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Quando fare progetti per il nuovo anno è inutile

Ogni inizio anno ci poniamo obiettivi per i successivi mesi, ne parliamo con gli amici, c’è chi vuole dimagrire, chi fare sport, dedicare più tempo alle persone che ama e così via. Di solito dopo pochi giorni vengono abbandonati perchè ci si sente dominati dalle necessità della vita quotidiana. Per cui si giunge alla spiegazione del classico “vorrei ma non posso”. Non sono io che non voglio era vita che me lo impedisce.

Suggerisco, quindi, a tutti noi di evitare di giocare al cambiamento se tanto sappiamo che poi facilmente abbandoneremo questi buoni propositi.  In tal senso pensare in positivo, e quindi credere che ce la faremo a soddisfare i nostri obiettivi, è fuorviante. Il pensiero positivo è velleitario se non si accompagna alla consapevolezza che sarà difficile raggiungere quanto ci proponiamo e se non siamo disposti a fare dei sacrifici.

Vuol dire impegnarsi a prescindere dai risultati. Bisogna essere disposti a impegnarsi sapendo che potremmo fallire. Dobbiamo pensare che cambiare abitudini richiede tempo ed è difficile, per la ragione che dobbiamo iniziare a pensare e ad agire in modo diverso dal solito nello stesso momento in cui saremmo portati a comportarci nel modo abituale.

Se vogliamo avere successo partiamo da obiettivi a breve termine, in cui spendere un tempo limitato ma quotidiano, ragioniamo in termini di: “Cosa mi va di fare per me oggi e che è diverso da ciò che faccio abitualmente”. Se diamo una risposta affermativa a questa richiesta ci stiamo muovendo sulla strada giusta, anche solo un minuto passato diversamente ci darà un segnale positivo, senza fretta impariamo a raccoglierli.

Come il pensare in positivo può distruggere le proprie prestazioni

Quante volte abbiamo sentito dire che bisogna essere ottimisti, che bisogna crederci che si può vincere, o che “con tutto quello che hai fatto ti meriti proprio di raggiungere un grande risultato”.

Apparentemente non c’è nulla di sbagliato a pensare in questo modo , “è così che ci si carica” dicono in molti. Dicono anche “che dovrei dirgli: di perdere? Nessuno entra su un campo per uscirne sconfitto e, quindi, si deve iniziare la gara con la volontà di vincerla, perché se neanche lo pensi come farai a ottenerla?”.

Insomma, “pensa in positivo e vedrai che accadrà quello che vuoi”.

Ebbene tutti questi bei pensieri sono sicuramente inutili e possono diventare dannosi, poiché alle prime difficoltà ed errori durante la gara, l’atleta non sarà pronto a reagire immediatamente poiché si aspetta di vincere, è cioè focalizzato sul risultato e non su quello che deve fare per ottenerlo.

“Ero pronto … e poi le cose non sono andate come avevo previsto”. Queste sono spesso le parole di chi entra con un atteggiamento troppo fiducioso e poi al termine della prestazione attribuisce a qualcosa fuori di sé il risultato, senza assumersi la responsabilità di quanto è successo.

Questi pensieri, che rappresentano le aspettative dell’atleta sulla sua gara, possono realmente considerarsi come i killer della prestazione. Sono stupiti dai loro stessi errori e dalle difficoltà che incontrano in gara e non si sono preparati un piano per reagire efficacemente a queste situazioni.

Le squadre positive sono più produttive

In un articolo pubblicato sul Journal of Applied Behavioral Science Kim Cameron e i suoi colleghi  hanno scoperto che un ambiente di lavoro caratterizzato da pratiche positive e virtuose eccelle in vari campi.

Le pratiche positive e virtuose includono:

  • Prendersi cura di e interessarsi degli altri.
  • Fornire supporto all’altro, inclusa la gentilezza e compassione quando gli altri sono in difficoltà.
  • Evitare d’incolpare e perdonare gli errori.
  • Sostenersi a vicenda sul lavoro.
  • Sottolineare la significatività del lavoro.
  • Trattarsi con rispetto, gratitudine, fiducia e integrità.

Cameron ei suoi colleghi spiegano che ci sono tre ragioni per cui queste pratiche sono utili per l’azienda e queste pratiche positive sono:

  • Aumentano le emozioni positive che ampliano le risorse e le capacità dei dipendenti, migliorando i rapporti delle persone tra loro e amplificando la loro creatività e la capacità di pensare in modo creativo.
  • Sono da cuscinetto contro eventi negativi come lo stress, migliorando le  capacità dei dipendenti di riprendersi dalle sfide e dalle difficoltà.
  • Motivano e rafforzano dipendenti, rendendoli più fedeli e pronti a tirar fuori il meglio di loro.

Lascia un segno positivo nella vita

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Creiamo la frase che ci rappresenta

Smettiamo di pensare con le frasi degli altri, creiamoci da soli la frase che ci rappresenta. La mia è “spingere in positivo” e la vostra?

Pensare positivo è un’arte

Non è di certo superficiale per un atleta/allenatore pensare in positivo, anzi si è troppo banalizzata l’importanza di avere un atteggiamento di questo tipo, etichettandola spesso come un’americanata o un modo di vivere senza porsi i veri problemi. Nel mio lavoro vedo  invece ogni giorno l’esatto contrario e cioè quanto sia facile abbattersi per un allenamento andato male, per la difficoltà nel migliorare, per accettare che il lavoro quotidiano non è una passeggiata verso la gloria, ma che invece bisogna metaforicamente sporcarsi le mani con le proprie insicurezze e timori. Sono proprio le difficoltà che vivono gli atleti/allenatori a rappresentare l’unica occasione, anche questa positiva, per mettere alla prova il proprio valore umano, la propria voglia di fare bene nonostante oggi non si sia soddisfatti. Questo è l’allenamento. Accettare i propri limiti e lavorare positivamente per ridurli e superarli. Solo quando si acquisisce questa mentalità si apre la porta al pensiero positivo.

Il perfezionismo positivo

Leggo un’intervista a Spielberg e a Jackson il produttore del film su Tintin dove si afferma: “Probabilmente abbiamo speso due o tre anni di lavoro per realizzare ogni particolare nuance e sottigliezza del volto di Tintin. Steven e io abbiamo avuto lunghe video conferenze con il team dei disegnatori … chiedendo loro “Gli occhi possono essere del 15% più piccoli? Le sopracciglia possono essere un po’ più basse?” Queste sono richieste di perfezionismo del regista e del produttore e che in questo modo sono state soddisfatte. E’ un perfezionismo positivo perchè si è concretizzato in un risultato efficace. Un altro aspetto di questa ricerca è che richiede tempo, bisogna provare e riprovare e poi provare ancora. Nel frattempo si presentano degli ostacoli, ci sono fasi che sembrano insuperabili, poi viene il giorno in cui il puzzle si compone e si giunge alla soluzione. Gli atleti, quelli bravi, fanno lo stesso, ripetono migliaia di volte le stesse azioni con qualche piccola modifica fino a quando “appare” il movimento ottimale per loro stessi. A quel punto ci si allena per ripeterlo, entrando così nella fase chiamata della “disponibilità variabile” in cui l’azione può essere avviata e condotta a termine indipendentemente dalle caratteristiche della situazione agonistica. Solo così si raggiunge l’eccellenza.

C’è bisogno di psicologia positiva

Gli eventi del calcio di questi giorni stanno a indicare che è forte il bisogno di psicologia positiva:

Calciatori nel pallone per le partite truffate. Allenatori che vogliono diventare dirigenti con un battare di ciglia e che dimostrano così di non avere un piano di vita o di sviluppo professionale. Sono tutti pazzi per la cantera del Barcellona senza capire che una nazione o un club dovrebbero avere progetti propri e non perseguire fotocopie che alla prova del tempo si stingono. Circa 300 sono le Scuole calcio che hanno dichiarato ufficialmente di avere uno psicologo: dove sono? Molti ex-calciatori non hanno un lavoro. Questi alcuni temi che richiederebbero un approccio psicologico alla loro risoluzione ma sarebbe come andare su Marte: impossibile.