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L’umiltà della leadership di Carlo Ancelotti

In questi giorni si parla molto dello stile di leadership di Carlo Ancelotti e di come lui e la squadra, il Real Madrid, siano giunti a questa ulteriore vittoria in Champions. Non erano partiti bene a inizio anno, perdendo contro lo Sheriff ma poi strada facendo, da sfavoriti hanno sconfitto il Chelsea, il PSG, il Manchester City e il Liverpool. Lui stesso ha dichiarato di avere detto al presidente del Real Madrid, quasi scherzando, che avrebbero vinto Liga e Champions. Tuttavia è proprio ciò che è accaduto. Paolo Condò ha scritto che una spiegazione risiede nell’umiltà che ha mostrato facendo giocare la squadra con una difesa bassa contro il Liverpool, impedendo così le sfuriate di cui è famosa la squadra inglese. L’umiltà non è certo una dimensione psicologica della leadership così ben riconosciuta e apprezzata nello sport, ancor più quando si è alla guida del Real Madrid.

Infatti, abitualmente i modelli tradizionali di leadership pongono il leader in cima alla piramide e pretendono che i subordinati seguano le sue direttive. Il leader che lavora al servizio della squadra, invece, capovolge la piramide e si colloca alla base della gerarchia. In un ambiente di questo tipo ai giocatori vengono fornite chiare descrizioni del lavoro del loro ruolo e il compito del leader è di “servire” o di aiutarli  a svolgere questi compiti. Questa struttura non implica che le norme diventino permissive o che i leader siano i giocatori. Al contrario, sono responsabili dell’esecuzione efficace dei loro ruoli. Il risultato finale, è un ambiente di lavoro in cui si coltivano le relazioni, si valorizzano tutti, si rispettano gli standard e si aumenta la produttività di squadra. È importante sottolineare che l’umiltà intellettuale, mostrata da Ancelotti, è un modo di mantenere le proprie convinzioni con un atteggiamento di studio verso il prossimo avversario e di rispetto dei punti di vista dei giocatori. Si attenuano, inoltre, gli effetti negativi del narcisismo del leader e si promuove l’impegno e il coinvolgimento attivo dei calciatori.

Carlo Ancelotti è un allenatore che ha vinto in ogni squadra europea che ha guidato, servendosi di questo approccio centrato sul coinvolgimento di tutto l’ambiente e alla cura delle relazioni interpersonali. In tal modo, esalta e continuamente alimenta i valori del gruppo, intesi come principi e identità del Club, coesione di squadra e senso di responsabilità dei calciatori e dello staff. Le sue parole chiave sono: educare, ambiente, spirito, responsabilità, tradizione Club, identità, rapporti, lavorare e competere.

Questo stile di lavoro non per lui una novità lo aveva già stato ben descritto 10 anni fa nel suo libro intitolato Il mio albero di Natale:

  1. Educare la squadra a perseguire la vittoria attraverso un gioco offensivo e creativo
  2. Favorire lo sviluppo di un ambiente di lavoro positivo
  3. Costruire un forte spirito di squadra stimolando una grande capacità di sacrificio e un impegno reciproco
  4. Favorire in ogni singolo il senso di responsabilità (valutato sulla base delle sue azioni e dei suoi comportamenti)
  5. Proteggere la tradizione e i principi del Club
  6. Lavorare per dare continuità ai successi del Club
  7. Competere per tutti i più grandi trofei
  8. Costruire una chiara identità e uno stile di gioco che tengano conto della tradizione del Club
  9. Costruire buoni rapporti tra i vari team di lavoro

 

L’umiltà e il coraggio di Giovanni Pellielo sono un grande insegnamento

Le storie dello sport sono costruite sulla capacità, la tenacia e la costanza nel tempo degli atleti. La storia di Giovanni Pellielo è una di queste. Quarantasei anni, soprannominato il tiratore di Dio per la sua fede, anche questa estrema così come lo è la sua vita di atleta. Se praticasse uno sport più glamour come il golf, le moto o il tennis sarebbe ogni giorno sulle pagine dei giornali. Pratica invece il tiro al piattello, uno sport cosiddetto minore, che raggiunge le cronache solo nei giorni delle Olimpiadi.

Pellielo è l’atleta più forte della storia di questo sport. Ha vinto quattro volte il campionato del mondo e quattro medaglie in altrettante Olimpiadi. È un esempio a cui rivolgersi quando si parla di eccellenza dello sport italiano. Ci si dovrebbe rivolgere a lui per sapere e capire come sia possibile che dopo così tanti anni di attività, sia rimasta intatta la volontà d’impegnarsi per continuare a livelli mondiali assoluti. Negli ultimi quattro anni si è classificato primo, terzo e secondo ai campionati del mondo e ora ha aggiunto ai suoi successi la medaglia d’argento di Rio. La sua motivazione è basata sulla continua voglia di ricercare la perfezione, nella consapevolezza che non potrà mai essere raggiunta. Infatti, è capace di mettere spessori anche solo di un millimetro nel calcio del fucile per sperimentare differenze che quasi nessuno sarebbe in grado di percepire. Vuole dire essere tutt’uno con il proprio strumento sportivo, per raggiungere quella confidenza che gli consente di esprimersi a livelli assoluti da più di venti anni.

Pellielo ha raggiunto questi risultati anche grazie alla sua abilità nel gestire le tensioni agonistiche che vive in queste grandi competizioni. “Sono terrorizzato prima d’iniziare” è una sua frase ricorrente ed è in questi momenti, tutt’altro che piacevoli, che nasce dentro di lui il modo per affrontare queste emozioni, che porterebbero la maggior parte degli atleti alla distruzione, mentre sono per lui la base su cui costruire la fiducia di potercela fare anche per questa volta.

Umiltà e coraggio sono le sue due più grandi qualità. L’umiltà di sapere che in uno sport di precisione l’errore può succedere in qualsiasi momento e non è recuperabile, a meno che l’avversario non commetta lui stesso un errore. Coraggio, poiché ogni gara viene comunque affrontata con quella convinzione che è alla base di ogni tiro.

La sua è una lunga carriera in cui questi due aspetti non si sono mai persi. Basti ricordare che dopo l’uscita dalla finale delle Olimpiadi di Londra per un piattello, Pellielo ha continuato ad allenarsi sino alla prima prova di Coppa del Mondo dell’anno successivo, vincendola. Quindi costanza e volontà di continuare a dimostrare a se stesso di essere sempre il campione che era stato sino a quella gara.

Pellielo è un esempio per tutti quelli che pensano che il successo sia qualcosa che una volta raggiunto non ci abbandonerà mai. Non è retorico affermare che il successo è invece il risultato di un continuo impegno, svolto in modo intelligente e sistematico, che si protrae nel tempo e che richiede il proprio totale coinvolgimento. Pellielo merita il nostro ringraziamento, perché ci dimostra che l’età non deve essere un limite ai nostri sogni. È un uomo che ci dimostra che l’importante non è essere gazzella o leone, ma serve muoversi, impegnarsi, avere obiettivi e volere raggiungerli. Abbiamo bisogno della sua motivazione per esercitare il nostro ottimismo verso il futuro.

Se Roger Federer e Valentino Rossi dimostrano che la classe non ha età

“Eh già, io sono ancora qua” canta Vasco Rossi e lo stesso dicono Valentino Rossi e Roger Federer. Sono arrivati ambedue secondi, dimostrando ancora un volta di valere il primo e il secondo posto nella classifica mondiale. Molti li hanno dati per spacciati in tante occasioni, affermando che non sapevano più vincere, che erano vecchi, che il fisico non li sorreggeva più.

Probabilmente sono obiezioni che per un po’ di tempo sono state vere, ma qualsiasi atleta attraversa momenti come questi, spesso i campioni li superano cambiando qualcosa nel loro modo di allenarsi e di vivere le competizioni. Con più probabilità gli altri affondano, perché usano questi momenti negativi come alibi per ritirarsi a causa di qualcosa che considerano superiore a loro. Nei commenti spesso ci si sofferma sulla loro età come fosse un limite imprescindibile, una caratteristica a cui bisogna arrendersi.

Sento dire: “Federer è vecchio e non è più in grado di reggere che pochi scambi, altrimenti perde il punto”. Ma quanti vorrebbero avere questa difficoltà pur di essere secondi al mondo? Dicono anche che a causa di questo limite ha dovuto cambiare modo di giocare. È vero, ma perché dare a questo cambiamento una connotazione negativa? E non invece sottolineare la sua determinazione nel cambiare per continuare a restare al vertice della classifica mondiale. Lo stesso si diceva fino all’anno scorso di Valentino Rossi: “Perché non si ritira anziché collezionare risultati deludenti?”.

Il coro del “perché non abbandona” lo hanno subito anche altri campioni. In Italia Giovanni Pellielo, nel tiro a volo, dopo tre medaglie in tre olimpiadi diverse, a Londra, a 42 anni, non entrò in finale e anche qui le stesse voci, non ci ha fatto caso, si è allenato e l’anno successivo ha vinto di nuovo il campionato del mondo. Valentina Vezzali, 41 anni, schermitrice, ha vinto tutto ripetitivamente, non le basta ancora e vuole andare a Rio. Per non parlare di Andrea Pirlo e Gigi Buffon e del sogno che stanno vivendo in questi giorni con la Juventus. Valutiamo questi uomini e donne per le loro prestazioni ma non per l’età. Soprattutto impariamo da loro, perché sono un esempio di mentalità combattiva di fronte alle difficoltà e di umiltà nell’affrontare i sacrifici quotidiani che sono necessari per ritornare a eccellere nel loro sport, senza avere la certezza di riuscire in questa impresa.

(Da Huffington Post)

Le parole del calcio: umiltà, convinzione e motivazione

“Non ci siamo calati nei panni della partita. Pari utile almeno a riportarci coi piedi per terra” (Allegri, allenatore Juventus).

“Prima facevamo paura, eravamo più convinti” (Florenzi, calciatore Roma)

“La fiducia di Mancini è fondamentale per i miei compagni e per me. Lui mi dà motivazione ed entusiasmo ogni giorno” (Guarin, calciatore Inter).

Umiltà, convinzione e motivazione sono i concetti chiave espressi in queste frasi. Al di là della tecnica e del talento se in una squadra mancano queste qualità mentali tutto il resto vale meno che niente.

Coraggio e umiltà

L’allenatore degli All Blacks ha detto recentemente in una conferenza che la mentalità guerriera dei suoi giocatori si basa sull’equilibrio fra coraggio e umiltà: essere capaci di fare cose straordinarie ma sapere anche recuperare rapidamente dagli errori, sapersi risollevare rapidamente e vincere.

Questa capacità distingue i campioni dagli altri bravi atleti: Ne sono un esempio:

Roger Federer  che cambia gioco per continuare a restare al suo livello compensando le difficoltà fisiche con un aumento dell’efficacia del servizio e con più frequenti discese a rete. Cambiare per limitare i limiti e continuare a vincere.

Valentino Rossi è ritornato a vincere un MotoGP dopo molto tempo, stabilendo il record di più anziano vincitore, non ha rinunciato a questa opportunità e alla fine ci è riuscito.

Tiger Woods da 60° del ranking mondiale anzichè ritirarsi, in tre anni è ritornato a essere n.1

Giovanni Pellielo ha perso le olimpiadi di Londra ma l’anno successivo ha vinto il campionato del mondo ed è già qualificato per quelle di Rio

Imparate da loro, non basta il talento ci vuole coraggio e umiltà.

Jason Day: un bagno di umiltà

Quando la palla va in acqua, via le scarpe e pantaloni arrotolati … così ha fatto Jason Day alla buca due nel corso del Pga Championship al Valhalla Golf Club di Louisville. Non solo un bagno nell’acqua ma anche un bagno di umiltà per mantenere sempre presente a se stessi quanto è difficile fare bene.