Archivio mensile per dicembre, 2021

Pagina 3 di 4

La psicologia dello sport in Australia

Leggiamo questa approfondita e lunga intervista di Robert Nideffer a Jeff Bond, Direttore del Department of Psychology dell’Australian Institute of Sport, effettuata 20 anni fa dopo le olimpiadi di Sydney. E capiamo quanto in Italia siamo distanti anni luce da questo tipo di organizzazione e consapevolezza del ruolo dello psicologo dello sport.

 Nideffer: Qual è il ruolo del servizio di psicologia dello sport fornito dall’Australian Institute of Sport Psychology (AIS) e quando è cominciato?

Bond: Il Dipartimento di Psicologia dell’AIS è sorto all’inizio del 1982 come parte di un Centro Multidisciplinare di Scienze dello Sport e di Medicina dello Sport. L’AIS ha iniziato la sua attività a Canberra nel 1981 come risposta del governo australiano agli scarsi risultati ottenuti alle Olimpiadi di Montreal nel 1976.  Sino a quel momento lo sport era basato sulle società sportive, si avevano allenatori  e dirigenti che erano dei volontari. Da quel giorno il governo si assunse la responsabilità di sovvenzionare lo sport e attualmente i contribuenti forniscono allo sport 135 milioni di dollari ogni anno per promuovere lo sport a qualsiasi livello.  L’AIS fornisce programmi residenziali e programmi per periodi di tempo anche brevi per gli atleti di elite.

Attualmente il Dipartimento di Psicologia impiega 6 psicologi dello sport a tempo pieno. Questi sono tutti laureati e abilitati ad esercitare la professione di psicologo e devono essere membri dell’Australian Psychological Society’s College of Sport Psychologists. Ciò significa che hanno studiato per sei anni psicologia, scienze dello sport e psicologia dello sport e devono avere un minimo di due anni di supervisione in psicologia dello sport.

Nideffer: Quali servizi di psicologia dello sport vengono forniti agli atleti e agli allenatori?

Bond: Gli psicologi forniscono consulenze ad atleti singoli con appuntamenti gestiti all’interno del Centro di Medicina e di Scienze dello Sport. La maggior parte degli atleti viene autonomamente, molto meno frequenti sono i casi in cui è l’allenatore o un’altra persona ancora a chiedere un intervento per un giovane. Il Dip. di Psicologia organizza inoltre molti workshop per le squadre/gruppi. Abitualmente gli psicologi vengono assegnati a gruppi di sport specifici e vi lavorano per diversi anni, partecipando alle gare nazionali e a quelle internazionali. Questo sistema determina un grande numero d’incontri informali fra psicologo, allenatore e atleta.

Cinque psicologi dell’AIS sono stati alle Olimpiadi di Sydney e gli sport coperti da questo gruppo sono stati i seguenti: canottaggio, nuoto, atletica leggera, tiro con l’arco, triathlon, calcio maschile e femminile, pallavolo, tiro a volo, boxe e ginnastica. Complessivamente sono stati però 12 gli psicologi presenti a queste ultime olimpiadi. Il programma di psicologia che l’AIS fornisce ad atleti e allenatori copre un’ampia gamma di servizi:

  •  Allenamento per l’Incremento della Prestazione – Si tratta di un approccio educativo allo sviluppo delle abilità psicologiche direttamente connesse alla prestazione di elite. Esempi di programmi di allenamento includono: goal setting/motivazione e professionalità, allenamento al controllo dell’attivazione, allenamento al controllo attentivo, imagery e visualizzazioni, allenamento al controllo emotivo, preparazione alla gara e debriefing, routine nella competizione, abilità per viaggiare, allenamento al controllo cognitivo, educazione all’alcool e alle droghe ricreative, e così via.
  • Allenamento allo Sviluppo Personale – Questo programma pone l’accento sui bisogni degli atleti e degli allenatori di potenziare un certo numero di life skills che possono essere applicate al di fuori dello sport o dopo aver concluso la carriera sportiva. Ad esempio: leadership training, comunicazione interpersonale, risoluzione dei conflitti, abilità a condurre interviste e servizi agli sponsor.
  • Management dello stile di vita – Questo programma aiuta a trattare con efficacia problemi causati da un disequilibrio tra gli obiettivi estremi della carriera sportiva e le questioni riguardanti il più ampio stile di vita. Ad esempio: gestione dello stress o del tempo, e la consulenza nell’ambito delle relazioni interpersonali.
  • Dinamiche di gruppo/squadra – Questa area del programma si focalizza sulla complessità dello sviluppo e del mantenimento di una squadra efficace. Riguarda questioni quali: leadership e posizioni di responsabilità, sistemi di comunicazioni, gestione dei meeting, cultura di squadra,  regole di squadra e gestione dei comportamenti.
  • Interventi su fattori critici – Sono, inoltre, forniti servzi che rientrano nell’ambito della psicologia clinica, fra cui: comportamenti di controllo del cibo e del peso, depressione, traumi infantili o adolescenziali e abuso di sostanze. In ogni caso,  quando si prospetta un trattamento a lungo termine il giovane, per continuare la terapia o la riabilitazione, viene inviato a centri specialistici con cui si è in contatto.

Nideffer: All’AIS avete un programma standard per gli atleti?

Bond: In breve la risposta è no. Sono convinto che i programmi standardizzati possono essere utili solo in particolari situazioni, quando il contatto diretto è problematico  o a livello di attività giovanile. Da noi l’attenzione è rivolta a programmi individualizzati  per atleti, allenatori e squadre di elite. Nel canottaggio, ad esempio, gli atleti sono più vecchi rispetto alle ginnastica femminile. Pertanto, imporre ad ambedue i gruppi lo stesso programma di psicologia impedirebbe di comprendere le peculiarità di queste discipline e i modi di affrontarle da parte di allenatori e atleti. Anche i workshop che vengono tenuti sono sempre molto specifici e costruiti sulle esigenze che devono essere soddisfatte.

Nideffer: All’AIS vi servite di test psicologici? Se sì, per quali motivi li utilizzate e come sono presentati agli atleti?

Bond: All’AIS l’unico test di cui ci serviamo regolarmente è il Test of Attentional and Interpersonal Style (TAIS). L’ho introdotto nel 1982 e l’ho scelto poiché esamina un vasto numero di caratteristiche attentive e interpersonali correlate alla performance di alto livello. Usiamo il TAIS in congiunzione con il colloquio individuale con l’atleta, il resoconto degli allenatori e l’osservazione degli allenamenti/competizioni da parte dello psicologo. In tal modo viene elaborato un profilo psicologico che incrementa negli atleti e negli allenatori la comprensione relativa ad aspetti  che impattano sulla prestazione. Penso che il TAIS sia particolarmente utile per spiegare la complessità dell’attenzione in termini operativi, pratici e facili da capire.

Altri test sono utilizzati in funzione di specifiche necessità. Ad esempio, abbiamo usato per lungo tempo il POMS, servendocene in maniera molto pratica per incrementare la consapevolezza degli allenatori e degli atleti nei riguardi degli stati emotivi connessi alle prestazioni e per formulare delle srategie operative per il miglioramento dell’umore.

Nideffer: Come viene accettato il servizio di psicologia dello sport che voi offrite?

Bond: E’ gratificante vedere come la psicologia dello sport sia ben accettata all’AIS e più in generale nello sport australiano. Mi ricordo che nel 1982 quando iniziai questa esperienza era guardato con molto sospetto dalla maggior parte degli atleti e allenatori. All’interno della comunità la psicologia era poco considerata e regnava una cultura sportiva tradizionale (che ancora esiste oggi in qualche piccola area) che non riconosceva o discuteva le “debolezze”. Naturalmente, in Australia nel 1982 la storia della psicologia dello sport era molto scarsa, ma le cose cambiarono rapidamente. Il primo coinvolgimento all’AIS fu con il nuoto e fui il primo psicologo australiano a partecipare alle Olimpiadi  (Los Angeles, 1984). La squadra ebbe molti successi e, come è ovvio, molti altri team presero nota del tipo di servizi che erano stati forniti. Così a Seoul gli psicologi divennero tre, sette a Barcellona, nove ad Atlanta e 12 a Sydney. Questi psicologi sono accreditati presso squadre olimpiche specifiche così da poter trovare una collocazione, anche fisica, alle Olimpiadi. A partire dal 1988 alcuni psicologi sono stati anche accreditati ai Giochi Olimpici Invernali.

L’accettazione degli psicologi è stata anche favorita da interventi fatti dagli stessi psicologi ai collegiali delle squadre per illustrare il loro lavoro e dalle lezioni tenute nei corsi di formazione/aggiornamento per allenatori. La pubblicazione di articoli scientifici e divulgativi è servita ad innalzare ulteriormente il profilo della psicologia dello sport.

Gli psicologi sono anche attivi nello sport professionistico di alto livello e questo ha incrementato l’accettazione di questa disciplina da parte dei media e del mondo dello sport. Gli sport in cui la presenza degli psicologi è maggiormente diffusa sono il tennis, golf, pallacanestro, football, surfing e sport motoristici.

Nideffer: Quali sono i servizi che apprezzano maggiormente gli allenatori e gli atleti?

Bond: E’ difficile rispondere a questa domanda, perché la popolarità di un programma è dipendente dalla fase della preparazione alle competizione. Ad esempio, nelle fasi iniziali dell’allenamento atleti e allenatori sono più interessati a orientarsi verso lo sviluppo personale, la gestione delle problematiche connesse allo stile di vita e all’allenamento delle abilità mentali di base. Avvicinandosi alle competizioni, lo sviluppo personale e lo stile di vita diventano meno importanti e al loro posto assumono rilevanza elementi più specifici della competizione. In viaggio, mi sono trovato più coinvolto in attività di rinforzo dei piani della competizione (spesso tramite la visualizzazione), di ripasso delle abilità psicologiche necessarie alla competizione, di incremento della fiducia e di gestione delle dinamiche di gruppo. Ho trovato che la cultura di squadra e la capacità degli allenatori di lavorare in maniera coesa tra di di loro e di gestire efficacemente la squadra sono aspetti molto importanti.  Problemi possono insorgere  in allenamento o in gara, ma per me è evidente che lo stress aggiuntivo associato con le principali competizioni spesso fa emergere questioni che si sarebbe dovuto risolvere all’inizio della preparazione, pertanto la presenza dello psicologo è assolutamente necessaria. Ho visto che quando lo psicologo viaggia con la squadra molti problemi  possono venire immediatamente affrontati. Ioltre, saremo considerati a pieno titolo membri dello staff tecnico e di supporto solo se possiamo rinforzare le strategie di incremento della prestazione e contribuire alla prestazione globale della squadra. Infine, quando accade qualcosa di negativo, lo psicologo è in grado di fornire un contributo efficace. Gli allenatori ricordano sempre gli incidenti critici, anche dopo anni possono ricordare cosa è accaduto e come hanno risolto il problema. Secondo me, questo avviene perché questi incidenti avrebbero potuto incidere molto negativamente sugli individui e sulla squadra.  Il test reale dell’efficacia dell’intervento dello psicologo ma anche dell’allenatore, non è di certo quando va tutto bene ma invece dopo un errore o in un periodo critico.

Nideffer: Gli atleti attribuiscono valore e/o percepiscono la necessità dei servizi di psicologia dello sport?

Bond: In generale penso di sì. Vi è comunque un certo numero di persone che non la pensano in questo modo. Talvolta dipende da precedenti esperienze con la psicologia dello sport. Ho notato che gli atleti che hanno lavorato con psicologi dello sport troppo orientati in senso accademico sono spesso colpiti dalla distanza che intercorre fra la teoria e la pratica. Atleti e allenatori sono persone molto pratiche e ricercano soluzioni e strategie pratiche. Talvolta l’atteggiamento dell’atleta è significativamente influenzato dall’atteggiamento dell’allenatore  Nel mio lavoro mi impegno continuamente nell’assicurarmi che l’allenatore sia dalla mia parte. Lavoro con molto impegno a trovare le giuste opportunità (“momenti d’insegnamento” se preferisci) per rinforzare negli allenatori l’idea che le richieste psicologiche delle situazioni prestative interagiscono con le abilità mentali.

All’AIS abbiamo condotto, con i nostri interlocutori, molte ricerche nel tentativo di sapere cosa essi pensavano della nostra efficacia, tempistica, responsabilità. Questo è stato fatto nei vari dipartimenti dell’AIS. Dai risultati è emerso una forte positività verso l’AIS e un punteggio medio di accettazione dell’80%  per la psicologia.

Un’influenza positiva della psicologia dello sport riguarda la presenza, nelle interviste rilasciate dagli atleti e dagli allenatori, di riferimenti riguardanti l’importanza degli aspetti mentali nella prestazione di alto livello. Ad esempio, il nostro migliore maratoneta chiama spesso la maratona una gara mentale. Alcuni anni fa l’Australia apprezzava la prestazione di uno dei suoi migliori tennisti durante Wimbledon. A quel tempo era riconosciuto che il programma di psicologia poteva determinare una differenza significativa. Questo giocatore possedeva un elevato livello di fitness, velocità e potenza esplosiva. Come tutti i giocatori di tennis, aveva sviluppato le sue abilità tecniche in anni di allenamenti e competizione. La chiave per sfruttare il vantaggio datogli dalla sue competenze fisiche e tecniche risiedeva nell’attenta preparazione alla gestione delle questioni psicologiche connesse a questo alto profilo prestativo.

Naturalmente dobbiamo anche riconoscere che l’allenamento psicologico può non rappresentare un fattore significativo per alcuni allenatori e atleti. La psicologia dello sport non ha una soluzione per tutto. In molti casi, comunque i fattori psicologici sono l’ultimo ostacolo da superare per raggiungere il successo.

Nideffer: Dal 1982 sei il direttore degli psicologi dello sport all’AIS, quali prove hai raccolto per affermare che i servizi che voi offrite agli atleti fanno la differenza?

Bond: Fra gli indicatori che forniscono un supporto oggettivo vi  sono, in termini generali, i risultati delle ricerche condotte dall’AIS che hanno mostrato in diverse occasioni che l’incremento delle scoperte in medicina dello sport e nelle scienze dello sport è associato a un parallelo miglioramento delle prestazioni dei nostri atleti. Inoltre, dai dati del TAIS, che abbiamo raccolto nel corso degli anni,  si rileva che noi possiamo fare la differenza in relazione alle caratteristiche attentive e interpersonali. E sono convinto che il nostro contributo sia significativo nel migliorare la gestione dello stress durante le competizioni.

Credo che gli allenatori e gli atleti siano clienti molto competenti. In tal senso l’accettazione che dimostrano verso la psicologia dello sport può considerarsi come un uleriore buon indicatore  della validità dei servizi che offriamo.  C’è un costo economico nell’inserire uno psicologo nel team e nel farlo partecipare ai tour internazionali. Inoltre se gli allenatori pensassero che lo psicologo interferisce con il programma di allenamento o che fosse inutile non ne tollererebbero la presenza.

Nideffer: Quale effetto avrà l’avanzamento della tecnologia nei prossimi cinque anni sul lavoro degli psicologi?

Bond: Devo riconoscere che sono un tradizionalista e ritengo fondamentale il rapporto faccia a faccia fra lo psicologo e l’allenatore/atleta. Credo anche che la psicologia, come pure la psicologia dello sport, sarebbe più povera se si allontanasse dal contatto personale che è parte tradizionale della nostra professione. Non vorrei che i servizi di psicologia dello sport venissero offerti per corrispondenza. Se ripenso ai 25 anni di lavoro in questo campo, credo che vedrei fortemente compromessa la validità del mio intervento se l’avessi svolto seduto dietro la mia scrivania e colloquiando per telefono o per fax. Sono consapevole che avrei perso la consapevolezza e non avrei compreso gli aspetti critici delle prestazioni se non fossi stato presente a queste situazioni.

Questo modello basato sul contatto personale e situazionale riguarda una certa percentuale della nostra professione. Riguarda ad esempio il mio modo di operare con la squadra nazionale di canottaggio. Nel periodo delle competizioni nazionali lavoro con la squadra dell’AIS e una volta che la nazionale è stata selezionata lavoro con loro. Ho un supporto organizzativo e il supporto dell’organizazione del canottaggio per stare con gli atleti e gli allenatori quando entrano nella fase finale della preparazione per le Olimpiadi. Non credo che avrei potuto lavorare così come ho fatto, se fossi stato seduto dietro la mia scrivania a Canberra. Alcuni anni fa ho lavorato con un tennista che vinse a Wimbledon. Durante la fase finale della preparazione ho vissuto insieme a lui, alla sua famiglia e all’allenatore e sono stato capace di fornirgli alcune strategie efficaci, che sono convinto che abbiano contribuito al suo successo nel torneo di tennis più importante. Non c’è modo di farlo al telefono, per fax o email.

Vi sono psicologi dello sport che non hanno un supporto organizzativo analogo o che lavorano per atleti e squadre di più sport. Per loro non è possibile viaggiare con la squadra o essere presente alle sedute di allenamento. Questi psicologi hanno dovuto affrontare il dilemma di lavorare in mancanza del faccia a faccia e del contatto situazionale. L’avvento di internet, dei video digitali e della tecnologia email permette ora di entrare in contatto indipendentemente dal luogo in cui ci si trova e potrebbe essere un modo per permettere allo psicologo di svolgere il suo lavoro consulenziale.

Inoltre molti atleti viaggiano con il loro labtop o il computer palmare e sono in contatto permanente con postazioni in altre parti del mondo.  Vi è ancora qualche difficoltà dovuta alla incompatibilità dei sistemi di telecomunicazione, ma nei prossimi cinque anni ci potranno essere in questa area dei avanzamenti significativi.

Per gli atleti in fase di sviluppo il potenziale rappresentato da internet è molto promettente per seguire programmi di preparazione psicologica. Questi atleti non sono in grado di servirsi di un proprio psicologo dello sport, ma possono avere accesso ad internet. Quindi strutturando un sito in maniera gerarchica , sarebbe possibile accedere ad un numero molto ampio di informazioni, profili psicologici e comunicare brevemente con uno psicologo dello sport.

Un’altra area di sviluppo tecnologico riguarda il biofeedback che può incrementare il nostro lavoro grazie agli sviluppi della strumentazione. Infatti questi apparecchi sono sempre affidabili e compatti e con i possibili sviluppi nella capacità di creare una realtà virtuale, potrebbero diffondersi rapidamente fra gli atleti per vedere immagini tridimensionale delle loro prestazioni. Questa tecnologia potrebbe sostituirsi agli esercizi di visualizzazione comunemente praticati da molti atleti. La nostra squadra nazionale di canottaggio ha già accesso, durante lo svolgimento dell’attività, a molte informazioni biomeccaniche. Sono capaci di modificare la loro efficienza tecnica attraverso spostamenti della posizione del corpo, semplicemente orientando in tal senso la loro attenzione, la respirazione, la tensione muscolare e il centro di gravità.

Il potenziale futuro della psicologia dello sport è molto eccitante. Dovremo diventare capaci di offrire i nostri servizi a un numero molto maggiore di atleti e allenatori presenti in località diverse.L’avvento dell’atleta mondiale è un bene e la psicologia dello sport sarà in prima linea nel seguire gli sviluppi futuri dello sport di elite e nel servirsi attivamente delle tecnologie più avanzate per superare i limiti dovuti alla non presenza fisica nello stesso luogo dello psicologo e dell’allenatore/atleta.

Viaggio nella mente dei campioni

Per presentare l’edizione del Master di psicologia dello sport organizzato da Psicosport che si terrà a Roma nel 2022, abbiamo organizzato questo webinar dedicato al tema “Viaggio nella mente dei campioni”.

Da Robert Nideffer e dagli atleti di élite ho imparato che ciò che hanno in comune i top performer in qualsiasi ambito professionale come i top manager o i corpi speciali dell’esercito consiste nell’abilità a prestare attenzione, a non farsi distrarre e a rimanere focalizzati su un compito alla volta. Se sei un manager o un atleta non potrai fornire prestazioni efficaci se non sei concentrato.

Parleremo di questo tema e di come si sviluppa questa mentalità che considera, come ha detto Novak Djokovic, lo stress come un privilegio.

Il ruolo della motivazione nel rapporto allenatore-atleta

L’attività sportiva consente l’affermarsi di un atteggiamento che può essere sintetizzato nella seguente frase: “È grazie al mio impegno che divento sempre più bravo in quello che faccio”. I giovani atleti che diventeranno campioni sono motivati da una spinta interiore che si alimenta tramite la percezione soggettiva di soddisfazione che traggono dallo svolgere un determinato compito al meglio.

Ogni intervento esterno che tenda a ridurre nell’atleta questa percezione influenzerà negativamente la sua motivazione. È il caso di quando un soggetto s’impegna solo per ricevere un premio materiale (vincere un trofeo) o simbolico (“Lo faccio per i miei genitori o per l’allenatore che così saranno contenti o perché sarò più ammirato dai miei compagni di scuola”). La prestazione sportiva diventa così solo un mezzo per raggiungere un altro scopo che è, invece, il vero fine dell’azione: il giovane non agisce per il piacere che gli fornisce l’attività stessa, ma per ricevere un determinato riconoscimento. Pertanto, i rinforzi esterni che lo incoraggiano ad attribuire la sua partecipazione a motivi esteriori possono ridurre la sua motivazione interna.

Cosa può fare l’allenatore

Operativamente, l’allenatore non dovrebbe servirsi di rinforzi che dall’atleta siano percepibili come più importanti della stessa partecipazione sportiva, ma dovrebbe fornire feedback utili ad aumentare il senso di soddisfazione che il giovane trae dall’esperienza agonistica. A questo riguardo è stato documentato che i risultati sportivi che sono percepiti come il frutto di fattori interni personali, quali l’abilità, la dedizione, l’impegno, piuttosto che di fattori esterni (fortuna, limitata capacità degli avversari, decisioni arbitrali a favore) sono associati a stati d’animo di soddisfazione e di orgoglio.

Polisportività per i giovani è una scelta migliore?

Alex Murata, Daniel E. Goldman, Luc J. Martin, Jennifer Turnnidge, Mark W. Bruner & Jean Côté (2021). Sampling between sports and athlete development: a scoping review, International Journal of Sport and Exercise Psychology.  DOI: 10.1080/1612197X.2021.1995021 

Nel contesto sportivo giovanile, la specializzazione precoce (cioè l’impegno intensivo in un unico sport fin dalla tenera età) è stata associata a una serie di risultati negativi come il burnout, le lesioni e l’abbandono prematuro dello sport. Di conseguenza, i ricercatori e i professionisti della salute hanno suggerito che i giovani atleti partecipino a una serie di sport a diversi livelli di intensità per evitare queste conseguenze negative. Mentre un numero crescente di ricerche continua a esplorare gli effetti che la specializzazione precoce può avere sugli atleti in via di sviluppo, rimangono domande riguardanti l’impatto della partecipazione a sport diversi. Pertanto, lo scopo di questa revisione era quello di cercare sistematicamente nella letteratura sportiva giovanile, articoli che colleghino la pratica di più sport a risultati relativi alla performance sportiva, alla partecipazione sportiva o allo sviluppo personale (cioè, le 3P). In totale, 9257 articoli sono stati individuati attraverso una procedura di ricerca di scoping e 53 sono stati conservati per ulteriori analisi. In generale, la pratica di più sport sembra sostenere il miglioramento delle prestazioni sportive e la continuazione della partecipazione sportiva. È stato anche osservato che la ricerca completata sull’argomento della polisportività mostrava una sovra-rappresentazione di (a) approcci quantitativi; (b) metodologie retrospettive; (c) partecipanti maschi, uomini e ragazzi; e (d) risultati relativi principalmente alla performance sportiva. Si raccomanda ai ricercatori di continuare a esplorare gli effetti che la pratica di più sport nell’infanzia e nell’adolescenza può avere sullo sviluppo dell’atleta attraverso l’uso di metodi diversi e un maggiore impegno con popolazioni diverse di atleti.

L’attività fisica nei bambini è più utile di quando si pensasse

Skylar J Brooks,  Sean M Parks,  Catherine Stamoulis, Cerebral Cortex, 31(10), October 2021, 4840–4852,

Una ricerca che ha coinvolto quasi 6.000 bambini tra i 9 e i 10 anni ha scoperto che l’attività fisica è più benefica per la salute del cervello di quanto si sapesse in precedenza.

Secondo lo studio del Boston Children’s Hospital, indipendentemente dalla misura dell’attività fisica, i bambini potrebbero beneficiare di tutte le forme di esercizio, influenzando le proprietà organizzative dei loro circuiti cerebrali. I

I 5.955 bambini partecipanti esaminati facevano parte del gruppo Adolescent Brain Cognitive Development.

Abbiamo studiato gli effetti diretti e indiretti dell’attività fisica sulle reti di stato di riposo, la spina dorsale del connectome funzionale che influisce ubiquitariamente sulla funzione cognitiva … Abbiamo stimato significativi effetti positivi dell’attività fisica regolare sulla connettività, l’efficienza, la robustezza e la stabilità di rete e sulle topologie locali di attenzione, somato-motoria, fronto-parietale, limbica, che supportano processi estesi, dalla memoria e il controllo esecutivo all’elaborazione emotiva.

training autogeno o mindfulness?

Ho scoperto che i giovani psicologi non conoscono il training autogeno di Schultz. Tutti sanno, oggi, che esiste la mindfuleness, il che non non ha nulla di negativo, ma non conoscono la storia. Non conoscono come si è giunti alla mindfulness.

Ritengo questa ridotta consapevolezza un limite, poichè siamo, se mi consentite, all’invenzione di come tagliare il brodo.

Mi spiego. Schultz, circa 120 anni fa, ha ideato un sistema per migliorare l’autocontrollo e imparare a rilassarsi che ha denominato con questo due parole training autogeno. Significa che attraverso un processo di allenamento è possibile imparare a rilassarsi.

Il suo scopo era liberare le persone dalla dipendenza dell’ipnotica, oggi diremmo renderle autonome attraverso l’apprendimento di un’abilità psicologica.

La maggior parte degli psicologi giovani ignora questo approccio, mentre dovrebbe fare proprio questa mentalità e poi utilizzarla con gli adattamenti che a distanza di 120 anni siamo ora in grado di proporre.

Invece ci siamo spostati sulla mindfulness, certamente utile, ma abbiamo buttato via le conoscenza del passato, probabilmente perchè non sono di moda e non certo perchè siano inutili.

Che ne pensate?

Un’esperienza di modeling

Nel 2020 Tiger Woods ha fatto il suo debutto nel PNC Championship al Ritz-Carlton Golf Club, Orlando, Grande Lakes insieme al figlio undicenne Charlie, dove la coppia ha giocato due giri consecutivi di 62 per raggiungere – 20, solo settimi, cinque indietro rispetto al margine di vittoria di Justin Thomas e suo padre, Mike.

Tiger Woods e suo figlio un bell’esempio di modeling. Guardiamo questo video eccezionale per capire cosa voglia dire avere imparato osservando qualcuno più bravo. Come vedrete il modellamento non riguarda solo la tecnica ma anche la mentalità di approccio ai colpi.

Tiger Woods will return to golf at PNC Championship

Conferenza sull’integrità nello sport

 La Conferenza europea sull’integrità nello sport si è svolta il 6 e il 7 dicembre organizzata da ‘EPAS-Accordo parziale allargato sullo sport, e il Dipartimento italiano per lo sport, nell’ambito della Presidenza italiana del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Tema dell’incontro quello dell’integrità,  intrinsecamente legata alla questione dell’etica nello sport. Tra gli obiettivi, l’elaborazione di linee guida per l’integrità nello sport; la lotta alla manipolazione delle competizioni sportive, così come ribadito nella Convenzione di Macolin; la garanzia di una buona governance nello sport. L’evento è stato aperto dalla sottosegretaria di Stato allo Sport Valentina Vezzali, e dal vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Bjørn Berge.

Durante la conferenza si è parlato di come implementare le linee guida sull’integrità, combattere la manipolazione delle competizioni sportive e garantire il buon governo nello sport. Le sessioni delle due giornate hanno ribadito la necessità di dare una risposta globale ai vari problemi che minacciano l’integrità nello sport, come il doping, le frodi, la turbativa negli appalti, le pratiche illegali che incidono sui valori dello sport. Alla luce di queste problematiche, appare fondamentale promuovere una corretta governance nello sport, puntando sulla trasparenza e su un approccio olistico. Lo sport, infatti, non è solo competizione, ma riflette la società e i suoi problemi.

La conferenza si è rivolta principalmente alle autorità governative di una vasta gamma di settori, tra cui ministeri dello sport, autorità anticorruzione, dipartimenti degli affari esteri, forze dell’ordine, uffici nazionali per la protezione dei dati, agenzie di integrità sportiva, autorità di regolamentazione delle scommesse, il settore della giustizia.

“Quando si parla di sport e integrità si dovrebbe anche parlare del principio di non discriminazione nell’accesso allo sport. Al contrario, si rilevano ancora molte discriminazioni di carattere istituzionale, come accade per la partecipazione di stranieri in diversi campionati sportivi a tutti i livelli, anche amatoriali, e ancor di più di rifugiati e richiedenti asilo … Personaggi senza scrupolo cercano talenti nelle zone più povere di Africa e America Latina per poi portarli in Europa e ricavarci successo e denaro. Se non ottengono risultati, li abbandonano per strada. Nel tempo, le varie soluzioni pensate per arginare il fenomeno hanno finito per penalizzare solo gli atleti, che hanno dovuto presentare complesse documentazioni legate alla residenza, dovendo dimostrare di avere un lavoro e di non essere stato tesserato precedentemente in un altro stato. Bisognerebbe promuovere delle politiche di accoglienza per impedire abusi e di operare in maniera criminosa proprio nelle pieghe di queste situazioni di non inclusione” ha detto Daniela Conti a margine dell’incontro (UISP).

 

La mentalità del “Tutto bene”

Vi sono atleti che non hanno difficoltà a comprendere che l’allenamento mentale è un impegno quotidiano. Spesso dicono: “Tutto bene”.

Tutto bene era la frase che da giovane scrivevo a mia madre quando d’estate le spedivo le cartoline, era un modo secondo me per tranquillizzarla. Ovviamente lei pensava che non volessi dire realmente come stavo e aveva ragione.

Com’è andato l’allenamento: “Tutto bene”. Impariamo qualcosa da questa frase su come è andata quella seduta? Sì, che l’atleta non è consapevole di quello che ha fatto o più banalmente che non vuole parlarne.

Quando la risposta si riferisce ad aspetti psicologici dell’allenamento vuole intendere che: “Ho fatto quello che mi ha detto l’allenatore e mi sono impegnato a fare del mio meglio”. Questa risposta apparentemente positiva, esclude ogni informazione riguardante come ho fatto gli esercizi, come ho affrontato gli errori, come mi sono corretto e così via. In altre parole, la risposta dell’atleta è di tipo globale ma non fornisce informazioni specifiche sullo svolgimento dell’allenamento. Non sappiamo, ad esempio, se vi sono stati cali di concentrazione o se l’attività è stata svolta con il livello d’intensità necessario.

Impariamo, in primis noi stessi, a non usare questi due termini “Tutto bene” e insegnamo agli atleti a essere specifici e a non rifugiarsi in questo approccio rassicurante.

 

Il Manchester United assume uno psicologo dello sport

IL MANCHESTER UNITED ASSUME LO PSICOLOGO SPORTIVO SASCHA LENSE PER AIUTARE RALF RANGNICK
Ralf Rangnick ha giocato un ruolo importante nel portare un psicologo sportivo e un assistente allenatore per aiutarlo al Manchester United. Rangnick ha un contratto ad interim di sei mesi in carica allo United e un ulteriore ruolo di consulenza di due anni che inizierà alla fine della stagione. Rangnick dice che aveva bisogno di portare “un esperto per il cervello”.