Archivio mensile per marzo, 2016

Pagina 2 di 2

Contro il doping serve insegnare a pensare di più a atleti e allenatori

Possiamo combattere la cultura del doping insegnando ai giovani a pensare mentre fanno sport. Muoversi pensando è il mio motto altrimenti diamo ragione a chi pensa che lo sport sia solo un questione di muscoli di acciaio, di ore di allenamento o di genetica. Bisogna quindi lavorare soprattutto sulla testa degli atleti e sulla loro motivazione a fare qualcosa che non hanno mai fatto prima o che pensavano per loro non raggiungibile. Ognuno ha i suoi limiti ma nessuno conoscerà quali sono se non s’impegna volere ciò che non ha ancora ancora raggiunto. Per insegnare ai giovani a muoversi pensando servono però allenatori che sia consapevoli dell’importanza di questo approccio all’apprendimento sportivo e che non ritengano che le qualità psicologiche dovrebbero essere preesistenti. Senza questa convinzione da parte degli allenatori è molto difficile che i giovani sviluppino questo atteggiamento poiché non faranno mai allenamenti in questo approccio all’apprendimento viene esercitato. Portiamo loro esempi di atleti che sono in questo modo e che devono i loro successi anche a questo atteggiamento mentale. Questo in estrema sintesi dovrebbe essere il futuro dell’allenamento. Le parole di Reinhold Messner dovremmo portarle sempre con noi come dimostrazione che tutto ciò è realizzabile.

Come si allenava per scalare gli Ottomila?
“Correvo. E poi andavo due o tre volte l’anno in Himalaya. Ero sempre più o meno in forma. Oggi, ci sono alpinisti che si allenano anche otto ore al giorno. Io ho soprattutto lavorato con la testa. I miei successi sono anche il frutto della capacità di fare qualcosa che gli altri pensavano impossibile. Ho sempre cercato di capire chi in 150 anni di alpinismo ha fatto progredire le cose. Mi sono chiesto perché l’ha fatto, e come l’ha fatto. Io mi sono spesso limitato a compiere il passo successivo. Ho un cuore normale, i miei polmoni sono normali, e la mia corporatura è normalissima. Solo la mia mente è stata forse più determinata di altre. Ed ero molto più colto di molti alpinisti. Ancora oggi sono pronto a scommettere che se lei mi porta diecimila alpinisti di prima classe, nessuno è in grado di battermi sulla storia dell’alpinismo. Per me l’alpinismo non è soltanto attività, è anche cultura”.

La caduta di Maria Sharapova

Ho sempre portato Maria Sharapova ad esempio per come riesce a gestire lo stress agonistico con la sua routine al termine di ogni punto. “Imparate  da lei” dico alle ragazze e ragazzi che giocano a tennis, probabilmente solo Jonny Wilkinson, nel rugby, ha una routine così bene definita ed efficace per restare freddi nei momenti di maggiore pressione agonistica. I giovani dovevano prendere  esempio da lei, non per imitare passivamente un modo di essere ma per capire che bisogna avere un sistema efficace per gestire le proprie ansie e insicurezze, era un modello. Bene, ora tutto questo è scomparso perché ci pensava il Meldonium  a migliorare la sua capacità di gestire lo stress. E poi li sento i discorsi di questi giorni: “Se vuoi stare nei primi cento non puoi farne a meno”, “guarda Tizio e Caio, si fermano perché li hanno avvertiti, che altrimenti sarebbero stati accusati di doping”. Come scrive Maurizio Crosetti su Repubblica: “Il fuoriclasse truccato cade quasi sempre di schianto, come una sequoia, ma in quel tronco il cedimento era antico e invisibile, qualcosa di molto interno e buio”. Lo sport tradito nelle sue emozioni, nell’essere realizzazione dei sogni, in quella bellezza estetica unita alla competitività che porta a confrontarsi con gli altri, per realizzare ogni volta il motto “vinca il migliore”. Bene, oggi abbiamo scoperto un altro atleta top che appartiene invece alla categoria “i furbi”, Maria Sharapova come tutti gli altri che sono stati beccati a doparsi. Dobbiamo accettare che la Sharapova faccia parte di questa categoria come tanti altri a cui ci siamo ispirati amandone le imprese, erano finte. Dobbiamo comunque continuare a essere convinti che sia possibile raggiungere risultati di livello assoluto anche senza fare uso di doping o abuso di farmaci. Ricordiamoci che i limiti sono spesso solo mentali. Prima di Reinhold Messner nessuno era mai andato sugli ottomila senza ossigeno perché lo si riteneva impossibile, Prima di Roger Bannister tutti pensavano che non si potesse correre il miglio sotto i 4 minuti, 60 anni fa lui ci riuscì. Lo sport è un’esperienza in cui lo scopo è sfidare l’impossibile, superare le supposte barriere fisiche e mentali e realizzare imprese ritenute impossibili. Attrezziamoci per questo, questo sport non è per tutti, è per chi vuole realizzare i suoi sogni. Bisogna costruire una cultura sportiva che abbia queste basi e che alleni i giovani a praticare quotidianamente questi concetti. Cerchiamo “i divergenti”, come nella saga di Veronica Roth, perché  loro rappresentano la soluzione e sfidano il male sapendo di poterci riuscire. E questa non sembri retorica, perché viene per tutti il giorno in cui qualcuno verrà a proporre di non fare lo stupido  e che è ora di fare quello che fanno tutti quelli che vogliono vincere e avere soldi e contratti, altrimenti resterai un nessuno. Attenzione, però, questi personaggi sono ovunque e possono essere il medico o gli stessi genitori.

 

International Journal of Sport Psychology, 47 (1), 2016

 

Nell’anno più difficile, Jonrowe la veterana dell’Iditarod vi partecipa con i suoi cani per la 34° volta

Partita l’Iditarod, una corsa con i cani di 1600 km nel gelo dell’Alaska e Dee Dee Jonrowe vi partecipa per la 34° volta. E’ considerata una sopravvissuta, avendo subito un incidente d’auto mortale, il cancro, il congelamento e numerose ferite durante la corsa.

Come insegnare agli arbitri di tiro a volo

Gli stereotipi degli allenatori sui giovani

Per l’ennesima volta, pochi giorni fa durante un corso per allenatori, diversi partecipanti mi hanno chiesto come mai i giovani non sono più disposti a fare sacrifici e a impegnarsi oppure se lo stare continuamente attaccati allo smartphone non gli impedisce di avere altri interessi. Questa domanda è sempre più ricorrente in questi ultimi anni, ormai quasi 10 anni, e questi allenatori non chiedono se la loro impressione sia vera o falsa ma la ritengono giusta e vogliono sapere cosa dovrebbero fare.

La questione non risiede certo nell’uso delle nuove tecnologie, non sono queste a limitare lo sviluppo dei giovani. Lo sono ad esempio:

  • essere parcheggiati davanti al televisore perché così non si disturba
  • essere portati sul passeggino, quando invece è meglio camminare, perché così i genitori non perdono tempo
  • stare a casa piuttosto che ai giardini perché poi si prende freddo.

Questo tipo di educazione a essere passivi e sedentari conduce all’esasperazione nell’uso delle nuove tecnologie a discapito di una vita più attiva. La questione non sta nell’uso degli smartphone ma nel sapere quali sono le attività giornaliere dei giovani. E’ il mondo degli adulti che dovrebbe organizzare la loro vita così da educarli al piacere di essere attivi, sino a quando non avranno raggiunto la maturità per guidarsi da soli.

Ritornando agli allenatori che si lamentano va anche detto che la risposta implicita che di solito si aspettano di ricevere è non solo di conferma a questa loro convinzione ma soprattutto vorrebbero sentirsi dire che l’unica risposta da dare in questi casi è una giusta punizione. Sembra di essere tornati indietro a 30 anni fa quando era comune dare punizione del tipo: 20 piegamenti sulle braccia o quattro giri di campo di corsa. Ma perchè non s’investe di più sulla formazione degli adulti a cui affidiamo i nostri figli? Non dimentichiamoci che la maggior parte delle società sportive esiste solo perchè i genitori le finanziano. E se smettessero di pagarle? Ma non lo faranno mai perché anche per i genitori è comodo parcheggiare i figli in modo che stiano occupati senza preoccuparsi della qualità dei dirigenti e degli allenatori.

La motivazione è tutto per gli atleti vincenti

Molti atleti sono convinti che essere in forma o avere sviluppato le abilità sportive al più alto livello siano condizioni sufficienti per avere successo nello sport. Con questo spirito affrontano le gare e quando le perdono non sanno spiegarsi come ciò sia potuto avvenire, poiché si sentivano così in forma, che non avrebbero dovuto sbagliare. Mostrano, in sostanza, una concezione meccanica e semplificata della prestazione agonistica, secondo cui il possedere forma fisica e competenza sportiva dovrebbe determinare risultati vincenti. Ciò, invece, non avviene perché come afferma Wilma Rudolph hanno sottostimato il potere dei sogni e dello spirito. Non hanno capito che forma fisica e maestria sono i prerequisiti del successo, che è invece determinato dalla motivazione a volere esprimersi al meglio delle proprie abilità. Senza questo tipo di motivazione non si va da nessuna parte. Naturalmente mostrare con perseveranza e intensità elevata questo atteggiamento prima e durante la gara è molto costoso, porta via molte energie, senza peraltro garantire la vittoria, poiché vi sono anche gli avversari con cui confrontarsi su questo terreno. Chi sostiene questo atteggiamento otterrà comunque grandi soddisfazioni dallo sport, gli atri resteranno bravi atleti che avrebbero potuto ottenere di più, in virtù delle loro competenze ma che non hanno intrapreso sino in fondo questo viaggio all’interno della loro motivazione.