Archivio mensile per novembre, 2019

Brandon Brooks e l’ansia

Molti pensano che essere un campione comporti la capacità di vivere la propria vita e il successo in modo equilibrato e che non possa succedere che sia proprio questo successo a determinare l’insorgenza di problemi psicologici, come quelli denunciati da Brandon Brooks, giocatore NFL, dopo avere firmato il contratto che chiunque avrebbe voluto avere. E’ stato come ovvio insultato dai leoni della tastiera. La sua difficoltà è invece espressione di come lo stress possa colpire ogni tipo di persona e che la consapevolezza di questa condizione sia decisiva per poterla controllare e uscirne fuori. E’ anche una testimonianza che servirà a coloro che invece non hanno il coraggio di parlarne e di farsi aiutare. Siamo tutti soggetti a perire sotto lo stress della nostra vita, a meno che non agiamo per migliorare il nostro autocontrollo e sviluppare quelle abilità psicologiche e sociali che ci servono per non cadere sotto questa terribile minaccia.
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Lo stress fa bene alle grandi squadre

Le partite delle squadre di Sarri, Conte e Ancelotti mostrano che le grandi squadre hanno più facilità a giocare al meglio partite importanti piuttosto che quelle più semplici della Serie A. Quando la pressione agonistica è più ridotta, queste squadre hanno difficoltà a gestire la routine di un match, che dovrebbero dominare e vincere per manifesta superiorità.

Quando ero un giovane psicologo, chiesi a Robert Nideffer, come mai nel suo questionario sull’attenzione c’era un item in cui si chiedeva se “Sono molto abile nell’assumermi responsabilità in situazioni critiche, ma non altrettanto nella routine quotidiana”. Aveva capito, Nideffer, che i campioni s’impegnavano al massimo spesso solo in presenza di forti stimoli, in caso contrario la motivazione era ridotta e correvano il rischio di fornire prestazioni insoddisfacenti. Il test è del 1976 a dimostrazione che già in quegli anni chi conosceva la mentalità dei più bravi, sapeva che potevano cadere in questa situazione.

Quindi sembra che gli atleti di alto livello trovino la condizione emotiva migliore specialmente nelle partite per loro più sfidanti, come quelle di Champions League, mentre sono meno motivati a raggiungere la stessa condizione psicologica in relazione alle partite di campionato. Questo atteggiamento è evidente nella Juventus che sembra svegliarsi in campionato solo negli ultimi 20 minuti delle partite e nel Napoli che, anche a causa di altri problemi paralleli, ha mostrato due volti totalmente diversi in campionato e in Champions. Meno evidente sembra essere questa difficoltà nell’Inter, probabilmente a causa delle caratteristiche di leadership di Conte, che continuamente infonde nei sui giocatori delle iniezioni di adrenalina grazie al suo comportamento in campo.

 

 

 

 

La sfida per psicologi e allenatori

Come psicologi e allenatori insegneremo a sviluppare un atteggiamento aperto verso gli errori solo se siamo disposti ad accettare che potremmo anche fallire in questo compito.

Siamo disposti a correre questo rischio coinvolgendoci al 100% in questa sfida?

Oppure ci limitiamo a insegnare le tecniche sportive o psicologiche convinti che sono sufficienti per diventare bravi atleti e salvarci dal fallimento professionale?

Il principale compito dell’allenatore

Insegnare ai giovani che vogliono diventare bravi in quello che fanno è un’esperienza molto impegnativa e diversa dal lavorare insieme ad atleti adulti o comunque che già hanno raggiunto un livello internazionale elevato. Sono giovani adolescenti, ragazzi e ragazze, che hanno scelto di dedicare la loro vita all’impresa di scoprire se hanno le qualità per emergere nello sport e per tramutare la loro passione in una carriera sportiva di alto livello.

Negli sport individuali, per alto livello dobbiamo intendere un atleta capace di gareggiare in modo competitivo a livello internazionale. Negli sport di squadra, ci si riferisce al giocare almeno a livello dei due campionati nazionali di massimo livello.

Sappiamo che una volta stabiliti, questi obiettivi, vanno comunque messi da parte perché ci si deve concentrare su quanto serve fare per migliorare e condurre questo tipo di vita quotidiana. Sappiamo anche che non è facile acquisire questa mentalità, a causa degli errori che si commettono continuamente. Mettono alla prova le convinzioni personali che devono sostenere l’atleta nel reagire immediatamente a un singolo errore così come a una prestazione di gara insoddisfacente.

Insegnare ai giovani ad acquisire questa mentalità aperta verso gli errori, interprentandoli come unica occasione, dovrebbe essere l’obiettivo di ogni allenatore.

 

Imparare dagli errori è l’unico modo per vincere

Risultati immagini per “I really think a champion is defined not by their wins but by how they can recover when they fall.” ―Serena Williams

Arrigo Sacchi ha sottolineato un altro aspetto di questo concetto, affermando che per vincere non bisogna porsi il problema di vincere, altrimenti non si sarà mai un innovatore.

L’obiettivo diventa quindi “fare bene le cose”, avere la cultura del lavoro. Banalmente, sappiamo tutti, che “solo chi non fa, non sbaglia”.

Se siamo consapevoli di questa semplice verità: alleneremo i nostri atleti trasferendogli l’idea che sbagliare è parte della fisiologia della gara e non qualcosa che si può evitare. Alleniamoli con questa idea e diventeranno migliori e più soddisfatti.

Auguri Billie Jean King

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Billie Jean King:

76 years young today, grateful for a life filled with family and friends, and energized to continue to live each day with passion and purpose.

Org Mondiale della Sanità: 80% degli adolescenti non è attivo

W la polisportività

Ribelliamoci alla dittatura degli sport singoli per i nostri figli! (Ovviamente non succederà mai).

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Perché un campione ha bisogno di un allenatore

In un’intervista Novak Djokovic ha parlato della sua collaborazione con il suo allenatore Goran Ivanisevic. Il giocatore serbo ha detto: “L’ho assunto perché abbiamo fondamentalmente la stessa cultura. La nostra mentalità è molto simile, lui mi capisce molto bene.

Sono molto rispettoso nei suoi confronti perché era il più grande giocatore del passato nella nostra regione e volevo essere come lui. Siamo amici. E’ un uomo sorprendente, onesto e aperto e un grande giocatore. Sa come ci si sente a competere ai massimi livelli.

Ci sono molte cose da migliorare. Ci sono giorni in cui non ci si sente così bene. Ecco perché l’allenatore è molto importante. Lui capisce come sto andando mentalmente e fisicamente. Finora il rapporto è stato grande e speriamo continui”.Risultati immagini per djokovic ivanisevic

Ancelotti, gli arbitri e il VAR

Ascoltando quanto espresso da Ancelotti nell’incontro con gli arbitri, emerge giustamente l’accettazione dell’errore commesso dall’arbitro ma non quello derivato dal VAR.

Appare evidente dal sue parole che anche al massimo livello vi sono arbitri meno esperti o con minore esperienza che commettono errori dovuti a mancanza di competenza sia tecnica che psicologica nel gestire le situazioni di gioco da considerarsi fallose.

Non mi stupisce che questa mancanza di competenza sia tuttora presente poiché il settore arbitrale non è assolutamente impegnato nella comprensione della componente psicologica di questo tipo di errori. Voglio invece ricorda che quando Paolo Casarin era il designatore degli arbitri di Serie A, circa 20 anni fa, ho avuto la fortuna di fare parte del suo staff e, al contrario di ciò che è avvenuto in seguito, eravamo impegnati nell’identificare la componente mentale dell’errore arbitrale e promuovere strategie per ridurla al minimo. La figura presenta che gli arbitri del massimo livello commettono errori a causa di due fattori principali: la pressione causata dallo stress agonistico e il sovraccarico di analisi nei momenti decisionali. In tutti questi anni, a mia conoscenza, non è stato fatto nulla per migliorare questa situazione e, quindi, dato che gli individui non migliorano per magia ancora oggi continuano a commettere sempre gli stessi errori, (Fonte: Cei Consulting).