Archivio mensile per dicembre, 2021

Felice 2022

Anche la mente dei calciatori “può infortunarsi” per le troppe partite

Il presidente dell’Associazione Italiana Medici del Calcio, Enrico Castellacci, conferma quanto dichiarato da Pep Gurdiola sulla salute dei calciatori: “”Parliamo del benessere dei giocatori, ma il nostro è l’unico campionato che non accetta le cinque sostituzioni. Ne abbiamo solo tre. Come mai? Sarebbe molto meglio per tutti, considerato il numero di partite che giochiamo. Ma la Premier League e alcuni club hanno deciso di non farlo”. E Castellacci ribadisce che ”così il fisico dei calciatori non regge e aumentano gli infortuni. O cambia la mentalità o aumentano le rose ma sappiamo che gli allenatori fanno giocare sempre i più forti”.

A queste corrette osservazioni vorrei aggiungere che il giocare troppe partite non comporta solo il logoramento fisico ma anche quello mentale. Scontato ma viene ricordato molto meno, forse perchè gli avvertimenti del corpo sono più immediatamente evidenti (infortunio e conseguente impossibilità di giocare) mentre quelli mentali lo sono di meno, tranne poi quando si manifestano in forma di psicopatologia.

Samuele Marcora e colleghi in un articolo del 2009 ci ricordavano che anche le scienze dello sport non hanno trattato questo tema sino agli ultimi anni.

“La fatica mentale è uno stato psicobiologico causato da periodi prolungati di attività cognitiva impegnativa e caratterizzato da sensazioni soggettive di “stanchezza” e “mancanza di energia”. Gli effetti della fatica mentale sulle prestazioni cognitive e sulle prestazioni di piloti e piloti d’aereo sono stati ampiamente studiati. Un numero crescente di studi sta anche rivelando le alterazioni neurali causate da periodi prolungati di attività cognitiva impegnativa in persone in sane e malate. Al contrario, l’impatto della fatica mentale sulle prestazioni fisiche rimane in gran parte sconosciuto. Per quanto ne sappiamo, le uniche osservazioni pubblicate risalgono al 1891 quando Angelo Mosso riportò nel suo libro sulla fatica che la resistenza muscolare era ridotta in due professori di fisiologia dopo lunghe lezioni ed esami orali”.

Negli ultimi 10 anni la fatica mentale è stata studiata e le imitazioni sulla prestazione sportiva sono molto più conosciute. Dovremmo fare di più per inserire nei programmi di recupero fisico anche interventi che favoriscano il recupero mentale dei calciatori.

La motivazione del campione

Riflessioni su un cammino di 40 anni di lavoro

Il 2021 mi porta una ricorrenza: sono 40 anni che lavoro come psicologo dello sport. Il prof. Mario Bertini mi presenta al Prof. Ferruccio Antonelli e grazie alle mie conoscenze linguistiche  mi diede l’incarico di tradurre in italiano gli abstract dell’International Journal of Sport Psychology e di ricercare notizie sulla psicologia dello sport pubblicate sulle riviste internazionali, così da potere scrivere la rubrica di news della rivista. Un lavoro piuttosto noioso, ma che è stata la base per i miei rapporti internazionali che mi hanno portato a far parte negli anni del Managing Council della FEPSAC e dell’ISSP. Per fortuna  nel contempo con altri colleghi avevamo vinto un finanziamento per un’indagine sulle squadre di Serie A1 e A2 di pallavolo, e così iniziò il lavoro di consulenza per la Fipav, su incarico di Gianfranco Briani, allora segretario generale, che durò in modo continuativo per 7 anni. Un lavoro complesso ma interessante, spaziando dallo studio e diffusione del minivolley, alla consulenza per gli arbitri del massimo livello e per le nazionali femminili. Considero la pallavolo e la collaborazione con Carmelo Pittera e Carmelo Bosco, l’ambiente sportivo nel quale mi sono formato professionalmente. E’ sui campi di pallavolo che ho sviluppato le miei competenze nei tre ambiti che non ho mai più abbandonato nella psicologia dello sport: la formazione degli allenatori, la consulenza psicologica con squadre e atlete/i e la ricerca applicata allo sport.

In questi anni, non ho mai perso l’entusiasmo per questo lavoro e ancora oggi lo continuo a trovare di grande ispirazione, entrare in contatto con gli atleti, seguire e supportare le  loro prestazioni, vivere le loro vittorie, aiutarli a rialzarsi dopo le sconfitte, questo è il mio impegno, ieri come oggi. Nello sport  lo psicologo era percepito come  un oggetto estraneo intriso di “troppa teoria” e l’insegnamento che ho tratto da Antonelli è stato di imparare a rapportarmi e a scrivere “chiaramente” per essere compreso, a stare sul pitch con chi si allenava.  Non è stato semplice imparare ma è stato molto utile. Questo approcci, lo stare alla pari sul campo tutti i giorni,  l’ho utilizzato subito con gli allenatori e, in effetti, ho scoperto cha mi aiutava molto nell’acquisire  la loro fiducia, anche i più restii ad accettare lo “psicologo” perchè condividevo il loro vissuto quotidiano. Nel 1984 ho lavorato con la nazionale femminile junior di volley che aveva un allenatore cinese. Lui mi diceva che dovevo parlare al cuore delle ragazze e per raggiungerlo non potevo di certo esprimermi in modo teorico. Conoscevo praticamente a memoria il libro appena uscito di R. Weinberg e J. Silva, “Foundation of sport psychology”, e il mio impegno fu tradurre i concetti teorici in strategie e azioni pratiche per allenare mentalmente la squadra. Tre anni dopo, il risultato di questo lavoro di adattamento dei dati scientifici al lavoro di consulenza è stata la pubblicazione del libro “Mental training: guida all’allenamento psicologico degli atleti”, un programma di allenamento mentale organizzato su 8 settimane.

Il lavoro di consulente  è un rapporto costante con altri e come tutti i confronti è soggetto ad alti e bassi e negli anni vi sono stati diversi momenti di difficoltà e d’interruzione  improvvisa del percorso lavorativo senza apparenti perché, ma sono stati superati grazie ad altre opportunità. Ho imparato nel mio percorso  lavorativo che questo lavoro è sempre in continua evoluzione,  nuovi dati scientifici, nuove ricerche da selezionare, da gestire, nuove tecnologie  a cui si sommano i continui  cambiamenti nella società in cui viviamo. Un costante adattamento e risposta ai cambiamenti nella mentalità di allenatori/trici e atlete/i, all’importanza sempre maggiore dei i risultati sulla carriera di uno sportivo, le nuove opportunità di lavoro dallo sport come espressione di benessere, allo sport nell’infanzia e nell’adolescenza, il ruolo importante dei genitori, la concorrenza di altri professionisti non psicologi, l’assenza almeno in Italia del ruolo trainante delle grandi organizzazioni sportive nella diffusione del nostro lavoro, la diffusione della consulenza online, non solo a causa della pandemia,  e l’allargamento della consulenza agli esports e allo sport paralimpico.

Questa evoluzione è stimolante per chi svolge come me questa professione e sono consapevole  che nei prossimi anni il lavoro dello psicologo dello sport diventerà sempre più rilevante, soprattutto in questa fase di innegabile fragilità emotiva e  motivazionale di questa era pandemica. Ma dovrò. anzi dovremo, proprio perchè psicologi,  essere pronti a cogliere la positività e le opportunità che ogni stagione di cambiamento porta sempre con sé. Quale è il consiglio mi dò per i prossimi anni se guardo indietro alla strada già fatta? Essere curiosi sempre, seguire le evoluzioni  dello sport, questo prisma poliedrico dalle mille sfaccettature, approfondire innovazioni nella psicologia dello sport e le esperienze eccellenti ormai diffuse in tutto il mondo. Come diceva Winston Churchill il successo è ciò che succede tra un fallimento e un altro. Quindi, andiamo avanti con calma ma senza fermarci.

I numeri possono apparire freddi ma aiutano a trasmettere il senso del mio lavoro di questi 40 anni:

  1. 1300 atlete/i circa seguiti
  2. 116 programmi di mental coaching per allenatori
  3. 30 anni di direzione dell’International Journal of Sport Psychology
  4. 36 anni come docente di psicologia della Scuola dello Sport
  5. 17 libri pubblicati da me o in collaborazione con allenatori e colleghi
  6. 16 anni come Presidente della Società Italiana di Psicologia dello Sport da me fondata con altri colleghi
  7. 12 atlete/i che hanno vinto una medaglia alle Olimpiadi
  8. 12 anni da membro direttivo e poi tesoriere Federazione Europea di Psicologia dello Sport e ora nel Managing Council dell’International Society of Sport Psychology
  9. 7 le nazioni di cui sono stato consulente (Cina, Cipro, GB, India, Iran, Malta, UAE)
  10. 7 olimpiadi estive (da Atlanta 1996)
  11. 2 partecipazioni come consulente ai Giochi del Commonwealth con India e Malta

 

 

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La fatica mentale: come ingannarla

Walter Staiano, Andrea Bosio, Helma M. de Morree, Ermanno Rampinini e Samuele Marcora (2018). The cardinal exercise stopper: muscle fatigue, muscle pain or perception of effort?  Progress in Brain Research, 240, 175-200.

La capacità di sostenere l’esercizio aerobico ad alta intensità è essenziale per le prestazioni di resistenza. La cessazione di un esercizio aerobico ad alta intensità è dovuta a fatica muscolare, dolore muscolare o a un aumento della percezione dello sforzo?

I partecipanti allo studio hanno effettuato una prova sul  cicloergometro a carico costante e alta intensità. Sono stati spinti fino al massimo sforzo possibile. I risultati mostrano che nel momento in cui l’atleta smette volontariamente di pedalare (momento teorico di massimo esaurimento) in realtà possiede ancora una capacità di esercizio elevata. Significa che dal punto di vista fisiologico, quando l’atleta si percepisce esaurito in realtà può ancora produrre una potenza circa doppia rispetto a quella che lo ha portato all’esaurimento. I dati mettono in luce che il fattore che impedisce la prosecuzione dell’esercizio, nel momento in cui ci si ferma durante uno sforzo intenso, non è la mancanza di forza per continuare a quella intensità o la percezione di dolore ai muscoli. Il motivo per cui si interrompe o si diminuisce l’intensità durante uno sforzo ad alta intensità risiede nella percezione dello sforzo.

Un trucco per continuare alla stessa intensità è di distrarre la mente con un pensiero che sostenga questo sforzo ancora per qualche secondo o per qualche metro, quello è il momento decisivo della gara perchè chi non ragiona in questo modo smetterà o rallenterà in modo eccessivo mentre noi continueremo.

Speranza

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Presentazione del libro: Fondamenti di Psicologia dello Sport

Presentazione del libro “Fondamenti di Psicologia dello Sport”