Archivio mensile per ottobre, 2014

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Gino Bartali, un giusto in bici

Presentato a Roma il documentario su Gino Bartali: “My italian secret” di Oren Jacoby. Che dire su di lui che non sia già stato detto, per me continua essere un esempio come individuo e come atleta, un vero mito.

Un dettaglio della locandina di o mito

Giro del mondo in barca con orto e galline

Il giro del mondo a vela senza scalo. Lui, la bionda e la mora. Una pacchia se non fosse che la bionda e la mora fanno l’uovo e sono galline. Matteo Miceli parte domani da Riva di Traiano, Roma per il giro del mondo senza scalo, senza assistenza, in completa autonomia energetica e alimentare.

Io sono ancora qua e voi?

Cari psicologi,

“Io sono ancora qua … eh già…” dice Vasco Rossi e ognuno di noi dov’è? E già …  la perseveranza nell’impegnarsi in qualcosa che non sappiamo se avrà successo. Lo diciamo agli altri: concentrati sulla prestazione e non risultato …  noi che dovremmo  insegnarlo, ne siamo capaci?

Il mondo che vorrei o la realtà: di cosa parlo? Come spingo sull’acceleratore ma freno prima di sbattere? Lo so fare?

Lo so che “Nothing is impossible” è una stronzata ma come insegno a realizzare i sogni?

Cosa è più imporrante: “Prenditi il tempo che ti serve” oppure “Per questa data devi saperlo fare”.

La sapete la differenza tra essere promosso, essere bravo ed eccellere?

Il mio mentore John Salmela mi chiedeva “Quanto vuoi essere bravo? Il migliore di Roma o il migliore in Italia o essere riconosciuto a livello internazionale”, l’avete mai chiesto a voi stessi?

Pensate per favore.

 

Master universitario di Psicologia dello Sport

E’ uscito il bando del

Master di II livello in “Psicologia dello Sport”

organizzato dall’Università Telematica San Raffaele, Roma

con il patrocinio di AISP – Associazione Italiana Psicologia dello Sport

A.A. 2014/2015, 1° edizione

di durata pari a 1.500 ore (lezioni online, 2 workshop e stage professionale) 

termine ultimo per le iscrizioni è il 1 Novembre 2014

informazioni e iscrizioni:

http://www.unisanraffaele.gov.it/universita/master-di-ii-livello-in-ldquo-psicologia-dello-sport-rdquo.html

Come motivarsi

Lo sprinter americano Michael Johnson, vincitore di cinque medaglie d’oro alle olimpiadi e otto volte campione del mondo, ha così riassunto l’importanza della motivazione:

“La mia migliore motivazione è sempre venuta dalla gioia pura di correre e di gareggiare, è lo stesso brivido che ho come fossi un bambino di 10 anni. Avete mai conosciuto un bambino di 10 anni nauseato da quello che fa? Bisogna trovare la propria motivazione iniziale, per questa ragione diventerai un architetto. Questo è il segreto della perseveranza”.

L’attività sportiva dovrebbe consentire l’affermarsi di un atteggiamento che può essere sintetizzato nella se­guente frase:

E’ grazie al mio impegno e al piacere che provo che divento sempre più bravo in quello che faccio”.

Le attività motivate da una spinta interiore si basano sulla percezione soggettiva di soddisfazione che si trae dallo svolgere un determi­nato compito.

Al contrario, qualsiasi intervento esterno che tenda a ridurre nell’atleta questa consapevolezza interiore influenzerà negativamente la sua motivazione.  Succede quando un atleta s’impegna solo per ricevere un premio materiale (vincere un trofeo) o il riconoscimento da parte degli altri (“Lo faccio per i miei genitori o per l’allenatore che così saranno contenti o perché sarò più ammirato dai miei compagni di scuola”). La prestazione sportiva diventa così solo un mezzo per raggiungere un altro scopo che diventa, invece, il vero fine dell’azione: il giovane non agisce per il piacere che gli fornisce l’attività stessa ma per ricevere un determinato riconoscimento. Pertanto, i rinforzi esterni che incoraggiano l’atleta ad attribuire la sua partecipazione a motivi esteriori riducono la sua motivazione interna.

L’allenatore non dovrebbe servirsi di rinforzi che dall’atleta siano percepiti come più importanti della stessa partecipazione spor­tiva, ma dovrebbe fornire suggerimenti utili ad aumentare il senso di soddisfazione che il gio­vane trae dall’esperienza agonistica.

I risultati sportivi che sono percepiti come il risultato di fattori inter­ni personali, quali l’abilità, la dedizione, l’impegno piuttosto che di fattori esterni (fortuna, limitata capacità degli avversari,  decisioni arbitrali a favo­re) sono associati a stati d’animo di soddisfazione e di orgoglio.

Si tira da solo la maglia per simulare il fallo

Per simulare un fallo in campo, il calciatore brasiliano Leandro Damiao si tira da solo la maglia. E’ accaduto durante la partita del campionato brasiliano di Serie A tra il Criciuma e Santos finita 3-0. Leandro Damiao, 25enne attaccante del Santos, cerca di trarre in in inganno l’arbitro tirandosi da solo la maglia sugli sviluppi di un calcio di punizione.

Leandro Damião

Le madri dei calciatori: il difficile percorso nel mondo dei figli maschi

Si sa che in Italia il calcio è maschile, per cui è ovviamente più frequente che io mi trovi a relazionarmi con madri di figli maschi. Queste mamme sono spesso accusate di legami troppo intensi che sembrano essere la causa di ogni problema. “Signora lei dovrebbe lasciarlo più libero” ecco la frase che più spesso viene ripetuta alle mamme, questo per una madre è come sentirsi dire: “Signora lei lo ama troppo”.  Le madri amano davvero troppo? E come deve essere la madre di oggi per crescere il miglior figlio per il futuro?

Considerare le madri la causa di ogni problema è un punto di vista sbrigativo e superficiale che predilige il giudizio al sostegno. Le madri necessitano di un aiuto e non solo di uno sterile esame critico. Per questo decido di rivolgermi alle tante mamme di piccoli e grandi calciatori per dare indicazioni pratiche e non giudizi.

Allevare un figlio maschio vuol dire discutere sullo studio, dosare la playstation, gridare sulla camera da rimettere a posto o trovarsi a dire  questa casa non è un albergo, ma crescere un figlio maschio vuole anche dire sostenere ogni giorno il difficile compito di saper trovare la risposta giusta al momento giusto, senza apparire frettolose o peggio petulanti. A volte anche la madre più premurosa può risultare inopportuna perché solo l’esperienza nel tempo la aiuterà a capire come è fatto un figlio maschio. Le parole scelte per educarlo sono anche quelle che inconfondibilmente segneranno la strada che come madre si è deciso di prendere.

Ecco alcune cose che è importante sapere:

Non è possibile fornire il vocabolario preciso di cosa è meglio dire con un figlio maschio, ma sicuramente è importante sapere che  un maschio si dimostrerà più sensibile sulle frasi che insistono su ciò che fa, piuttosto che su ciò che è. Dirgli che è bravo, adorabile o meraviglioso gli farà piacere se però gli si parlerà di una cosa che ha fatto, di un evento in cui si è dimostrato all’altezza riuscirà ad assimilare ancora di più il vostro discorso. Inevitabilmente sono più portati a capire le affermazioni relative a ciò che fanno, piuttosto che quelle su ciò che sono.

È importante ricordare che ogni ragazzo ha sempre un’immagine reale di sé stesso e se una madre tenderà a non voler vedere i problemi del figlio potrà solo spingerlo ad enfatizzarli. Per questo è importante fare commenti che gli permettano una visione reale di sé stesso. Se giocherà bene e vincerà una partita sarà meglio dire “devi essere orgoglioso di te” piuttosto che “sono orgogliosa di te”.

Un ragazzo è una polveriera di emozioni pronta a scoppiare e spesso a farlo esplodere può essere anche una sola piccolissima scintilla. Bloccare l’esplosione è tutt’altro che facile e di certo è utile sapere che non sono i lunghi discorsi a spegnere la miccia, ma, ancora di più che con una figlia femmina, bisogna essere attenti a non criticare automaticamente i comportamenti.  I maschi sono sensibili alle critiche, ma anche al sostegno che gli si offre.

I ragazzi sono più aggressivi sia nei comportamenti che nelle emozioni per questo spesso le critiche materne sono avvertite più come aggressione che come consiglio.

Un ragazzo si aspetta che la madre decifri i suoi sentimenti e li esprimerà comunque e sempre di più attraverso atteggiamenti e comportamenti piuttosto che a parole

Un ragazzo risponde maggiormente alle richieste della madre quando lei eviterà discorsi astratti e generici e mostrerà concretamente cosa fare e come agire di fronte alle singole situazioni

Per concludere alle madri di piccoli e grandi calciatori mi preme ricordare che:

I maschi si esprimono più a livello fisico che a livello verbale e tendono a farlo in modo impetuoso. Per questo motivo molto spesso i problemi disciplinari e la mancanza di attenzione dipendono proprio dalla limitata attività fisica, che non permette uno sfogo adeguato alle loro necessità. Questo spiega perché la scelta di vietare l’attività sportiva per ovviare alle mancanze scolastiche non fa che peggiorare la situazione anziché migliorarla, creando un circolo vizioso in cui la punizione alimenta il comportamento punito.

(di Daniela Sepio)

I motivatori sono i falsari del mental coaching

I motivatori e mental coach non laureati in psicologia si stanno diffondendo nello sport così come nel business. Sono persone che intervengono in questi mondi facendo leva sul bisogno di successo. Vincere è, oggi, l’unica cosa che conta e troppi atleti si fanno abbindolare da persone che come strategie di cambiamento si servono degli insulti oppure li fanno camminare sui carboni ardenti, come se fosse un evento necessario per credere in sè.  Purtroppo taluni di questi motivatori hanno successo, perchè le organizzazioni sportive (Coni, club e federazioni) non fanno nulla per aiutare i loto atleti e allenatori a scegliere. anzi talvolta queste stesse organizzazioni sono contente di questa autonomia degli atleti, poichè in questo modo risparmiamo dal punto di vista economico e non devono porsi il problema di scegliere un professionista che dovrebbero anche pagare.

Lo spunto di questa riflessione mi è fornito da un’intervista al motivatore di Bonucci (riportata da un attento conoscitore dello sport e dell’animo umano qual è Gianni Mura con l’articolo “L’aglio motiva Bonucci ma l’alito non fa il monaco”) in cui racconta come ha lavorato con lui. tutto sarebbe da ridere se non fosse che non è una barzelletta bensì una modalità di consulenza. Naturalmente ogni individuo può scegliere chi vuole come consigliere personale o come mental coach, ma come psicologi abbiamo il dovere di affermare che il miglioramento personale passa attraverso figure professionali qualificate e competenti e non da individui che si sono nominate loro stessi motivatori, mental coach o quant’altro solo sulla base di considerazioni personali. La professione di psicologo, come quella del medico, dell’avvocato o delle altre libere professioni è sottoposta a regole precise e nessuno può esercitarla senza un adeguato titolo di studio, non a caso coloro che hanno deciso di farlo senza possedere questi requisiti hanno dovuto inventare nuove parole per definirsi e così sono nati i termini “motivatore” e “mental coach”. Chiunque può definirsi in questo modo, anche il barista sotto casa e non sarà perseguito dalla legge.

E’ necessario che l’Ordine degli Psicologi così come il Coni e le Federazioni Sportive siano in prima linea nel diffondere un approccio professionalmente corretto del mental coaching, altrimenti la cultura sportiva sarà pregiudicata e si affermerà solo chi sarà sul mercato più aggressivo.

Vince chi si adatta più in fretta

Non vince chi ha più talento. Non vince chi ha il fisico migliore. Non vince chi è più intelligente. Sono tutti aspetti utili ma non decisivi per vincere.

Vince chi si adatta meglio e più in fretta alle situazioni agonistiche  che avvengono momento per momento durante una gara.

Continua a vincere chi innova il suo modo di allenarsi e gareggiare in modo concreto, realizzabile e sfidante