Il gesto di Delio Rossi è ovviamente da condannare e sicuramente rappresenta l’esito finale di un grado di tensione diventato per l’allenatore intollerabile. L’aspetto più grave è la mancanza di controllo che non è giustificabile in nessun modo e che dimostra la difficoltà di un uomo a gestire in modo adeguato situazioni di tensione. In questi casi si sente dire “si è persa la testa”, un po’ come nel caso della testata di Zidane a Materazzi. Certo il gesto attrae l’attenzione ma bisogna conoscere cosa è che è portato a questa reazione, perché se Rossi vuole capirsi e cambiare è dagli antecedenti che deve partire. Come mai non li aveva metabolizzati? Ne era consapevole? Spesso dico che gli allenatori di calcio avrebbero bisogno di servirsi di un consulente psicologo che li aiuti a vivere e gestire meglio meglio la loro carriera professionale. Se Rossi l’avesse avuto questo probabilmente non sarebbe successo. Anziché coltivare troppo spesso solo il loro orgoglio, perché non riflettono che la loro esposizione pubblica non li rende più forti ma più vulnerabili. Perché i manager l’hanno capito e vivono questa opportunità come un benefit che l’azienda offre loro?
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Sono d’accordo con Delio Rossi quando afferma che alla Fiorentina non serve lo psicologo. Credo infatti che proprio dato il valore del lavoro di allenatore e quello della squadra dovrebbe servirsi sempre di un consulente psicologo dello sport. Invece l’idea dello psicologo che dimostra di avere è di scelta da ultima spiaggia, un pronto soccorso per le situazioni disperate. Al contrario alla Fiorentina basterà “lavorare sodo”, concetto che però non ha spiegato.
Spesso gli allenatori parlano di “atteggiamento giusto”, con il quale si possono fornire grandi prestazioni. Facile a richiedersi agli atleti, più difficile da insegnare e da sapere riproporre ogni volta. A noi psicologi viene chiesto di insegnare ad avere questo modo di essere e anche per noi è tutt’altro che facile. Comunque avere fra i nostri strumenti la competenza di apere rispondere a questa richiesta è un fattore estremamente importante. Ecco uno spunto per chi vuole allenatore o psicologo cimentarsi nel trovare quale sarebbe la sua risposta. Per ognuno di noi una riflessione da cui partire può essere di pensare a quale è stato il nostro atteggiamento giusto nelle prove più importanti che abbiamo superato, che ovviamente non bisognerà di certo imporre agli altri. Esercizio utile non solo per conoscerci meglio ma anche per capire la difficoltà d’identificare questa particolare condizione psicologica.
Allenarsi a gareggiare è importante. Sembra paraddossale pensare che il competere sia una parte essenziale dell’allenamento. In tutti gli sport ma soprattutto in quelli individuali in cui la responsabilità della prestazione è totalmente sulla spalle dell’atleta, bisogna imparare a dominare e gestire efficacemente le tensioni che si provano mentre si vivono questi tipi di prove. Se si fa male bisogna imparare a reagire per concludere in modo positivo e se si fa bene bisogna reggere l’incremento della tensione che si avverte andando avanti nella gara senza lasciarsi divorare dall’emozione. Per affrontare queste situazioni è necessaria la tecnica ma a questo punto ciò che conta è sapere impegnarsi mentalmente in modo corretto. Partecipare alle competizioni permette questo tipo di apprendimento, a patto però di essere seguiti da allenatori o psicologi che ragionino in questo modo e che di conseguenza aiutino l’atleta a imparare da queste gare, con lo scopo di raggiungere il top mentale nelle gare decisive.
Risolutive le parole di Allegri che liquida quanto affermato dai suoi giocatori come scuse e che vuole grinta e determinazione. Certamente gli infortuni mentali non si vedono mentre gli effetti di un bel calcione sì, quindi questo va curato mentre il primo non esiste. E’ un peccato che gli allenatori debbano ancora fare queste affermazioni in pubblico, vuole dire che coniderano una difficoltà mentale o uno stato d’animo che non corrisponde allo spirito guerriero come qualcosa di cui non si deve parlare e che probabilmente è solo un’esagerazione dei media. D’altra parla non sono mica psicologi. La psiche è trattata nel calcio come l’omosessualità: non esiste. Un consiglio prendete uno psicologo dello sport in squadra.
Il bello sport è il “giorno della verità”, la gara, non c’è nulla che possa dare le stessa intensità emotiva. La sfida è: “Sei pronto? Dimostralo.” Significa fornire la migliore prestazione di cui si è capaci. Credo che chi non ha mai vissuto questa richiesta (in qualsiasi situazione della vita) si trovi in difficoltà a capire cosa voglia dire vivere questo momento. Per me significa, non solo avere la consapevolezza di avere svolto il lavoro che avrei dovuto nelle settimane precedenti, ma anche dire/fare (che spesso comporta anche non dire/non fare) ciò che è meglio per ottenere il risultato migliore. Il pregara è fatto di momenti e sensazioni che non solo gli atleti ma anche coloro che gli stanno vicino devono sapere sfruttare. Sono momenti delicati in cui l’atleta si aspetta qualcosa o non vuole niente perchè è a posto, chi gli sta vicino vive la stessa situazione ma con un ruolo diverso e bisogna che le aspettative reciproche s’incontrino.
Non basta allenare il corpo, anche la mente deve avere il suo preparatore. Per questo i calciatori tedeschi vogliono lo psicologo nello staff tecnico. La richiesta e’ stata avanzata dall’Assocalciatori alle 36 societa’ che formano i due maggiori campionati, a quattro giorni dal ricovero del portiere dell’Hannover, Markus Miller, colpito da sindrome depressiva. ”Per noi e’ un obiettivo primario”, ha dichiarato il presidente dell’Assocalciatori tedesca, Ulf Baranowsky.
Ieri la Gazzetta dello sport ha pubblicato un’altra di una psicologa dello sport a sostegno della necessità di essere formati professionalmente. Bene!
Intanto alcuni suggerimenti su come distinguere i competenti dagli altri.
In relazione al programma di allenamento mentale:
- presentare il proprio approccio all’atleta,
- valutarne le abilità psicologiche,
- Stabilire su quali competenze psicologiche organizzare il programma,
- Definire come sviluppare questo programma,
- Valutare il programma.
Partiamo da questo poi integreremo questi aspetti con lo stile comunicativo e la disponiblità dello psicologo; infine diremo anche gli errori da evitare.
Ho letto l’articolo di Andrea Buongiovanni sulla Gazzetta dello Sport e sono molto dispiaciuto dell’esperienza vissuta da Carolina Kostner con lo psicologo, ha fatto bene a esprimere pubblicamente quello che pensa. Lo psicologo dovrebbe servire ad arricchire l’esperienza agonistica, dialogando con l’atleta per individuare idee e strumenti utili a migliorare se stessi e le proprie prestazioni ed evidentemente in questo rapporto di consulenza ciò non è avvenuto.
Sono anche preoccupato che quanto detto non porti altri a considerare che la consulenza psicologica in ambito sportivo sia inutile se non dannosa, quando invece questa disciplina è insegnata nelle Università e in Italia abbiamo realizzato una collaborazione fra sette Università per realizzare un master di II livello per formare professionalmente i giovani laureati in psicologia a questa attività. Voglio, pertanto, sottolineare gli sforzi che in molti stiamo facendo per uscire dalla selva di motivatori non psicologi e psicologi poco formati allo scopo di dare allo sport per tutti o di livello assoluto l’opportunità di scegliere il proprio consulente fra professionisti competenti e etici.
Del Neri più che caricare se stesso con l’affermazione “resto al 100%” avrebbe dovuto caricare la squadra. Continuo a ritenere che molti allenatori avrebbero bisogno di un consulente psicologo per gestire meglio se stessi e la squadra.