the teams for Olympic Games, Asian Games, and World Championships. Gangyan’sresearch interests include applied sport psychology service, cultural sport psychology, and athlete mental health and mindfulness training.

Kristoffer Henriksen is a professor at the Institute of Sport Science and Clinical Biomechanics at the University of Southern Denmark. Kristoffer’s research in sport psychology takes a holistic approach and explores the social relations among athletes and how they influence development and performance, with an emphasis on successful talent development environments. He also acts as a sport psychology practitioner in Team Denmark (a national elite sports institution). In this role, Kristoffer focuses on developing mentally strong athletes, coaches, and high-performance cultures within Denmark’s national teams. Kristoffer has supported athletes at numerous championships and three Olympic Games.

Program Format
Attendees can participate in an ISSP Master Class session right from their office or home. Registrants will be provided the Zoom link upon registration to access the presentation right on the web in real time. If you are unable to watch the session live, a recording will be provided afterward to all registrants.

Vivicittà: la corsa più grande del mondo

VIVICITTA’ – 2 APRILE 2023

È partita nel 1983 promossa dalla UISP e da allora non si è più fermata. La “corsa più grande del mondo” continua ad essere la grande protagonista dello sport per tutti, abbracciando in un’unica, originale formula, atleti professionisti e sportivi della domenica con la competitiva di 10km oltre alla passeggiata ludico motoria in tante città italiane ed estere, partenza per tutti allo stesso orario, unica classifica in base ai tempi compensati. E ogni anno, un tema per cui battersi: la pace, i diritti umani, il rispetto ambientale, l’uguaglianza sociale, la solidarietà tra i popoli. Perché la libertà (di correre) non sia un privilegio di pochi.

Ripercorriamo allora insieme alcune delle tappe più significative:

1984 - “Italia, pronti, via!”: dopo il prologo di Perugia del 1983, parte l’avventura di Vivicittà. 30 mila persone corrono simultaneamente in venti città italiane per difendere i centri storici. Nella prova di Roma si impongono i vincitori generali, entrambi russi: Vladimir Kotov e la 26enne Palina Gregorenko.

1986 - Vivicittà sbarca a New York lanciando un messaggio di amicizia e solidarietà tra i popoli. Crescono i partecipanti, che arrivano a 60.000. Il percorso è ridotto a 12 km per uniformare i tracciati e rendere più veritiere le classifiche compensate. I vincitori assoluti sono in gara a Roma: l’inglese Tim Hutchings e l’italiana Anna Villani.

1989 - Vivicittà corre con la mascherina. A Roma si sperimenta un sistema per rilevare il tasso di inquinamento durante l’attività fisica facendo correre alcuni atleti con una speciale mascherina. In occasione dell’anno europeo della lotta contro il cancro, si distribuisce a tutti i partecipanti un vademecum di regole per la prevenzione. 80 mila atleti corrono nelle 33 sedi italiane e nelle 7 estere. Su tutti si impone Salvatore Antibo, vincitore per la seconda volta consecutiva a Palermo.

1990 - dopo la caduta del muro, la manifestazione corre nella Berlino riunificata. Record delle città iscritte: 34 in Italia e 7 all’Estero: oltre Berlino, Siviglia, Barcellona, New York, Budapest, Lisbona, Bruxelles. Il vincitore corre a Siena ed è il ruandese Ntawulikura mentre la capitale tedesca regala la vincitrice femminile, Uta Pipping.

2000 - “Con le ragioni di ciascuno per i diritti di tutti” è il messaggio che accompagna Vivicittà nel suo debutto a Baghdad. Il maratoneta romano Giuseppe Papaluca percorre a piedi i 1000 km da Amman a Baghdad per portare un messaggio di pace. Catania ripropone i vincitori della classifica compensata con il keniano Robert Kipchumba e l’italiana Agata Balsamo.

2008 - altre due città simbolo accomunate dal messaggio di Vivicittà. Si corre a Beirut e a Bucarest nel nome della tolleranza e dell’integrazione. 70 mila gli atleti partecipanti nelle 40 città italiane. La vittoria va al keniano Philemon Kipketer Serem e all’italiana Renate Rungger.

2011 - si corre nel nome dei 150 anni dell’Unità d’Italia. 100 mila i podisti al via nelle 38 città italiane e 16 nel mondo. Vivicittà coinvolge anche 17 istituti penitenziari e minorili e i campi palestinesi del Libano, come evento conclusivo delle Palestiniadi. Tra i vincitori, primato assoluto agli africani con i marocchini Khalid Ghallab tra gli uomini e Hafida Izem tra le donne.

2016 - #Liberidimuoversi, il tema di Vivicittà 2016 era legato all’accoglienza e al valore sociale dello sport, che riesce a superare le frontiere geografiche e sociali. Il luogo simbolo di questa edizione – che ha visto 60.000 partecipanti in 43 città italiane e 11 nel mondo – è stato Lampedusa.

2022 - dopo due anni di stop causato dalla pandemia Covid-19, Vivicittà torna in tutta Italia, con una dedica speciale alla Pace. Vivicittà – la corsa per la pace, raccoglie 20.000 partecipanti in 30 città italiane.

 

Le verità scomode dette da Mancini e Marchegiani

Hanno ragione Roberto Mancini e Luca Marchegiani, la situazione del calcio italiano è disperata. E’ una situazione senza soluzioni se si è costretti a convocare atleti stranieri di fatto, in quanto si sono formati e giocano all’estero ma con passaporto italiano.

L’alternativa è convocare giovani che militano in campionati di livello inferiore alla Serie A, per cui, come sottolinea Marchegiani viene a mancare il concetto di merito, infatti “la Nazionale era un punto di arrivo, ora Mancini deve chiamare gli esordienti”.

I problemi di cui parlare sarebbero troppi e mi viene il mal di testa solo a pensarci. Uno su tutti di cui non si parlato riguarda il tema di quale sia l’interesse di proprietà straniere delle squadre a promuovere calciatori italiani quando si può vincere avendo in campo anche 11 stranieri. Nella sola Serie A sono ben 7 i proprietari stranieri, che rappresentano il 35% del totale. In Europa, solo in Germania non vi è questo fenomeno che in Premiere League ha raggiunto il 75% delle proprietà.

Assistiamo a uno scontro tra culture diverse, laddove vincerà chi detiene il potere economico. Non c’è più tempo per la scoperta e la formazione del patrimonio rappresentato dai giovani che giocano a calcio, l’interesse si è spostato solo sul risultato delle squadre, che a sua volta è indipendente dalla funzione del settore giovanile. Chi detiene il potere economico può scegliere in tutto il mondo i calciatori per la propria squadra, perchè dovrebbe prestare attenzione a un mercato più ristretto?

 

 

 

 

I dati della fuga dei laureati

  • Sono un milione gli italiani espatriati tra il 2012 e il 2021. 250mila ha una laurea.
  • Nel 2012 è partito il 5% di tutti i laureati, poi su fino all’8,9% del 2018 e di nuovo giù al 6,7% del 2021. Quasi due punti in più, quindi, di dieci anni fa.
  • I laureati italiani emigrati all’estero guadagnano a un anno dalla laurea il 41,8% in più rispetto a quelli rimasti in Italia.
  • Il Nord compensa le uscite con l’attrazione di giovani provenienti dal Mezzogiorno, il Sud è bloccato dalla perdita secca di talenti. Una doppia onda che mette alla prova la tenuta dell’intero Paese.
  • Sta avvenendo la «desertificazione universitaria del Sud»,  sottolinea l’economista Gaetano Vecchione: «Nel 2041 il Mezzogiorno perderà il 27% di iscritti, il Centro-Nord circa il 20%. Tra denatalità, bassi tassi di passaggio tra scuola e università e migrazioni nel 2021 il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno ha segnato una differenza di 80mila immatricolati. Negli ultimi 20 anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno, 1 su 4 è laureato. Nel solo 2020 sono stati 67mila e la quota di laureati è salita al 40%». (Fonte: Sole 24 Ore)