Archivio mensile per febbraio, 2020

Motivazione: una bella parola compresa da pochi

Le persone che ogni giorno parlano con facilità della motivazione, spiegando agli altri  che basta crederci, per vedere realizzati i propri sogni, sanno quanto invece sia una dimensione psicologica molto complessa da gestire?

I problemi della Juventus squadra poco unita

La situazione che sta vivendo la Juventus è interessante per cercare di capire come sia possibile che una squadra costruita per vincere la Champions League non sia in grado in questo momento di sviluppare un gioco adeguato al suo livello e subisca l’iniziativa di squadre a lei nettamente inferiori per qualità.

Come hanno detto in molti, nella partita contro il Lione alla Juventus è mancata la velocità, la determinazione e l’intensità di gioco. Molti giocatori si sono dimostrati distratti in campo e l’individualismo di Cristiano Ronaldo non è bastato a ribaltare il risultato finale.

In questo periodo, alla Juventus manca l’impegno e la dedizione totale del collettivo al raggiungimento degli obiettivi di prestazione e di risultato, che sono l’essenza di un team di successo. Osservando i comportamenti in campo, raramente e  solo nei minuti finali delle partite, non si vede la prontezza fisica e mentale a volere giocare una palla, reagire a un errore o a muoversi per aiutare un compagno.

La Juventus è composta da alcuni campioni e altri molto bravi, tutti giocano nelle rispettive nazionali. Ora è una squadra poco unita in cui manca un nucleo centrale di giocatori che la possano guidare. Le squadre di successo hanno sempre un gruppo interno di riferimento per i momenti di maggiore stress competitivo, è rimasto solo Bonucci che da solo non può svolgere con efficacia questo ruolo. Troppi non hanno lo sguardo di tigre (Betancourt, Rabiot, Pjanic, Quadrado) e sembrano svolgere dei compiti assegnati piuttosto che giocare una partita di calcio.

Leader di una squadra non possono essere Ronaldo, Dybala e Iguain, loro sono le stelle che brillano grazie al lavoro di una squadra che li sostiene e li favorisce.

Il secondo problema della Juventus è nel modo di ragionare di Sarri. Quando afferma che non riesce a fare capire alla squadra un concetto semplice come è quello della velocità, personalmente non capisco cosa voglia spiegare.

La velocità si può differenziare in due aspetti. Il primo si riferisce, ad esempio, al fatto che quando un calciatore subisce un fallo deve alzarsi subito ed essere immediatamente pronto all’azione seguente o se perde palla deve rapidamente continuare nell’azione. Questo è un concetto che un calciatore professionista dovrebbe manifestare indipendentemente dalla tipologia di  gioco della squadra. Riguarda la combattività e la tenacia che devono essere sempre presenti in ogni minuto della gara.

Il secondo aspetto, riguarda invece la velocità in relazione al tipo di gioco che la squadra ha preparato durante la settimana e che ogni allenatore richiede in funzione della sua filosofia.

Mi sembra che alla Juventus manchi il primo tipo di velocità che è alla base della competitività e che se viene a mancare impedisce qualsiasi altro tipo di ragionamento, perché la lentezza rende il gioco prevedibile e facilmente contrastabile da qualsiasi squadra che invece sia più reattiva in campo anche se di livello inferiore.

Suggerirei a Sarri di allenare in questi giorni il cuore dei giocatori e non gli schemi.

 

10 ragioni per essere sedentari

In Italia vi sono 25 milioni di sedentari!

10 ragioni per non fare sport

  1. E’ più divertente stare sui social o fare un videogame
  2. L’ho fatto per un po’ di tempo, poi era troppo faticoso
  3. Ho perso peso e misure di vestito e ho dovuto spendere per rinnovare il guardaroba
  4. E’ una moda, sto bene così!
  5. Sono così stanco del lavoro, che ho solo voglia di riposarmi
  6. Sono troppo grasso e mi vergogno
  7. Non ho più l’età
  8. Incontravo persone che parlavano solo di esercizi fisici e di abbigliamento sportivo
  9. Se lo fai per un po’ di tempo non serve a niente e non sono una persona costante.
  10. Il mio partner non è sportivo e così preferisco stare con lui

Lavorare come psicologo dello sport junior in Italia

Per trovare un lavoro bisogna solo contare sulle proprie forze,  a meno che non si appartenga a quel gruppo che si sistema tramite gli amici degli amici. Non ho mai appartenuto a questo tipo di gruppo e, quindi, mi permetto di dare dei suggerimenti ai giovani psicologi che mi scrivono e che vogliono farcela con le proprie forze. Eccoli di seguito, sono semplici, forse possono apparire banali ma sono azioni a disposizione di tutti:

  1. conoscere l’inglese: bene
  2.  avere voglia di specializzarsi e, soprattutto, farlo (vi sono master in Europa migliori di quelli che ci sono attualmente in Italia)
  3. fare parte di un social network internazionale di giovani professionisti che si scambiano idee e opportunità di lavoro e tirocinio: www.enyssp.com
  4. mappare le persone che si conoscono e prevedere in che modo ognuna di esse potrebbe essere utile ad aumentare le opportunità e conoscenze nello sport
  5. fare stage all’estero (estivi e non), essere disposti a qualsiasi rinuncia pur di poterlo fare
  6. chiedere ai propri docenti di conoscere ragazzi e ragazze che sono riusciti a realizzare quello che volevano e parlargli per avere informazioni
  7. leggere il manuale più aggiornato di psicologia dello sport e poi per gli articoli, trovare su internet la mail degli autori e scrivergli, ve li manderanno
  8. non ascoltare quelli che dicono che non c’è niente da fare, bisogna impegnarsi a trovare la propria strada
  9. stabilire un tempo determinato per trovare il lavoro nella vostra città, poi si dovrà cercare in un’area geografica più allargata
  10. sapere che al momento le opportunità di collaborazione nello sport, per i giovani laureati, sono principalmente con le scuole calcio che necessitano dello psicologo per essere classificate al più alto livello dalla FIGC (può essere utile contattare lo psicologo della propria Regione del Settore giovanile e scolastico della FIGC) e nel tennis che prevede il ruolo nei circoli di preparatore mentale (informazioni sul sito della Federazione Italiana Tennis)

 

Motivazione e leadership

Perché nello sport non alleniamo la respirazione

Le idee sbagliate sulla preparazione psicologica

Sono molte persone che si avvicinano alla preparazione psicologica senza sapere di cosa si tratti. Spesso la ragione principale di questa richiesta proviene dalle esperienze degli atleti o di coloro che li seguono e risiede nel desiderio di migliorare le prestazioni sportive, di essere meno ansiosi e più determinati, di accettare gli errori, di non perdere la concentrazione nei momenti decisivi. Raramente la richiesta è più specifica e, quindi, il rischio è che l’allenamento mentale sia vissuto come attività magica che risolverà i problemi, come una specie di terapia per diventare più convinti in gara o come un modo per condividere con un altro la responsabilità degli insuccessi, come genitori o allenatori non si è riusciti in questo intento e ora si prova con lo psicologo.

Questo approccio rivela la scarsa conoscenza in relazione a cosa sia un programma di preparazione psicologica. Molti allenatori, atleti e genitori approcciano lo psicologo per avere soluzioni semplici e facili da raggiungere. Pensano che in poco tempo, magari poche settimane si potrà migliorare la fiducia e la gestione dello stress da parte dell’atleta. Applicano anche in questo ambito, l’atteggiamento diffuso nella società attuale di essere impazienti di fronte alle difficoltà e di volerle risolvere in poco tempo.

Non sono consapevoli del fatto che le abilità psicologiche, come ogni altro tipo di competenze, richiedono un allenamento continuo nel tempo e intenso. La parola allenamento accanto a quella mentale non è lì a caso ma serve a evidenziare la necessità di una pratica continuativa nel tempo.

 

Anche i campioni del mondo devono gestire le loro emozioni

I dati della ricerca che emergono da TAIS Performance Systems e da me elaborati mettono in evidenza che la gestione delle emozioni è un aspetto decisivo per tutti gli atleti siano essi di livello di College, di livello livello internazionali o campioni del mondo. Infatti, i risultati qui sotto riportati evidenziano come anche i vincitori del campionato del mondo nella loro specialità ritengono le emozioni possano essere un fattore di disturbo significativo e che, di conseguenza, devono gestire in modo efficace.

Si considerano più bravi rispetto al gruppo denominato atleti, che comprende giovani di livello internazionale nel loro sport. Al contrario, emerge che nel mondo del lavoro i manager, uomini e donne, si percepiscono molto meno emotivamente influenzabili rispetto ai campioni del mondo. Probabilmente su questa differenze di percezione pesa la differenza di età anche molto significativa e le caratteristiche delle prestazioni, che nello sport sono tipicamente individuali e avvengono in tempi brevi, abbastanza frequenti, prestabiliti e senza possibilità di rinvio. Gareggiare ogni settimana come negli sport di squadra, nel tennis, nello sci e molti altri determina un continuo salire e scendere della propria condizione emotiva e richiede un controllo costante e frequente degli propri stati d’animo. Questo spiega la ragione per cui anche gli atleti vertice mondiale seguono programmi di preparazione psicologica.

Servono competenze sociali e cognitive per trovare lavoro

Il lavoro caratterizzato da un elevato fabbisogno di competenze cognitive e umane, e quindi le città con un’alta concentrazione di tali occupazioni, sono generalmente meno sensibili alle recessioni, secondo uno studio di Carlianne Patrick e Amanda Weinstein.

La loro ricerca è la prima a dimostrare che la ripresa delle aree metropolitane dalle recessioni economiche dipende più dalla composizione delle competenze – cognitive, sociali o motorie – che dal livello di istruzione, che è più difficile da misurare.

“Gli studi esistenti mostrano che le recessioni rafforzano le tendenze già in atto, per cui abbiamo esaminato i dati alla luce di molteplici recessioni, in particolare la Grande Recessione. Con ogni recessione, sembrava che l’economia impiegasse più tempo a riprendersi, e volevamo capire questa particolare tendenza”, ha detto Patrick. “Nella Grande Recessione, per esempio, più di 8,6 milioni di persone in tutto il Paese hanno perso il lavoro, ma non sempre in proporzione alla popolazione della loro comunità”.

Le ricercatrici  hanno esaminato le aree metropolitane con alti livelli di abilità cognitive e sociali, e altre con un’alta concentrazione di abilità motorie. Hanno scoperto che i lavoratori con elevate capacità cognitive, e/o sociali, hanno avuto meno disoccupazione, soprattutto durante le recessioni, rispetto a quelli con elevate capacità motorie.

Inoltre, le aree metropolitane, anche quelle piccole, che hanno avuto la fortuna di avere un’alta concentrazione di lavoratori con abilità cognitive e sociali, non solo hanno avuto meno probabilità di sentire gli effetti di una recessione, ma hanno avuto più probabilità di riprendersi rapidamente da una recessione.

“I dati occupazionali mostrano che le persone con abilità cognitive tendono ad avere anche le abilità sociali, ed è la capacità di relazionarsi con le persone che è più importante per ridurre il tempo che una città impiega per tornare ai livelli precedenti la recessione … Tuttavia, può essere più difficile per i lavoratori che si affidano alle abilità motorie passare facilmente a quelle occupazioni che richiedono alti livelli di abilità cognitive e di persone.”L’istruzione è importante, ma non è sufficiente. È fondamentale coltivare le competenze sociali nei lavoratori con abilità motorie, per aiutarli a superare le mutevoli condizioni economiche”ha detto Patrick.

Poiché i lavoratori hanno bisogno di alti livelli di abilità cognitive e sociali per aumentare le loro possibilità di occupazione durante una recessione, i ricercatori suggeriscono che i governi, in particolare nelle città e nelle regioni che storicamente si sono affidate alle abilità motorie, prendano in considerazione la formazione dei lavoratori per costruire le loro abilità cognitive e di persone per favorire economie più resistenti e a prova di recessione.

Finché respiro, spero

 

 

 

 

 

 

«Finché respiro, spero» 

(Cicerone) 

 

… recitando dei pezzi di un processo percorrendo una ripida salita imparò a pronunciare il massimo numero di parole con una sola espirazione.

Si allenò a parlare con un tono medio che si sentisse a 50 passi. Mai piegare il collo, non muovere le spalle. Gli occhi devono sempre seguire il gesto a meno che non si debba respingere un’eventualità. Per usare le dita piegare il medio verso il pollice estendendo gli altri tre.