L’età è solo un numero e sebbene non possiamo fermare il tempo, possiamo comunque influenzare come viviamo la nostra età.
Stai meno seduto e muoviti di più.
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L’età è solo un numero e sebbene non possiamo fermare il tempo, possiamo comunque influenzare come viviamo la nostra età.
Stai meno seduto e muoviti di più.
Questo studio riguarda 40 atleti master di età compresa fra 40 e 81 anni, che si allenano 4/5 volte la settimana nella corsa, nuoto o ciclismo. I muscoli delle gambe e la forza non si sono ridotti significativamente con il progredire dell’età …
Mark Sertich, 96 anni, è il più vecchio giocare di hockey su ghiaccio al mondo in attività. Il video mostra la sua routine quotidiana, quando guida dalla sua casa al palazzetto e gioca nella città di Duluth.
“Raramente penso alla mia età” dice Sertich “Non è così importante, a meno che tu non la faccia diventare un fattore”.
Lo sport giovanile sta diventando un problema e un articolo pubblicato sulla rivista del comitato olimpico americano aiuta a capire quali possono essere le ragioni e le eventuali proposte di soluzioni. Le riporto in una breve sintesi ma l’articolo di Christine M. Brooks (Summer 2016) è certamente più ampio e interessante da leggere.
“Eh già, io sono ancora qua” canta Vasco Rossi e lo stesso dicono Valentino Rossi e Roger Federer. Sono arrivati ambedue secondi, dimostrando ancora un volta di valere il primo e il secondo posto nella classifica mondiale. Molti li hanno dati per spacciati in tante occasioni, affermando che non sapevano più vincere, che erano vecchi, che il fisico non li sorreggeva più.
Probabilmente sono obiezioni che per un po’ di tempo sono state vere, ma qualsiasi atleta attraversa momenti come questi, spesso i campioni li superano cambiando qualcosa nel loro modo di allenarsi e di vivere le competizioni. Con più probabilità gli altri affondano, perché usano questi momenti negativi come alibi per ritirarsi a causa di qualcosa che considerano superiore a loro. Nei commenti spesso ci si sofferma sulla loro età come fosse un limite imprescindibile, una caratteristica a cui bisogna arrendersi.
Sento dire: “Federer è vecchio e non è più in grado di reggere che pochi scambi, altrimenti perde il punto”. Ma quanti vorrebbero avere questa difficoltà pur di essere secondi al mondo? Dicono anche che a causa di questo limite ha dovuto cambiare modo di giocare. È vero, ma perché dare a questo cambiamento una connotazione negativa? E non invece sottolineare la sua determinazione nel cambiare per continuare a restare al vertice della classifica mondiale. Lo stesso si diceva fino all’anno scorso di Valentino Rossi: “Perché non si ritira anziché collezionare risultati deludenti?”.
Il coro del “perché non abbandona” lo hanno subito anche altri campioni. In Italia Giovanni Pellielo, nel tiro a volo, dopo tre medaglie in tre olimpiadi diverse, a Londra, a 42 anni, non entrò in finale e anche qui le stesse voci, non ci ha fatto caso, si è allenato e l’anno successivo ha vinto di nuovo il campionato del mondo. Valentina Vezzali, 41 anni, schermitrice, ha vinto tutto ripetitivamente, non le basta ancora e vuole andare a Rio. Per non parlare di Andrea Pirlo e Gigi Buffon e del sogno che stanno vivendo in questi giorni con la Juventus. Valutiamo questi uomini e donne per le loro prestazioni ma non per l’età. Soprattutto impariamo da loro, perché sono un esempio di mentalità combattiva di fronte alle difficoltà e di umiltà nell’affrontare i sacrifici quotidiani che sono necessari per ritornare a eccellere nel loro sport, senza avere la certezza di riuscire in questa impresa.
(Da Huffington Post)
Ti è mai capitato che ciò che ti veniva facile qualche anno fa, ora non lo fai più!
Le scienze dello sport si occupano delle prestazioni di quei soggetti giovani, chiamati atleti, che devono fornire le cosiddette prestazioni eccellenti. In nome di questo risultato è previsto che qualsiasi forma legale di allenamento sia ricercata e giustificata. Si gioca sul concetto che lo sport è un’attività scelta volontariamente e che pertanto gli allenatori e gli scienziati sono nel giusto quando decretano allenamenti che a loro avviso dovranno produrre questi risultati eccezionali. Chi non vuole adeguarsi può fare solo della poesia ma non vincere.
Quando gli stessi scienziati e allenatori si interessano invece a coloro che non sono classicamente identificabili come atleti (definizione ottenuta principalmente guardando l’età cronologica) il paradigma precedente non vale più. L’ideologia dominante diventa quella del benessere (chi lo definisce?) che prevede un’attività moderata da svolgere al massimo a giorni alterni. Se poi si supera la mezz’età lo sport è spesso considerato come pericoloso.
Questa concezione dell’essere umano è per forza semplificata e ambedue sono sbagliate ma la scienza (psicologia compresa) partecipa a diffondere questa immagine riduttiva. Commenti?