Archivio mensile per marzo, 2012

Giovani, calcio e arbitri

Sono stati presentati questa mattina i dati di una indagine condotta dal Settore Giovanile Scolastico della Federcalcio del Lazio nelle scuole superiori. Arbitri e psicologi dello sport sono andati nelle classi a parlare del valore delle regole e di come farle rispettare. A 600 ragazzi e alle ragazze è stato chiesto cosa pensano delle regole e quale idea hanno dell’arbitro di calcio. Dai dati è emerso che:
1. i giovani sono convinti che regole siano indispensabili per la convivenza civile e per rispettare i diritti di ognuno;
2. si può non rispettare le regole se si ritiene che siano ingiuste;
3. circa il 50% dichiara di non rispettarle se le considera ingiuste;
4. la maggior parte afferma che è importante punire chi non le rispetta;
5. per circa il 40% dei giovani gli adulti non sono un buon esempio di rispetto delle regole;
6. l’arbitro è colui che fa rispettare le regole;
7. l’arbitro viene percepito come una persona coraggiosa, autoritaria e decisa, come un vigile e un giudice;
8. per circa il 50% attaccare l’arbitro è giusto se ha sbagliato;
9. chi ha arbitrato una partita è più tollerante nei confronti dell’arbitro.
10. la maggior parte vorrebbe diventare un arbitro per andare gratis allo stadio, guadagnare e arrivare in serie A.

Sono migliori gli allenatori giovani?

Essere bravi in qualsiasi attività professionale che riguardi la guida di altri uomini o donne non è certamente una questione di età ma di competenze. Sono queste ultime che determinano il valore professionale di un leader. Per l’allenatore sono sostanzialmente tre le famiglie di competenze che deve possedere. La prima riguarda “la scienza” sono le competenze scientifiche e tecniche che un leader deve possedere per essere in grado di programmare e condurre un piano di allenamento. La seconda è “l’esperienza”, consiste nella volontà e abilità di riflettere in maniera professionale sul proprio lavoro identificandone i punti di forza e le aree di crescita, stabilendo nel contempo come colmarle. La terza è “l’intuizione”, consiste nell’essere consapevole di quello che succede sul campo e di essere in grado di apportare dei cambiamenti appena se ne intuisca la necessità. L’allenatore competente è colui che possiede un mix adeguato di queste tre caratteristiche.

Credere o adattarsi?

Se si è ultimi nell’ipotetica classica basata sui risultati del 2° tempo non si può continuare a proporre per questi secondi 45 minuti lo stesso modulo di gioco del 1° tempo. Questo perchè mancando 9 partite alla fine del campionato  vuol dire che 7 mesi non sono bastati per apprendere questo nuovo modulo. Che fare? Insistere o trovare forme diverse per ottenere i risultati sperati? L’approccio di Luis Enrique è basato sulla fede che prima o poi qualcosa succeda, ma l’allenatore non può mettere i suoi giocatori nella condizione di perdere in modo così continuativo tutti i 2° tempi. Quale che siano le sue convinzioni, l’autostima dei calciatori ne esce distrutta e quindi l’allenatore non saprà se la squadra gioca male perchè non ha capito o perchè ritiene che è inutile impegnarsi: “tanto poi si perde”.

Mental coach per migliorare

 

“La statistica è nota … Se le partite durassero solo 45 minuti, la Roma sarebbe prima con 55 punti. Ma non è così ovviamente … all’opposto, calcolando le riprese come paryite a sé, la Roma sarebbe terz’ultima … Secondo il professor Alberto Cei, alla base della differenza ci sono dei limiti mentali più che caratteriali … – Noto la difficoltà a metabolizzare il tipo di gioco che vuole Luis Enrique, e quindi la fatica a mantenere quel livello di concentrazione per 90 minuti … il fatto di correre per tutto l’incontro dimostra invece che l’impegno c’è. Manca semmai la finalizzazione. Il gol, E questo può essere pericoloso. E’ dimostrato che si segna di più proprio nei secondi tempi, anzi nelle ultime mezzore. Conducendo degli studi su scala europea, ho riscontrato che le reti decisive si realizzano proprio in quel lasso di tempo. Quindi sono notevolmente avvantaggiate le squadre che tengono lo stesso livello di combattività per tutta la partita … l’impegno c’è, non ci sono però attenzione e combattività … Per vincere serve avere la convinzione di potercela fare fino al 90′. Non è sufficiente correre. Bisogna correre con la testa -. Intervista data Daniele Galli per Il Romanista.

Juventus: squadra e individualità

La Juventus corre e pensa, ma questo non basterebbe vincere se non avesse avuto le parate di Buffon e le reti di Caceres e Del Piero. Può sembrare banale dirlo ma accanto all’intensità e al gioco di squadra, servono le individualità che nel momento in cui devono fare, sono presenti e non sbagliano. Al contrario di Vucinic che è apparso presuntuoso nei suoi continui e falliti tentativi  di saltare Maicon e poi nell’occasione del goal, praticamente un rigore, sbagliato. Quando non ragiona in campo diventa un fattore negativo a causa delle occasioni che spreca. L’insegnamento che se ne può trarre è che la squadra serve per giocare bene e divertire e le individualità per vincere. Se uno di questi fattori viene a mancare si è solo “dei giovani di belle speranze”.

Giochiamo sereni

Montella è un esempio diverso di allenatore quando dice “giochiamo sereni”, rispetto alla drammatizzazione delle partite effettuata da altri allenatori. Si può avere una mentalità vincente e giocare sereni. E’ un invito alla sobrietà vincente, a badare al gioco che si sa fare piuttosto che a combattere. Certamente le pressioni che sopportano le squadre più importanti sono maggiori, però credo che si possa giocare convinti e determinati ma con piacere. Altre prove dovranno confermare che Montella rappresenti una discontinuità nello stile di leadership degli allenatori di calcio, al momento comunque lo è.

Sotto stress continuo

Conte dice che l’Inter farà la gara della vita, gli risponde Luis Enrique affermando che alla Roma serve la partita perfetta per battere il Milan. Siamo ormai da tempo entrati nell’era che ha trasformato le partite di calcio in prove estreme, in cui i principali protagonisti drammatizzano la partita per timore o per rassicurarsi che la propria squadra giochi al massimo delle sue possibilità. Il linguaggio sobrio è diventato raro o forse non fa audience.

E’ primavera

Finirà la stagione delle piogge
senza un preavviso, come è incominciata
un piccolo colpo alla finestra, l’ultima lettera
battuta dalla grandine
o un picchio rosso
che ci chiama in giardino
Gianmario Missaglia

Pensare positivo è un’arte

Non è di certo superficiale per un atleta/allenatore pensare in positivo, anzi si è troppo banalizzata l’importanza di avere un atteggiamento di questo tipo, etichettandola spesso come un’americanata o un modo di vivere senza porsi i veri problemi. Nel mio lavoro vedo  invece ogni giorno l’esatto contrario e cioè quanto sia facile abbattersi per un allenamento andato male, per la difficoltà nel migliorare, per accettare che il lavoro quotidiano non è una passeggiata verso la gloria, ma che invece bisogna metaforicamente sporcarsi le mani con le proprie insicurezze e timori. Sono proprio le difficoltà che vivono gli atleti/allenatori a rappresentare l’unica occasione, anche questa positiva, per mettere alla prova il proprio valore umano, la propria voglia di fare bene nonostante oggi non si sia soddisfatti. Questo è l’allenamento. Accettare i propri limiti e lavorare positivamente per ridurli e superarli. Solo quando si acquisisce questa mentalità si apre la porta al pensiero positivo.

Le parole per dire “mente”

Le parole del calcio per dire quanto la mente è decisiva:
Mazzarri (Napoli): “Quando siamo favoriti avvertiamo troppo la pressione”.
Jovetic (Fiorentina) ai tifosi: “Se ci abbandonate siamo rovinati”.
Sannino (Siena): “Conteranno le motivazioni e la capacità di soffrire”.
Donadoni (Parma): “Ci vuole più ferocia e sudore”.
Tesser (Novara): “Salvezza difficile ma dobbiamo crederci”.
Queste sono solo le parole dette ieri che mettono in luce l’estrema rilevanza della mente nel calcio, senza citare Conte, Allegri o Ranieri che sono maestri in queste espressioni o Massimo Mauro che domenica ha detto che Vucinic trarrebbe giovamento da un Motivatore che potrebbe aiutarlo a dare continuità al suo gioco. E allora perchè non dare spazio a chi professionalmente si occupa di queste problematiche, perchè lo psicologo non può essere il consulente dell’allenatore nell’aiutarlo a realizzare con maggiore efficacia quanto affermano?