Archivio mensile per luglio, 2022

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Il bellissimo ciclismo di Vingegaard e Pogacar

Il Tour de France ci ha riportato alle grandi sfide del passato, quelle tra ciclisti che voglio vincere e si danno battaglia. Vingegaard e Pogacar quest’anno ci hanno fatto vivere questa condizione epica con il loro duello senza fine. Mancava da molti anni questo confronto diretto come quello del periodo leggendario del ciclismo fra Coppi e Bartali.

Per molti anni queste gare sono state territorio solo di grandi squadre che dominavano principalmente  grazie all’organizzazione di squadra (per non parlare degli anni anni ruggenti del doping). Questi due atleti di 23 e 25 anni ci hanno trasmesso invece il piacere del tentare il tutto per tutto che è una delle dimensioni tipiche del ciclismo. Ci hanno anche dimostrato la loro correttezza, quando oggi Pogacar è caduto in discesa e il suo avversario ha rallentato per aspettarlo. Un gesto da campione che non vuole vincere approfittando di una caduta accidentale dell’altro.

Il ciclismo a tappe a uno sport di fatica totale, dove si vede lo sforzo in modo evidente. Dove c’è anche la passione delle centinaia di migliaia di spettatori che aspettano su una montagna per tutto il giorno di vedere passare i corridori per qualche secondo. Non c’è un altro sport che ha questo tipo di pubblico.

Nonostante lo sviluppo tecnologico, scientifico e organizzativo il ciclismo continua a restare uno sport semplice dove vince chi ne ha di più nelle gambe. Questa è una buona notizia.

L’ignoranza è un carcere

La mia passione per gli sport di fatica

Il ciclismo delle grandi classiche e delle corse a tappe mi ha sempre entusiasmato. A casa da bambino sentivo parlare di Coppi e Bartali e quando andavo in montagna a 12/13 anni quando correvano per superarci prendevamo i nomi dei ciclisti, e prendevo sempre il nome di Pambianco. Fino a 16 anni sono andato molto in bici, partendo da Torino e andando in montagna sulle strade militari. Con una Legnano con quattro cambi.

Poi ho lasciato la bici per andare più di frequente in montagna, all’epoca questi tour di più giorni non si chiamavano trekking ma campo mobile. Ora ho ripreso a usarla, visto che la corsa è diventata un po’ troppo logorante.  La bici mi piace sempre e mi permette di stare in mezzo alla natura e all’aria aperta.  Bici, montagna e corsa sono ciò che mi piace fare e ho la fortuna di avere amici con cui poterle fare anche se spesso mi trovo anche da solo.

Queste attività mi hanno insegnato ad accettare la fatica e a distribuire le risorse fisiche e mentali Ho imparato quando facevo le medie e già a quella età diversi amici abbandonavano, proprio perchè non gli piaceva affrontare la fatica, faceva troppo freddo o caldo o si doveva alzarsi presto la mattina. Non so da dove nasca questa mia motivazione, ho provato a giocare a basket, a pallavolo e a calcio ma mi annoiavano mentre mi è sempre piaciuto fare una corsa o una pedalata. Non sono mai stato interessato a diventare un atleta, volevo studiare psicologia e talvolta per realizzare questo obiettivo o per affermarmi come professionista ho rinunciato allo sport, riprendendolo appena possibile.

Comunque mi sono chiesto per quali ragioni scrivo queste riflessioni. In questi giorni sto guardando, quando posso, il Tour de France e mi sono venuti in mente questi pensieri, quanto è bello stare all’aria aperta, guardare questi giovani lottare proprio quando sono stanchi, vederli dare tutto se stessi quale che sia l’energia che hanno dentro e, poi via così giorno dopo giorno per tre settimane.

Mi considero fortunato ad avere avuto queste passioni ma anche a continuare praticarle.

Non abbiamo bisogno di un consiglio per ogni passo che facciamo

Siamo bombardati continuamente da consigli e regole su come fare sport. Riceviamo consigli su come fare attività motoria all’alba, su quanto dobbiamo bere quando fa caldo, sull’abbigliamento migliore per l’inverno piuttosto che per l’estate, su come dare continuità ai nostri allenamenti, su cosa prestare attenzione quando corriamo, sulla musica più adatta in funzione dell’intensità dell’attività e così via all’infinito.

Mi chiedo se questo bisogno indotto e, in parte, anche richiesto dalle persone non sia un modo per rinunciare a decidere in prima persona come fare un’attività e ad affidarsi completamente alle regole proposta da altri.

Se devo consultare un esperto per sapere a che ora è meglio camminare per 30 minuti in estate e quanto devo bere durante il giorno rinuncio di fatto alla mia autonomia come individuo, rinuncio anche a sperimentare cosa è meglio per me e divento una persona che si adegua e che rinuncia a sviluppare una competenza anche attraverso gli errori.

Ora giacche non sia sta parlando di allenamenti da campione olimpico ma di attività piuttosto elementari, questo abbandono della propria autonomia nelle mani di altri la trovo ingiustificabile e poco rispettosa delle proprie capacità.

Gli esperti se ci si vuole allenare in modo continuativo e con dei miglioramenti evidenti e adeguati al tempo che s’intende spendere in quell’attività. Ma ribelliamoci a questa valanga di consigli che quando fa caldo ci dicono di vestirci leggeri e di non uscire nelle pre più calde. Non abdichiamo alla nostra capacità critica di ragionare, altrimenti diventeremo adulti che hanno di babysitter per svolgere la loro vita quotidiana.

Non dimentichiamoci di camminare

Nonostante l’eccezionale caldo di questi giorni non si deve comunque eliminare qualsiasi forma di attività motoria, soprattutto quella più semplice e comune: il camminare. Certamente si deve scegliere le ore iniziali della mattina o quelle della sera. Si può iniziare anche con un passo più lento di quello abituale, usando come criterio di valutazione dello sforzo, la possibilità di potere parlare senza percepire uno sforzo particolare.

Durante questa passeggiata è importante vivere con piacere il momento presente, un passo dopo l’altro.

Può essere utile esercitare un controllo sulla respirazione mantenendo la propria inspirazione abituale e cercando di allungare di 3/4 secondi la fase espiratoria. In questo modo, il passo continuerà a essere coordinato e la camminata scorrerà in modo rilassato.

Una camminata di 30 minuti è più che sufficiente per ottenere benefici sul sistema cardiocircolatorio e sul tono muscolare e anche sul miglioramento dei propri stati d’animo.

Camminare insieme ad altre persone con cui condividere questa esperienza è certamente più piacevole che camminare da soli. Stimola inoltre la motivazione soprattutto nelle fasi iniziali di questa attività motoria e permette di farla diventare un appuntamento quotidiano da non dimenticare.

 

Correre è …

Idee guida per lo sport giovanile del Comitato Olimpico Internazionale

Bergeron MF, Mountjoy M, Armstrong N, et al. International Olympic Committee consensus statement on youth athletic development Br J Sports Med 2015;49:843–851. 

  1. Lo stress psicologico può avere effetti sia formativi che logoranti sull’individuo.
  2. Il sovraccarico psicologico, tuttavia, si verifica quando il livello di stress diventa eccessivo e non produce più una risposta positiva.
  3. Gli atleti giovani sono sempre più esposti a richieste e aspettative inadeguate e irrealistiche, con conseguente sovraccarico psicologico (indotto da sé o dall’allenatore/dai genitori).
  4. Il modo in cui gli atleti giovani percepiscono e affrontano questi fattori di stress non è né prevedibile né benevolo, e il burnout degli atleti e il conseguente abbandono dello sport sono una parte riconosciuta dello sport giovanile competitivo.
  5. L’uso di criteri basati sulle prestazioni (ad esempio, i livelli di cortisolo a riposo e il test Profile of Mood) può facilitare l’individuazione precoce dei giovani a rischio di burnout.
  6. Esiste anche la possibilità di sviluppare tendenze perfezionistiche disadattive, indotte dalle elevate aspettative e critiche dei genitori.
  7. Il disturbo depressivo diffuso (spesso non riconosciuto) è particolarmente diffuso nelle ragazze adolescenti e lo stress psicosociale di un ambiente sportivo giovanile non sano o di un infortunio potrebbe esacerbare il rischio e i livelli di depressione e ansia.
  8. Sembra promettente fornire agli atleti giovani specifiche capacità di coping attraverso l’allenamento mentale e la definizione di obiettivi può avere un effetto positivo nel ridurre la paura del fallimento tra i giovani atleti d’élite.
  9. L’efficacia di coping specifica per il livello agonistico e le esigenze dello sport può anche essere direttamente correlata ai risultati sportivi.
  10. Devono essere riconosciute e affrontate anche le potenziali interazioni tra i fattori di stress legati allo sport e quelli associati alla normale adolescenza.
  11. La formazione degli allenatori dovrebbe sottolineare l’importanza di creare un clima sportivo orientato alla padronanza e al sostegno dell’autonomia, che si traduca in un minore stress e in una maggiore motivazione intrinseca, il che è particolarmente importante nello sport giovanile d’élite, dove la pressione per la prestazione è spesso schiacciante e può persino aumentare il rischio di infortuni.
  12. Concentrandosi su un clima di sviluppo basato sulla maestria, si può creare una comunità (sportiva) positiva.
  13. Anche il coinvolgimento dei genitori è importante per attenuare le risposte disfunzionali e/o distruttive. In effetti, i genitori hanno riferito di gradire consigli su come diventare un genitore sportivo migliore.

 

Messina e Pioli spiegano il loro stile di leadership

Ettore Messina “La cosa più importante parlando di squadre e allenatori è capire cosa significhi essere un vincente. In Italia si tende a creare una forte differenza tra chi arriva primo e gli altri; noi vogliamo vincere, nel senso che vogliamo essere la miglior versione di noi stessi, ma in genere vince chi riesce ad essere al top nel momento cruciale della stagione, perché essere sempre al meglio non è possibile, così come non tutto può andare per il verso giusto durante tutto l’anno.”

Stefano Pioli: “Ormai è cambiato tutto, adesso se entro negli spogliatoi e c’è silenzio mi preoccupo. Di solito c’è sempre musica a palla fino all’ultimo secondo. Secondo me sono dei fenomeni: è musica che non si può sentire, per quelli che sono i miei gusti, anche se ultimamente mi sono modernizzato. Ma una volta, se si metteva la musica, sembrava che non si fosse concentrati, mentre adesso i giocatori spengono la musica, entrano in campo e sono pronti. Ci dobbiamo adattare. La cosa più difficile ma anche più motivante è mettere insieme tante caratteristiche mentali e culturali per conoscersi e per trovare quell’equilibrio che ci permette di lavorare insieme con grande disponibilità e con grande condivisione, che credo sia il termine migliore possibile”.

Ettore Messina: “Stefano Pioli ha usato un concetto bellissimo: conoscersi. Conoscersi vuol dire accettare quelle che sono abitudini, culture, religioni o anche solo come ti prepari ad una partita e/o come intendi lo sport, accettarsi su tutto. Qui ad esempio la figura del coach è interpretata diversamente da come la interpreta un serbo o un americano o un africano. Qualcuno ti vorrebbe più pressante altri meno, perché sono abituati così. Qualche volta ci riesci e altre volte no. Rispetto alla percezione che ha il pubblico, un allenatore è conscio che nel concetto di gruppo non è vero che tutti devono fare le stesse cose. Se vedi uno con la cuffia non è che non fa gruppo ma magari ascolta solo musica diversa. Non tutti possono vedere lo stesso film e chi non lo guarda non si può definire come un asociale“.

Stefano Pioli:  ”Il mio modo di allenare è cambiato tanto, delego molto e io mi concentro di più sulle priorità, però devo essere pronto a confrontarmi con tutti su tutto. Essendo al centro dell’attenzione, devi essere preparato a confrontarti con tutti. La comunicazione è sempre più presente e costante. Arrivare preparato alle domande dei giornalisti è importante. Bisogna essere preparati e coerenti per rendere credibile il tuo metodo di lavoro”.

Ettore Messina: “Sentivo che Stefano Pioli al Milan ha 10 assistenti. Io mi ritengo fortunato perché ho quattro assistenti e due video analisti. Nel 1989 quando ho cominciato ne avevo uno e mezzo. Oggi un coach coordina specialisti di alto livello e poi mette assieme le loro opinioni per prendere decisioni tecniche e tattiche. Poi la comunicazione è cambiata. Ora invece di fare una riunione mandi tre clip via Whatsapp ad un giocatore e ottieni un risultato migliore. Così non sente nemmeno la tua voce. Coach Popovich era spaventato dalle troppe volte in cui vedeva i giocatori: preferiva fare una riunione in meno, un allenamento in meno, una cena di squadra in meno piuttosto che correre il rischio di farsi vedere troppo. È cambiato tutto”.

I numeri del Coni dello sport italiano

La sconfitta del calcio italiano è nei numeri: no giovani, no mondiale

E’ stata presentata la 12ª edizione del ReportCalcio, elaborato dal Centro Studi Figc in collaborazione con Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC Italia (PricewaterhouseCoopers). Pubblicato integralmente sul sito della Federcalcio.

Emerge con evidenza che la difficoltà della nostra nazionale è in larga parte determinata dalla difficoltà dei giovani calciatori a trovare spazio nelle squadre della Serie A. Infatti, la media dei giocatori italiani Under 21 nel campionato di Serie A è di 2,7 ragazzi a squadra. La percentuale dei minuti giocati dai calciatori Under 21 italiani sul totale dei minuti complessivi del campionato è del 4%. Quelli schierati titolari per ogni squadra a partita in Serie A è dello 0,43.

Tornando al discorso Nazionale, occorre porre l’accento sul fatto che dei 75 calciatori nati dopo il 2001 che hanno preso parte ad una gara di Serie A, solo il 46% è di nazionalità italiana (35). Oltre a non esserci troppi giovani nel campionato italiano, più della metà non sono nemmeno eleggibili per l’Italia. Nelle ultime convocazioni per la Nazionale U21, il commissario tecnico Nicolato ha chiamato 27 calciatori e solo 11 erano quelli provenienti dalla Serie A (inclusi 5 ragazzi del 2000).

La seconda lampante differenza riguarda, purtroppo, la quantità di nazionali U21 schierati nei rispettivi campionati: come già detto, in Serie A solo il 46% è eleggibile per la Nazionale Italiana. In Spagna addirittura il 72% dei giovani U21 impiegati sono spagnoli. In Francia sono il 64% e in Inghilterra il 58%. Quello tedesco è l’unico campionato dove si registra una percentuale inferiore alla nostra (43 %), anche se i loro giovani partecipano in maniera maggiore nei club. L’insieme degli U21 italiani ha collezionato 112 presenze da titolare dall’inizio della stagione, mentre quelli tedeschi hanno già 137 presenze (e tralasciamo che in Bundesliga hanno solo 18 squadre).

Emerge così un quadro deprimente per il campionato italiano. Non siamo nemmeno vicini ai livelli degli altri principali campionati. Inoltre, i giovani U21 presenti in Serie A non sono inseriti nelle squadre di vertice.

I giovani ci sono ma non li fanno giocare.