Archivio mensile per settembre, 2022

Il significato della grinta: una conversazione con Angela Lee Duckworth

La resilienza, grinta e ottimismo sono dimensioni psicologiche importanti per ogni atleta che voglia coltivare i propri talenti.

Di seguito il pensiero di Angela Lee Duckworth una delle principali esperte in questo ambito di studio.

“Si tratta di una definizione specifica di resilienza, ovvero l’ottimismo: valutare le situazioni senza distorcerle, pensare ai cambiamenti che è possibile apportare alla propria vita. Ma ho sentito altre persone usare la resilienza per indicare la capacità di riprendersi dalle avversità, cognitive o di altro tipo. E alcune persone usano il termine “resiliente” per riferirsi a bambini che provengono da ambienti a rischio e che tuttavia riescono a prosperare.

Ciò che accomuna tutte queste definizioni di resilienza è l’idea di una risposta positiva al fallimento o alle avversità. La grinta è correlata perché parte di ciò che significa essere grintosi è essere resilienti di fronte al fallimento o alle avversità. Ma questa non è l’unica caratteristica necessaria per essere grintosi.

Nella scala che abbiamo sviluppato negli studi di ricerca per misurare la grinta, solo la metà delle domande riguardano la risposta resilienza a situazioni di fallimento e di avversità o di essere un gran lavoratore. L’altra metà del questionario riguarda avere interessi coerenti per un lungo periodo di tempo. Questo non ha nulla a che fare con i fallimenti e le avversità.

Significa che si sceglie di fare una cosa particolare nella vita e si sceglie di rinunciare a molte altre cose per poterla fare. E si rimane fedeli a questi interessi e obiettivi a lungo termine. Quindi la grinta non è solo resilienza di fronte al fallimento, ma anche un impegno profondo a cui si rimane fedeli per molti anni.

Uno dei primi studi che abbiamo condotto è stato condotto presso l’Accademia militare di West Point, dove viene diplomato circa il 25% degli ufficiali dell’esercito americano. L’ammissione a West Point dipende in larga misura dall’intero punteggio dei candidati, che comprende punteggi del SAT, la capacità di leadership dimostrata e l’attitudine fisica. Anche con un processo di ammissione così rigoroso circa 1 cadetto su 20 abbandona il corso durante l’estate di addestramento prima del primo anno accademico.

Eravamo interessati a capire quanto la grinta potesse predire chi sarebbe rimasto. Così abbiamo fatto compilare ai cadetti un breve questionario sulla grinta nei primi due o tre giorni dell’estate, insieme a tutti gli altri test psicologici che West Point. Poi abbiamo aspettato fino alla fine dell’estate.

Di tutte le variabili misurate, la grinta è stata il miglior predittore di quali cadetti sarebbero rimasti durante la prima difficile estate. In effetti, era un fattore predittivo migliore del punteggio totale dei candidati, che all’epoca West Point riteneva essere il miglior fattore predittivo di successo. Il punteggio complessivo dei candidati non aveva in realtà alcuna relazione predittiva con l’abbandono o meno dell’estate (sebbene fosse il miglior predittore dei voti successivi, del rendimento militare e delle prestazioni fisiche).

La pratica sportiva e motoria in Europa: i nuovi dati

Nuovo Eurobarometro sullo sport e l’attività fisica 2022

È stata pubblicata il 19 settembre scorso l’edizione aggiornata dell’Eurobarometro 2022 sullo sport, lo studio della Commissione Europea che descrive lo stato dell’arte della pratica sportiva nei vari Paesi UE. Si tratta di un’edizione importante, la prima dell’era post-restrizioni da Covid-19.

  1. Il 38% degli europei fa sport e attività fisica almeno una volta alla settimana, rispetto al 17% che la pratica meno di una volta alla settimana.
  2. Il 45% degli europei non pratica mai una disciplina sportiva e un’attività fisica.
  3. Italia, il 3%  dichiara di fare attività sportiva regolarmente, contro il 6% dell’UE.  Il 31% pratica sport con una certa regolarità e il 10% dichiara di praticarlo raramente. Non pratica mai un’attività sportiva il 56% della platea italiana rispetto al 45% della platea europea. Il 28%, invece, afferma di praticare altre attività fisiche con una certa regolarità come andare in bicicletta, ballare, fare giardinaggio.
  4. Praticano con una certa regolarità coloro di età compresa tra i 15 e i 24 anni, che rappresentano il 54%.
  5. Motivazioni in Italia: migliorare la propria salute (48%), desiderio di sentirsi in forma (42%) e provare nuovi metodi di rilassamento (31 %).
  6. Ostacoli: mancanza di tempo, mancanza di motivazione o interesse nello sport. Questo dato interessa il 40%.
  7. Volontà di svolgere attività fisica e sportiva all’aperto, seguita dall’intenzione di svolgerla nella propria abitazione (16%).
  8. Più di quattro europei su dieci trascorrono tra le 2 ore e 31 minuti e le 5 ore e 30 minuti seduti in una giornata normale. In Italia la sedentarietà interessa il 42% delle persone intervistate.
  9. Genere: gli uomini risultano praticare attività fisica con più regolarità rispetto alle donne (70% vs 62%).
  10. UE: tassi di inattività fisica rimangono “allarmanti”. La percentuale di europei che non svolgono mai attività fisica o non praticano mai uno sport sia leggermente diminuita tra il 2017 e il 2022, è cresciuta dal 2009, passando dal 39% al 42% nel 2013, al 46% nel 2017 e al 45% nel 2022.

Motivazione dei giovani orientati alla crescita

I giovani orientati alla crescita e al miglioramento preferiscono:

  1. Essere riconosciuti per il loro impegno, poiché sono consapevoli che l’origine della loro riuscita sono l’impegno e la pratica intenzionale.
  2. Affrontare le sfide poiché forniscono i feedback essenziali sulle loro abilità e sull’opportunità d’imparare.
  3. Pianificare, monitorare e regolare maggiormente i loro pensieri in relazione a compiti differenti.
  4. Essere consapevoli di cosa è sotto il loro controllo diretto.

Cosa fai come allenatore per favorire lo sviluppo di questi atteggiamenti e modi vivere lo sport?

 

 

 

Tennis tavolo: campionati del mondo a squadre

Iniziamo i mondiali a squadre di tennis tavolo. FORZA ITALIA!

Formidabile Giorgia Piccolin, batte Matelova ed è negli ottavi agli Europei

Determinazione  di Giorgia Piccolin ”</p

Gli effetti del cervello online

Firth J, Torous J, Stubbs B, Firth JA, Steiner GZ, Smith L, Alvarez-Jimenez M, Gleeson J, Vancampfort D, Armitage CJ, Sarris J. The “online brain”: how the Internet may be changing our cognition. World Psychiatry. 2019 Jun;18(2):119-129.

L’impatto di Internet su molteplici aspetti della società moderna è evidente. Tuttavia, l’influenza che può avere sulla struttura e il funzionamento del nostro cervello rimane un argomento centrale di indagine. In questa sede ci basiamo sulle recenti scoperte psicologiche, psichiatriche e di neuroimmagine per esaminare diverse ipotesi chiave su come Internet possa cambiare la nostra cognizione.

In particolare, esploriamo il modo in cui le caratteristiche uniche del mondo online influenzano:

  1. le capacità attentive, in quanto il flusso di informazioni online, in continua evoluzione, sollecita la nostra attenzione divisa su più fonti mediatiche, a scapito della nostra  concentrazione prolungata;
  2. i processi della memoria, in quanto questa vasta e onnipresente fonte d’informazione online inizia a modificare il modo in cui immagazziniamo, recuperiamo e valutiamo la conoscenza;
  3. la cognizione sociale, in quanto capacità dei contesti sociali online di assomigliare e di evocare la realtà e i processi sociali del mondo reale, crea una nuova interazione tra Internet e la nostra vita sociale, compresi il nostro concetto di sé e l’autostima.

Nel complesso, le prove disponibili indicano che Internet può produrre alterazioni sia acute che durature in ciascuna di queste aree cognitive, che possono riflettersi in cambiamenti a livello cerebrale. Tuttavia, una priorità emergente per la ricerca futura è quella di determinare gli effetti dell’uso estensivo dei media online sullo sviluppo cognitivo nei giovani, ed esaminare come questo possa differire dai risultati cognitivi e dall’impatto cerebrale dell’uso di Internet negli anziani.

Concludiamo proponendo come la ricerca su Internet possa essere integrata in contesti di ricerca più ampi, per studiare come questo nuovo aspetto senza precedenti della società possa influenzare la nostra cognizione e il cervello nel corso della vita.

Eliud Kipchoge: quando i sogni diventano record

A 38 anni il keniano Eliud Kipchoge ha tolto quasi un minuto al suo precedente record del mondo in maratona con il tempo 2h01m09s. Ha vinto 15 delle 17 maratone che ha corso e due ori alle olimpiadi di Rio e Tokyo. Sposato con figli, lo stesso allenatore da sempre, dovessi usare poche parole per parlare di lui, direi che è un atleta che si basta. 

Kipchoge è veramente un tutt’uno con quello che fa. E’ quello che corre 230km alla settimana, che si lava a mano in una bacinella la sua divisa da corsa, che vive in una stanza spartana di un centro sportivo in Kenia, che mangia cibi della tradizione della sua terra, che legge Confucio piuttosto che Paolo Coelho, che è tranquillo e corre seguendo il suo orologio interiore che gli dà il ritmo, che scrive su un quaderno le sensazioni della corsa e come lavorano il suo corpo e la mente.

E’ totalmente coinvolto in quello che fa, anche se è una star mondiale. Sponsor e successo possono facilmente distrarre chiunque, allontanando dal continuare a fare quanto serve per raggiungere i propri sogni. Queste sue abitudini gli mantengono il legame con il piacere di faticare e di trovare soluzioni per essere più forte della fatica stessa. Sono il legame con il cuore della sua motivazione, che consiste nel provare piacere per quello che fa e nell’accettare per questo fine, di vivere una vita in cui la fatica è un’esperienza continua e decisiva.

Vince chi riesce a dare un senso di crescita personale a questo legame tra piacere e fatica.

Giovani con disabilità intellettiva: le competenze dei professionisti

Inizia una nuova stagione sportiva anche per i giovani disabilità intellettiva. E’ bene ricordare che sono ancora troppo pochi quelli che hanno accesso a programmi sportivi. In relazione a farli partecipare a giochi di squadra vi è ancora una concezione che a questi siano preferibili sport individuali. Personalmente non ne sono convinto poichè da 7 anni come Accademia di Calcio Integrato svolgiamo un progetto con la AS Roma proprio rivolto all’insegnamento del calcio e abbiamo documento in diversi lavori scientifici gli effetti positivi di questo progetto.

Mi sembra, invece, che una lacuna presente in molti programmi sportivi per giovani con disabilità intellettiva sia la ridotta competenza professionale specifica di chi lavora con questi giovani e che potrebbero mancare delle competenze necessarie per programmare e realizzare programmi efficaci. Voglio quindi riportare quello che secondo noi dell’Accademia di Calcio Integrato dovrebbe essere il profilo del professionista coinvolto in queste attività.

  1. Competenze scientifiche e professionali specifiche: laurea in scienze motorie, psicologia dello sport o logopedia.
  2. Essere convinti che lo sport è un’attività fondamentale per migliorare la condizione psicologica e sociale dei bambini e degli adolescenti con disabilità intellettiva.
  3. Essere predisposti all’interazione sul campo con i giovani, partendo dalle proprie competenze e/o esperienze sportive acquisite attraverso la carriera sportiva o lo studio del movimento.
  4. Accettare le frustrazioni derivate dai lenti miglioramenti di questi giovani, mostrandosi sempre convinto delle possibilità che possano comunque migliorare nel rispetto dei loro tempi e dei loro problemi.
  5. Essere entusiasti e dinamici sono due caratteristiche psicologiche indispensabili per essere accettati da questi giovani e per trasmettere la convinzione che si può imparare nonostante le loro limitazioni.
  6. Amare lo sport poiché l’attività in campo è piuttosto impegnativa e stancante, per cui certamente chi pratica lo sport ha maggiori opportunità d’inserirsi in questo ambito in cui l’attività è per tutti organizzata con specifiche unità didattica da fare seguire ai giovani.
  7. Essere pazienti e tenaci per  avere la disponibilità a ripetere e poi ancora ripetere gli insegnamenti quante volte è necessario senza interagire in modo negativo, arrabbiato o deluso con i giovani, che sono più degli altri sensibili ai cambiamenti emotivi dei loro insegnanti.

L’ultima partita della coppia Federer-Nadal si chiude tra le lacrime

Roger Federer: "Una volta rifiutai di giocare il doppio con Rafael Nadal"

Futuro della popolazione: meno residenti, più anziani e famiglie più piccole

Le nuove previsioni sul futuro demografico del Paese, aggiornate al 2021, confermano la presenza di un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 a 57,9 mln nel 2030, a 54,2 mln nel 2050 fino a 47,7 mln nel 2070.

Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050.

Sul territorio entro 10 anni in quattro Comuni su cinque è atteso un calo di popolazione, in nove su 10 nel caso di Comuni di zone rurali.

In crescita le famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà.

Entro il 2050 gli over65 anni rappresenteranno il 34,9% della popolazione.

I giovani fino a 14 anni di età, rappresenteranno entro il 2050 l’11,7%.

Ci sarà un rapporto squilibrato tra over65 e ragazzi, in misura di circa tre a uno.

Un parziale riequilibrio nella struttura della popolazione potrebbe rivelarsi solo nel lungo termine, via via che le generazioni nate negli anni del baby boom tenderanno a estinguersi. In base allo scenario mediano, i 15-64enni potrebbero riportarsi al 54,3% entro il 2070 mentre gli over65 ridiscendere al 34,1%. Stabile, invece, la popolazione giovanile con un livello dell’11,6%.

Tennis, Badosa: +aspettative = -attenzione al gioco

Sembrava tutto pronto per l’ascesa definitiva di Paula Badosa nello stardom del tennis femminile, ma il 2022 che si prospettava essere l’annata della consacrazione è stato finora piuttosto deludente (l’ultima sconfitta ieri a Tokyo contro la 19enne cinese Qinwen Zheng). Un paradosso se si considera che Badosa ad un certo punto di questa stagione, precisamente dopo il torneo di Stoccarda, è diventata la numero due del mondo, una posizione mantenuta però soltanto due settimane. Come si è arrivati dal numero due del mondo all’ormai noto tweet di questa mattina di Badosa? “Non vinco nemmeno al parchìs“. Una frase forte per una tennista che attualmente è al numero otto del mondo che però sta vivendo una fase complicata a livello emozionale. Il riferimento al parchìs è tipicamente spagnolo, un gioco da tavolo con i dadi in cui quattro giocatori si sfidano per raggiungere un obiettivomolto famoso in Spagna e con qualche similitudine con il gioco dell’oca. Una metafora che tradisce la frustrazione di Badosa che nel tweet dopo ha ringraziato tutti per il supporto, aggiungendo che continuerà a lottare”.

Questa notizia mette in evidenza quanto sia sempre difficile ottenere risultati che corrispondano agli standard di risultato che un’atleta si è posta. A prima vista sembrerebbero situazioni più tipiche di un’età adolescenziale quando ancora non si conoscono bene le proprie qualità, invece si tratta di esperienze di atlete di livello mondiale assoluto. Infatti, La badessa no è l’unica a vivere queste crisi basti ricordare la Osaka o le difficoltà di molte altre top 10.

Un’indagine che ho condotto con Robert Nideffer e Jeff Bond (ex-direttore dell’Australian Institute of Sport) su atleti di livello mondiale assoluto ha mostrato che la differenza tra i vincitori di una medaglia olimpica e quelli che ne avevano vinte in numero maggiore, i cosiddetti, vincitori seriali consisteva essenzialmente nella maggiore capacità di questi ultimi di restare concentrati sul compito.

Questo risultato starebbe a indicare che i vincitori seriali non si fanno distrarre dalle loro aspettative e quelle del loro ambiente, pensano meno al risultato, sono meno influenzati dall’ambiente esterno e mostrano invece un focus totale su come performare al loro meglio. Altre indagini condotte prevalentemente in atletica hanno a loro volta mostrato che, per questi atleti, le ultime due ore che precedono la gara sono determinanti per attivare questa modalità attentiva.