Archivio mensile per marzo, 2015

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Psicologia della maratona

E’ iniziata la stagione delle maratone, ecco alcuni consigli per affrontare questa corsa nel modo migilore.

A causa dell’enorme sforzo fisico e della lunghezza della gara, correre una maratona costituisce indubbiamente  una delle sfide più impegnative che si possano affrontare nello sport. Oltre a cimentarsi in una corsa estenuante dal punto di vista fisico, chi corre la maratona deve fare i conti con la necessità di gestire i pensieri che scorrono nella mente durante il lungo percorso e che possono riguardare i dolori muscolari che si avvertono e le preoccupazioni circa il rischio di non arrivare alla fine e non raggiungere i propri obiettivi. Poiché la maratona richiede specifiche abilità mentali, gli psicologi dello sport hanno ideato una serie di tecniche di mental training che possono aiutare gli atleti di diversi livelli di abilità a rendere tale esperienza sportiva più gratificante e a superare i propri limiti. Da queste tecniche si traggono suggerimenti che si possono applicare per affrontare con successo gli allenamenti e le competizioni.

Mantenere alti i livelli di motivazione e impegno per i lunghi periodi di allenamento può rappresentare un compito molto difficile. È per questo che è utile strutturare un piano di allenamento realizzato da un allenatore.  Qualora non si abbia questa opportunità ci si può opportunamente informare sui libri e con il confronto con chi abbia più esperienza riuscendo a stabilire obiettivi personali realistici, chiari e specifici come correre un certo numero di chilometri a settimana o mantenere un passo costante durante le ripetute. È importante che tali obiettivi siano scritti nel dettaglio e alcuni psicologi consigliano di inserirli in slogan o segnali di incitamento che siano sempre visibili per casa in modo tale da tenere costante l’attenzione su di essi. Una volta definiti, gli obiettivi devono essere svolti con perseveranza perché il loro raggiungimento o superamento aiuterà l’atleta ad aumentare la fiducia in se stesso e a porsi mete più ambiziose. Tuttavia è controproducente stabilire obiettivi troppo impegnativi o porsene un numero eccessivo, mentre, anche per evitare di incorrere in infortuni, è indicato mantenere un atteggiamento paziente e saper aspettare il momento in cui si realizzeranno i primi successi. Durante le sedute di allenamento è possibile prepararsi mentalmente creando delle routine da inserire nel riscaldamento, facendo degli esercizi di simulazione della gara e sviluppando un piano mentale con cui affrontare i 42 km. Simulare la gara durante alcune fasi dell’allenamento significa anche allenarsi a rimanere concentrati quando subentrano fatica e dolori muscolari. Rispetto a questo, gli psicologi sportivi hanno studiato le strategie cognitive dei fondisti distinguendo la strategia associativa da quella dissociativa. Nella prima condizione gli atleti si focalizzano sulle sensazioni provenienti dal loro corpo e sono consapevoli dei fattori fisici fondamentali per quel tipo di prestazione. Nella strategia di dissociazione, invece, i pensieri dell’atleta sono concentrati su qualsiasi cosa, eccetto che sulle sensazioni corporee. Alcune ricerche hanno evidenziato una tendenza dei podisti più abili ad utilizzare una strategia associativa, mentre una preferenza per la strategia dissociativa da parte dei podisti di medio livello. Altri studi hanno sottolineato l’opportunità di utilizzare una strategia più flessibile nel corso della maratona, ed in particolare ad utilizzare quella associativa nelle fasi iniziali e finali della gara e quella dissociativa nella fase centrale. Un’altra tecnica suggerita dagli psicologi dello sport consiste nella produzione volontaria di immagini mentali in cui l’atleta cerchi di ricreare lo scenario della gara, immagina di affrontare con successo alcune fasi del percorso e superare gli ostacoli e le difficoltà incontrate nel percorso (per esempio una salita, un momento di particolare fatica o di condizioni atmosferiche avverse) fino a tagliare il traguardo. Una delle più utili tecniche psicologiche da introdurre nel proprio allenamento è l’uso del self-talk positivo, cioè il ripetersi mentalmente delle parole chiavi positive che possono aiutare a rimanere concentrati sul compito e a “caricarsi” evitando invece di soffermarsi su pensieri disfunzionali come “non ce la farò mai”, “mi sento male”, “sono lento”, “le gambe sono pesanti”. L’atleta deve scegliere frasi espresse in positivo che gli inducano sicurezza riguardo alle proprie possibilità (“posso farcela” “ce la farò” “ancora 1 kilometro”) o singole parole che possano costituire un auto-incitamento o riassumere un indicazione tecnica (“fluido!”, “facile!”, “passo!”, “vai!”, “fine!”). E’ importante che l’atleta sperimenti in allenamento tale tecnica e che scelga le parole e le frasi che gli sono più congeniali e di maggioraiuto in modo tale da rendere automatico l’uso del self-talk e l’effetto positivo che comporta in alcune fasi della prestazione.

Il giorno della competizione prestare attenzione ad alcune semplici regole può ridurre di molto il dispendio di energie nervose preziose per affrontare al meglio l’impegno agonistico. Per esempio preparare tutto il materiale necessario la sera prima, individuare e predisporre i rimedi per i problemi che potrebbero verificarsi, arrivare alla partenza ampiamente in orario, organizzare anticipatamente anche il ritorno a casa dopo la gara e, soprattutto, mettersi nelle condizioni di poter vivere la giornata in modo piacevole.

È utile inoltre “familiarizzare” con il posto e la manifestazione, usufruendo anche del materiale che viene fornito prima della gara e immaginando il percorso anche se non lo si conosce bene. L’attenzione alla partenza deve essere rivolta soprattutto ad evitare di farsi “imbottigliare”, a dosare le energie e a non farsi prendere dall’eccitamento iniziale sapendo che può portare a strafare prematuramente.

I maratoneti più esperti sono in grado di riconoscere nella sensazione di “sbattere contro un muro” che si prova durante le fasi più dure della corsa, una componente mentale e ritengono pertanto di potere abbattere questa barriera. L’importante è riconoscere i segnali corporei di fatica senza cercare di evitarli, accettandoli e non interpretandoli come indicatori di crisi imminenti o di impossibilità di andare avanti e fare bene. Quando si vivono questi momenti di difficoltà è facile che si entri in uno stato di panico , che aumenti ulteriormente la sensazione di fatica e che si faccia viva nella mente degli atleti la parola “stop”. È proprio in questi momenti che il self-talk sperimentato in allenamento si può rivelare un valido alleato, sostituendo i pensieri disfunzionali e innescando un meccanismo che può aiutare a superare il momento di crisi e a continuare a correre. L’atleta deve concentrarsi sulla propria falcata, il proprio respiro, l’appoggio dei piedi a terra o su altri aspetti della sua corsa. Una volta superate queste fasi può essere utile d’altra parte anche una strategia dissociativa che porti l’atleta a concentrarsi sulle sensazioni che proverà dopo l’arrivo, a pensare al premio che riceverà o addirittura a contenuti che niente hanno a che fare con la competizione e che hanno la funzione di distrarlo dalla fatica.

Anche durante la gara, come in allenamento, è importante suddividere la fatica ponendosi dei sotto-obiettivi che, una volta raggiunti, daranno la spinta per arrivare fino alla fine. Per esempio è utile concentrarsi di volta in volta sui prossimi 5 kilometri da percorrere in un certo tempo o sulla prossima mezz’ora di gara, poiché confrontarsi mentalmente con i42 kmpuò essere percepito come qualcosa di difficilmente realizzabile.

Allenare la creatività: le 4 parole chiave

Che cos’è la creatività? Il matematico Henri Poincarè nel 1929 disse: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. Essere creativi significa rompere le regole esistenti per crearne delle altre migliori.

Cosa ha a che fare la creatività con il calcio? La creatività è parte imprescindibile del calcio.

Spesso l’allenamento della creatività viene considerato secondario agli aspetti tecnici e tattici e di conseguenza trattato come una qualità determinata geneticamente: “quel calciatore è un fantasista” oppure  non lo è. Per questo motivo spesso l’allenamento della creatività può essere erroneamente trascurato .

La creatività è influenzata sia dall’età degli allievi, (per esperienze vissute e livello di sviluppo delle capacità coordinative) che dalle diverse condizioni ambientali e dalle situazioni di gioco proposte (varietà di strumenti e condizioni di gioco). Questo ultimo aspetto rientra nella creatività dell’allenatore. Durante la mia esperienza con il calcio giovanile ho osservato e discusso con molti allenatori. Ho visto allenatori variare le loro proposte, rinnovare la loro formazione, scoprire strumenti nuovi, li ho visti ricercare e stimolare la creatività dei loro atleti. D’altra parte ho visto altrettanti allenatori fermi sulle loro posizioni, più preoccupati di vincere uno “scontro” senza neanche sapere che il vero nome è “confronto”, poco disposti a cambiare e a conoscere e spesso più  impegnati a criticare i genitori fuori dal campo che a crescere piccoli atleti in campo.

Se si vogliono crescere calciatori fantasiosi, c’è bisogno di formare allenatori che conoscano gli strumenti e le situazioni in grado di stimolare creatività e fantasia. La psicologia dello sport si occupa anche di questo. Se la fantasia del bambino va allenata, allora è altrettanto vero che gli allenatori debbono conoscere gli strumenti e i metodi utili a stimolare la creatività dei piccoli atleti. Cosa deve fare un allenatore per risvegliarla nei suoi giocatori? Proporre nuove e diverse situazioni di gioco accompagnate da ricche e stimolanti varianti. Indurre gli allievi a ricercare continuamente soluzioni nuove, sollecitare la creatività e permettere al giovane atleta di acquisire un’importante competenza legata alla pratica del calcio.

Non a caso in Brasile, che  a livello mondiale rappresenta una delle migliori scuole di tecnica calcistica, la creatività viene sollecitata ancor prima delle abilità tecniche, che si realizzano conseguentemente e contemporaneamente.

È certamente innegabile che vi siano persone più portate e altre meno, ma la creatività può essere stimolata ed allenata. Con un po’ di studio e d’impegno l’approccio creativo si può imparare ed utilizzare. Innanzitutto possiamo iniziare conoscendo le 4 parole  chiave legate all’allenamento della creatività:

Sicurezza

  • Regole  chiare e semplici
  • Evitare critiche e giudizi durante il lavoro ideativo
  • Dare a tutti le stesse opportunità e attenzioni
  • Stimolare i pensieri e le azioni divergenti

Libertà

  • La Libertà  psicologica abbassa  le difese. Anche l’idea stravagante e scontata va ascoltata e accolta
  • Dare libertà di azione. Chiedere, a volte, d’indicare solo il risultato atteso: il giovane atleta  sceglierà e inventerà il percorso per raggiungerlo

Apprendimento

  • Evitare la chiusura con l’esterno. Il bambino deve poter crescere e apprendere anche e soprattutto attraverso il confronto

Divertimento

  • Divertirsi lavorando. Il clima divertente e disinibito incoraggia la ricerca di alternative

“Nella sua grandezza, il genio disdegna le strade battute e cerca regioni ancora inesplorate” (Abraham Lincoln)

(di Daniela Sepio)

Dino Lanzaretti, ciclista in giro da solo per il mondo

Il blog di Dino Lanzaretti, ciclista in giro da solo per il mondo.

Dino Lanzaretti

“Ho cominciato tanti anni fa per caso, e senza troppe ambizioni, questo lungo viaggio attraverso il mondo.

Al tempo ero sprovveduto e senza alcuna esperienza ma oggi posso serenamente dire che due o tre cose su questo modo di vivere le ho ben capite.

Premetto che il mio esordio è stato segnato da grosse difficoltà dovute all’assenza totale di scambio d’informazioni tra colleghi viaggiatori, internet era agli albori e non c’era modo di ottenere risposte agli immensi dubbi prima di un viaggio.

Fatto sta che solo grazie alle vesciche sul sedere e a tanti altri inutili infortuni  ho capito cosa fare e cosa non fare in sella ad una bici.

Le convinzioni che ho sui materiali che uso oggi sono la normale conseguenza di una serie di sfortunate rotture capitatemi nei posti peggiori al momento peggiore.

Ho quindi elaborato delle semplici soluzioni tecniche per evitare il più possibile incidenti e poter fare così un viaggio più sereno e senza troppi problemi.

E allora perché non provare a rendere più divertente un viaggio in bicicletta per chi volesse provare?

Spesso ricevo mail da cicloviaggiatori che mi chiedono quale sia la bici giusta per fare un viaggio o che tenda ci voglia o che strada fare. Rispondo volentieri ma mi è davvero difficile accontentare le più svariate domande con dovizia di particolari anche perché le cose utili a sapersi sono davvero tante.

Per questo mi sembra conseguenza diretta tentare di dare più informazioni possibili agli appassionati e mettere a disposizione la mia esperienza per condividere questo bel modo di andare in bicicletta”.

Ho deciso di far nascere questo blog sul mio nuovo sito internet e cercare d’infondere e diffondere più possibile il cicloturismo.

Tenterò di specificare ogni dettaglio tecnico e ogni scelta meccanica fatta, dare spiegazioni sui materiali e gli attrezzi davvero indispensabili e sopratutto confrontarmi su itinerari e aree del mondo davvero indicate per un’avventura indimenticabile”.

#StopAbuseAgainstWomen

La scorsa settimana il social media “What colour is the dress?”  è stato adattato da The Salvation Army South Africa per la campagna #StopAbuseAgainstWomen.

Il sessismo nel ciclismo

“Nel 1973 Billie Jean King ha costretto i padroni di tennis a riconoscere alle donne gli stessi premi in denaro degli uomini. Quaranta anni più tardi, il ciclismo femminile sta ancora cercando di ottenere un salario minimo per le atlete.

Nel 2013 un sondaggio condotto dalla Women’s Cycling Association ha denunciato che il 50% delle cicliste professioniste guadagnava  3,000$ (1969 £)  o meno all’anno. Questo è solo un dato statistico tratto da Half The Road, il superbo documentario di Kathryn Bertine, che si è battuta contro l’UCI, organo di governo sciovinista del ciclismo.

Brian Cookson, ora al timone della UCI, viene anche intervistato. Mi ha detto l’anno scorso che l’introduzione di un salario minimo “potrebbe ritorcersi contro”… perché le donne non sono abbastanza forti per affrontare il Tour de France – un argomento potentemente confutato da una donna che ha corso il Tour nel 1980 … Almeno non usa gli argomenti di Hein Verbruggen, uno dei suoi predecessori. Secondo Inga Thompson, dieci volte campione nazionale degli Stati Uniti, Verbruggen provò a introdurre una regola per fermare le donne quando durante il ciclo mestruale”.

(da The Guardian)

L’ottimista supera le difficoltà

I dati di ricerca a favore di leader ottimisti sono piuttosto consistenti. Queste persone dimostrano che sanno oltrepassare le difficoltà, vedendo nei problemi un’opportunità piuttosto che una minaccia. Questi leader vedono gli altri positivamente, aspettandosi il meglio da loro.

Nel dettaglio gli atteggiamenti degli ottimisti e dei pessimisti sono così identificabili:

  1. L’ottimista accetta gli eventi stressanti, imparando qualcosa da queste situazioni; mentre il pessimista non affronta le situazioni che possono essere fonte di stress e mostra una ridotta consapevolezza dei problemi.
  2. L’ottimista è concentrato sul compito che sta svolgendo, mentre il pessimista è focalizzato sugli aspetti negativi delle esperienze.
  3. L’ottimista è orientato a trovare la soluzione più adatta, mentre il pessimista si preoccupa e sviluppa pensieri ripetitivi negativi.
  4. L’ottimista regola in modo efficace le sue reazioni emotive, mentre il pessimista sfugge ai problemi esasperando alcuni comportamenti (ad esempio: alimentandosi in modo esagerato o sbagliato, manifestando uno stato di stanchezza eccessiva, isolandosi dagli altri o cercandone a ogni costo il sostegno psicologico).
  5. L’ottimista affronta le situazioni problematiche, mentre il pessimista non le affronta e vorrebbe evitarle.
  6. L’ottimista è poco centrato sui sintomi fisici (stanchezza, mal di testa, etc.), mentre il pessimista ne è molto preoccupato.
  7. L’ottimista pianifica il futuro e stabilisce obiettivi a breve termine, mentre il pessimista pensa che ci vorrà troppo tempo per migliorare;
  8. L’ottimista affronta direttamente chi mette in discussione il proprio operato, presentando i fatti che sono contrari a queste affermazioni, mentre il pessimista si fa convincere e si sente incapace.
  9. L’ottimista interpreta i propri insuccessi in termini d’impegno insufficiente o di scelta strategica sbagliata e non di mancanza di capacità, mentre il pessimista li attribuisce a incompetenze personali, quindi a fattori modificabili solo nel tempo. Ritiene che se nella prossima gara si presenterà una situazione analoga non sarà ancora in grado di affrontarla positivamente.
  10. L’ottimista accetta le situazioni che non si possono cambiare, mentre il pessimista cerca di scappare da queste.

Tutti guardano, pochi osservano

Tutti guardano, alcuni osservano. Tutti guardano, in quanto questo verbo indica l’azione del dirigere gli occhi, del fissare lo sguardo su qualche cosa, senza per forza che questo comporti il sapere consapevolmente cosa stia avvenendo, ad esempio, su un campo sportivo. Tanto è vera questa affermazione che quando si vuole qualificare meglio e rendere più specifica l’azione del guardare si aggiunge un attributo che fa capire l’intenzione di colui che guarda, si dice quindi “guardare con insistenza, guardare con interesse, guardare con disprezzo, guardare con odio” e così via. Per un atleta, guardare un evento non è pertanto sufficiente per comprendere cosa stia succedendo, nella sua azione di vedere un evento dovrà effettuare un ulteriore passaggio cominciando a osservare. Infatti, osservare significa:

“Esaminare, considerare con attenzione, anche con l’aiuto di strumenti adatti, al fine di conoscere meglio, di rendersi conto di qualche cosa, di rilevare i particolari, o per formulare giudizi e considerazioni di varia natura …Talora fa riferimento più all’attenzione della mente che a quella dell’occhio … posare attentamente lo sguardo su qualche cosa o su persone, sia per la semplice curiosità, sia con l’intenzione critica, per notare difetti, per cogliere altri in fallo” (Vocabolario della Lingua Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1989, vol. 3° p. 588).

L’osservazione rappresenta di conseguenza l’atto attraverso cui gli allenatori e atleti diventano consapevoli dell’agire degli atleti stessi o degli avversari, nonché delle abilità che dimostrano di mettere in campo durante lo svolgimento delle prestazioni sportive e più in generale di tutti quegli aspetti che si ritengono pertinenti e degni di essere notati.