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Quando si giocava per strada c’erano i bravi calciatori

In Italia nessun bambino gioca più per strada. Noi giocavamo 3-4 ore per strada e poi andavamo ad allenarci, oggi questo non accade più. Non è un caso se giocatori nascono ancora in quei Paesi, come Uruguay, Argentina o Brasile, dove si gioca ancora molto per strada”. Lo dice il ct azzurro Roberto Mancini in merito alle difficoltà del calcio italiano a sviluppare talenti.

Non si può che dare a ragione a Mancini. Io stesso, che non ho mai giocato per una squadra, giocavo 2 ore tutti i giorni a pallone, in cortile, in un parco vicino a casa, o all’oratorio. Tutto questo sino alla fine delle medie era assolutamente comune a tutti ragazzi, nel tempo libero che era molto si giocava a pallone, anche solo a colpi di testa sul pianerottolo, senza fare cadere la palla giù per le scale o dentro la buca dell’ascensore.

Sappiamo con certezza che s’impara poco svolgendo un’attività anche per tre volte la settimana per due ore. S’impara forse l’italiano studiandolo per questa stessa durata di tempo? Ovviamente non è possibile, risponderebbe qualsiasi docente. Lo stesso vale anche per il calcio, se non lo si considerasse come una sotto-attività, che invece si può imparare dedicandoci poco tempo. L’italiano lo s’impara perchè lo si parla tutti i giorni al di fuori della scuola e poi gli insegnanti insegnano a servirsene in modo corretto. L’inglese, ad esempio, non s’impara proprio per la stessa ragione per cui non s’impara il calcio e cioè perchè non è praticato al di fuori delle poche ore che gli sono dedicate a scuola.

Un secondo punto importante è che il gioco del pallone praticato in modo autogestito sviluppava abilità proprio grazie all’auto-organizzazione che si davano i ragazzi. Infatti, stimola,

  • la capacità di adattamento al terreno dove si gioca, ad ampiezze e lunghezze sempre diverse,
  • la creatività dei giovani a trovare soluzioni
  • l’accettazione degli altri, altrimenti si viene esclusi,
  • la collaborazione fra i compagni, non c’è approvazione verso chi non passa mai palla,
  • la coordinazione motoria, per superare le irregolarità del campo.
E’ piuttosto evidente che a giovani così auto-allenati era più facile insegnare a giocare al calcio.

 

 

Le verità scomode dette da Mancini e Marchegiani

Hanno ragione Roberto Mancini e Luca Marchegiani, la situazione del calcio italiano è disperata. E’ una situazione senza soluzioni se si è costretti a convocare atleti stranieri di fatto, in quanto si sono formati e giocano all’estero ma con passaporto italiano.

L’alternativa è convocare giovani che militano in campionati di livello inferiore alla Serie A, per cui, come sottolinea Marchegiani viene a mancare il concetto di merito, infatti “la Nazionale era un punto di arrivo, ora Mancini deve chiamare gli esordienti”.

I problemi di cui parlare sarebbero troppi e mi viene il mal di testa solo a pensarci. Uno su tutti di cui non si parlato riguarda il tema di quale sia l’interesse di proprietà straniere delle squadre a promuovere calciatori italiani quando si può vincere avendo in campo anche 11 stranieri. Nella sola Serie A sono ben 7 i proprietari stranieri, che rappresentano il 35% del totale. In Europa, solo in Germania non vi è questo fenomeno che in Premiere League ha raggiunto il 75% delle proprietà.

Assistiamo a uno scontro tra culture diverse, laddove vincerà chi detiene il potere economico. Non c’è più tempo per la scoperta e la formazione del patrimonio rappresentato dai giovani che giocano a calcio, l’interesse si è spostato solo sul risultato delle squadre, che a sua volta è indipendente dalla funzione del settore giovanile. Chi detiene il potere economico può scegliere in tutto il mondo i calciatori per la propria squadra, perchè dovrebbe prestare attenzione a un mercato più ristretto?

 

 

 

 

“Mancini convoca Sinner”

“Mancini convoca Sinner” c’era scritto sugli striscioni a Torino a dimostrazione del riconoscimento non solo tecnico di questo giovane tennista ma anche della sua capacità di giocare partite di livello assoluto in modo intelligente e combattivo.

Qualità queste ultime due che sono mancate alla nazionale di calcio italiane nelle sue utile due partite. Al momento il successo all’europeo di calcio della scorsa estate è interpretabile, secondo me, come la vittoria di una squadra outsider che è riuscita a esprimersi al suo massimo livello, così come è accaduto in passato squadre come la Grecia e la Danimarca. Successo meritato naturalmente, così come le competenze dei giocatori non possono di certo essersi sciolte in questi mesi.

La questione riguarda il percorso successivo: è possibile ripetere quel tipo di prestazioni? La risposta non è scontata, perchè sappiamo che il mantenere un elevato standard di successo continuativo nel tempo non solo non è scontato ma non è affatto facile.

La prova al momento la squadra italiana non l’ha superata, il collettivo è stato insufficiente al compito e i singoli non hanno saputo rappresentare una valore aggiunto decisivo.

Il futuro non sappiamo come sarà ma certamente va effettuata una preparazione psicologica diversa e più specifica che il semplice e scontato “giochiamo per divertirci, abbiamo le competenze per andare avanti” e così via.