Archivio mensile per gennaio, 2022

Com’è cambiato lo sport negli ultimi 40 anni

Lo sport è cambiato in modo radicale negli ultimi 40 anni e credo che la sua diversa organizzazione abbia molto influenzato la motivazione e lo sviluppo della personalità dei giovani.

Una volta erano i giovani a organizzarsi e questo approccio li stimolava ad assumersi delle responsabilità riguardanti la scelta del gioco, le sue regole, l’arbitraggio e la scelta dei compagni. Oggi la maggior parte di questi temi non li sfiora poiché giocano solo in strutture organizzate e guidate da adulti. Lo sport ovviamente non tornerà indietro verso una organizzazione gestita dai giovani, si potrebbero però quali abilità questo modo di praticare sport sviluppava e in che modo si può oggi sviluppare lo stesso tipo di abilità.

40 anni fa: Si giocava ogni giorno fra bambini del quartiere per ore e ore, qualsiasi sport.

Oggi: I bambini giocano e praticano lo sport solo quando gli adulti li organizzano formalmente. Il resto del tempo giocano a versioni video dello sport su Playstation. Raramente si vedono i bambini organizzare giochi informali e reali per conto loro.

40 anni fa: I bambini di tutte le età andavano a giocare in cortile, all’oratorio o in un terreno libero nelle vicinanze di casa.

Oggi: I bambini giocano su campi perfettamente curati e allineati.

40 anni fa: I bambini giocavano contro altri bambini del quartiere di tutte le età e dovevano migliorare per competere con i più grandi. Spesso giocavano da soli o tra di loro, lanciando una palla contro un muro di mattoni per migliorare.

Oggi: I bambini frequentano strutture sportive dedicate dove un istruttore gli insegna solo uno sport. Frequentano diversi campi estivi.

40 anni fa: I bambini sceglievano le loro squadre scegliendo per primi i migliori e poi gli altri.

Oggi: La squadra è composta dall’allenatore.

40 anni fa: I ragazzi inventavano le loro regole per adattarle al luogo dove giocavano.

Oggi: Tutte le regole sono elencate nel regolamento ufficiale della Federazione.

40 anni fa: Dovevi sviluppare capacità di leadership per influenzare chi era nella tua squadra, ricevere i passaggi ed essere riconosciuto come uno da avere in squadra.

Oggi: Gli adulti prendono le decisioni negli sport giovanili: scelgono le squadre e come giocare.

Immenso Nadal

Oltre avere una psicologia da irriducibile forse questo è il segreto più importante del successo di Nadal: “Ho passato un sacco di momenti difficili, un sacco di giorni di duro lavoro senza vedere la luce, ma continuando a lavorare e ricevendo un sacco di sostegno dalla mia squadra e dalla famiglia”

“Quindi un sacco di conversazioni con la squadra, con la famiglia su cosa può succedere o cosa succederà se le cose continuano così, pensando che forse era un’occasione per dire addio. Non era molti mesi fa. “Per essere dove sono oggi, non posso spiegare a parole quanto sia importante per me in termini di autocompiacimento ed essere grato per il supporto”.

“Ogni singolo giorno. Per molti mesi, a volte andavo in campo con la squadra e non ero in grado di allenarmi per 20 minuti, oggi per 45 minuti, e poi a volte ero in grado di allenarmi per due ore. Era molto difficile da prevedere ogni singolo giorno e stavo lavorando con il medico, cercando di trovare una soluzione.”Come ho detto un sacco di volte, quando si torna da infortuni che, purtroppo lo so molto bene, le cose sono sempre difficili e hai bisogno di andare giorno per giorno”.

“Hai bisogno di accettare gli errori. Devi perdonare te stesso quando le cose non vanno nel modo giusto, perché questo è l’unico modo. “Sai che all’inizio le cose saranno difficili.

“Certo, non avrai le migliori sensazioni a volte in campo, ma rimanere positivi, giocare con la giusta energia e, naturalmente, essere nel tour, allenarsi con i ragazzi e vincere le partite, di sicuro, aiuta e la scorsa settimana è stata importante per me”.

Sapere affrontare le incertezze

Lavorando con atleti mi rendo conto che spesso il loro limite principale consiste nel non sapere affrontare le incertezze, anzi sono proprio queste situazioni a evidenziare le nostre vulnerabilità. E allora si soffre pensando che il mondo c’è la con noi o anche che siamo persone insicure che non sanno trovare le soluzioni adatte.

Ambedue i casi rivelano che ci siamo messi in una situazione in cui continueremo a subire ciò che accade senza trovare alcuna forma di resilienza.

Anche l’allenamento spesso è una delle cause di questo modo di ragionare. Si passa molto tempo a migliorare la tecnica e molto poco tempo a insegnare come essere determinati. Si pensa molto al sapere fare la cosa giusta ma poco a sviluppare la determinazione ch poi si manifesta attraverso al tecnica.

Il risultato è che molti fanno le cose giuste nel momento sbagliato mentre altri le fanno in modo poco determinato. Il risultato non cambia ed è negativo.

 

 

 

La formazione in psicologia dello sport

Negli ultimi 5 anni il numero degli iscritti all’Ordine degli psicologi è aumentato di molte migliaia, nel 2016 erano e 100.566 e nel 2020 sono diventati 117.762. Nel 2011 erano molti di meno, 81.757.

In questo periodo, sono impegnato nell’organizzare un master di psicologia dello sport e mi sto rendendo conto che non è semplice raggiungere un ampio numero di iscritti. Alcuni colleghi mi dicono che ciò sia dovuto alla concorrenza di altri master, taluni online, che rispondono meglio alle necessità dei giovani psicologi e di conseguenza hanno un costo più limitato.

Questa spiegazione però non la trovo convincente per il semplice fatto che negli ultimi 10 anni il numero degli psicologi iscritti all’Ordine è aumentato 36.005 unità e solo negli ultimi 5 anni di 17.196; con un incremento di circa 5.000 nuovi psicologi iscritti nel 2020 rispetto all’anno precedente. Quindi, vi è un grande numero di psicologi che terminati gli studi dovrebbero intraprendere un percorso di formazione post-laurea in uno nei diversi campi della psicologia.

La psicologia dello sport spesso non viene scelta perchè non è chiaro quali siano i percorsi professionali che questo ambito di lavoro può offrire. Nel nostro paese spesso si vive la psicologia dello sport come scelta fra due opzioni, avere la fortuna di lavorare con un Campione o lavorare a livello di attività giovanile (ad esempio le scuole calcio), che si ritiene sia un lavoro che non richiede specifiche competenze.

E’ chiaro che se questa è la lettura del mercato del lavoro è inutile impegnarsi in una formazione impegnativa. Di conseguenza, essendo poco preparati ad affrontare situazioni professionali complesse per mancanza di un training adeguato, le opportunità lavorative riguarderanno solo situazioni semplici e facilmente gestibili con le competenze possedute.

Il Master di Psicosport si propone di colmare questa lacuna fornendo una formazione qualificata, con docenti universitari e consulenti di alto profilo riconoscibile dai loro curriculum, un tirocinio di cinque mesi presso società sportive supervisionato e un programma di coinvolgimento degli psicologi anche dopo il termine del Master.

Chi fosse interessato a saperne di più sul tema dei nuovi orientamenti professionali in psicologia dello sport mi può scrivere e gli invierò l’articolo che ho pubblicato su questo argomento sulla rivista della Scuola dello Sport.

Vivi la tua vita fino alla fine

Ti ammali, ti dicono che morirai ma tu anziché deprimerti decidi di attraversare l’atlantico, remando, con altre due compagne. C’è poco da aggiungere a questa storia ma c’è molto da copiare.

È una favola meravigliosa, per lo sport e la vita. Kat Cordiner, canottiera britannica, ha 42 anni e purtroppo, secondo i medici, gliene restano pochi altri, a causa di una ferale diagnosi: tumore terminale alle ovaie. Ma Kat non si è data per vinta, e tantomeno si è scoraggiata. E così, insieme a due compagne, nel weekend ha stabilito addirittura un record del mondo.

Si tratta della traversata dell’Oceano atlantico su una barca a remi. Come spiega il Daily Mail, sono circa 4900 chilometri che sono stati percorsi in 42 giorni, sette ore e 17 minuti da Cordiner e dalle sue due compagne di viaggio, le britanniche Abby Johnston (32 anni) e Charlotte Irving (31), arrivate tutte e tre domenica sera ad Antigua. Sane e salve sulla loro barca Dolly.

British rower with incurable cancer breaks Atlantic record | Colors of India

Impariamo dalle parole di Sinner sulla sconfitta

Parliamo spesso tutti dell’importanza di accettare gli errori.

La parole di Jannik Sinner al termine della partita persa ai quarti di finale dell’Open di Australia ci dicono come un atleta si esprime quando si tratta di accettare una sconfitta. “Quella di oggi è stata una lezione. La sconfitta mi fa capire che mi manca ancora tanto, devo avere più soluzioni in partita, imparare a fare cose diverse. Tsitsipas si è mosso meglio, ha servito meglio, ha colpito meglio di me. Difficile giocare contro di lui quando è così aggressivo”.

Non si tratta come molti fanno di affermare che l’altro a giocato meglio ma di rendersi conto di quanta differenza ci sia stata tra te e il tuo avversario. E poi di entrare nel merito di queste differenze.

Molti atleti invece non sono consapevoli di cosa li separa dai loro avversari. La valutazione ci dice Sinner non considera valori assoluti. Riguarda invece la relazione tra i due avversari, si riferisce a come l’altro ha giocato per vincere i punti contro di me e cosa ho fatto io per perderli.

Solo in questo si può formulare un percorso di miglioramento.

La ragione per cui facciamo quello che facciamo. Più grande del tennis

 

 @DylanAlcott

Che atleta voglio diventare?

E’ importante e utile porsi la domanda: Quanto voglio diventare bravo/a?
Non è presunzione porsi questa domanda, serve a stabilire un obiettivo e capire quanto devo impegnarmi per raggiungerlo.
Per un giovane non basta avere deciso d’intraprendere la carriera di atleta. La domanda successiva riguarderà quale atleta voglio diventare.
  • Il migliore della mia città?
  • Il migliore in Italia?
  • Un atleta di livello internazionale?
  • Il campione del mondo?
Se non rispondo a queste domande come faccio a sapere se il percorso sportivo in cui sono coinvolto è adeguato per raggiungere il mio obiettivo? Per capire che futuro vogliamo proviamo a rispondere a queste domande ristorate qui sotto.
… siamo motivati alla eccellenza se vogliamo:
  • Portare a termine qualcosa di difficile. 
  • Sentirci pieni di energia.
  • Guidare persone o guidarci con efficacia, efficienza e etica. 
  • Andare oltre gli ostacoli e mantenere elevati standard.
  • Eccellere per noi stessi. 
  • Incrementare la consapevolezza con l’osservazione delle nostre esperienze di successo. 
Per saperne di più su come fare a raggiungere i propri obiettivi e superare le difficoltà scrivetemi tramite questo sito.

Perchè abbiamo bisogno di movimento?

L’affermarsi dello sport nella nostra cultura non è solo legato alle passioni che suscitano le grandi sfide agonistiche dal campionato di calcio, agli ori olimpici o alle regate della Coppa America ma si fonda anche su alcune idee che sono ormai parte integrante del patrimonio di convinzioni delle persone. La prima si riferisce all’idea che lo sport è benessere e la seconda che lo sport è educazione alla vita. Pertanto, se ci si muove per stare bene, ciascun individuo è espressione del diritto fondamentale di poter essere messo nelle condizioni di fare movimento e/o fare sport ed è proprio per soddisfare questa esigenza che lo sport per tutti è nato e si è diffuso, sino a diventare un’attività che coinvolge milioni di persone.

Quali sono dunque i bisogni a cui lo sport per tutti fornisce una risposta:

  1. Il bisogno di movimento – Viviamo in una società che ci obbliga a condurre una vita sedentaria, camminare per andare a lavorare o giocare per strada sono attività quasi impensabili e si deve sopperire a questa riduzione di movimento spontaneo istituzionalizzando momenti della giornata da dedicare esclusivamente all’attività fisica/sportiva. Ormai è possibile per milioni di cittadini trascorrere una giornata senza neanche aver percorso 1km a piedi.
  2. Il bisogno di educare il proprio corpo – Il miglior esempio di educazione del proprio corpo attraverso il movimento lo forniscono i bambini nei primi anni di vita, basta osservarli per capire quanto impegno pongono nell’imparare a camminare e a correre o nell’acquisire quei processi di autoregolazione che gli consentono d’imparare riducendo i rischi di farsi del male (il piacere che provano nello svolgere l’attività  di arrampicarsi e di saltare). Anche per l’adulto la ricerca del benessere può venire soddisfatta attraverso una migliore percezione del proprio corpo o attraverso il riscontrare che il proprio umore può migliorare attraverso la pratica motoria moderata. Per molti individui è la scoperta che possono agire attivamente e positivamente sulle reazioni del proprio corpo e di quanto queste siano inscindibilmente collegate alla loro condizione psicologiche, in un rapporto di reciproca influenza.
  3.  Il bisogno di autorealizzazione – Nello sport per tutti sono presenti necessità di autorealizzazione molto diverse tra loro e, certamente non tutte positive.  Una delle forme dell’intelligenza è quella cinestesica e gli sportivi traggono un senso di valorizzazione personale dall’acquisizione di un livello elevato di maestria nello svolgimento della loro attività. Un’altra modalità di autorealizzazione  collegata, invece, allo sport per tutti consiste nel  mantenimento di una condizione di benessere psicofisico soddisfacente. Non sono invece accettabili come forme di valorizzazione positiva quelle di coloro che si servono di sostanze nocive alla salute  o abusano nell’uso di farmaci per migliorare il loro aspetto fisico o le loro prestazioni sportive.
  4.  Il bisogno di appartenenza – Per molti sportivi la ricerca del contatto sociale attraverso la pratica motoria/sportiva rappresenta una delle motivazioni principali. Lo sport diventa sinonimo di attività svolta in gruppo. Un’attività su tutte: il podismo; la corsa è uno sport individuale che si svolge in gruppo, perché il bisogno di stare con gli amici o di farsene di nuovi e di condividere con questi la propria esperienza sportiva personale è una dimensione psicologica fondamentale.
  5.  Il bisogno di gioco e di avventura – Sport per tutti  significa sport a misura di ognuno, in cui la soggettività e l’esigenza del singolo prevalgono sulla regola del modello competitivo tradizionale. Questo perché lo sport per tutti lo si pratica per piacere personale e le regole del gioco le stabiliscono i partecipanti. Non è in palio la vittoria o l’ottenimento della prestazione assoluta, bensì la soddisfazione di un proprio desiderio. L’avventura non è solo quella assoluta di Messner o di Soldini ma pure quella della persona sedentaria che decide per la prima volta nella sua vita di vincere le proprie resistenze legate alla sua non buona percezione del proprio corpo o al desiderio di dimagrire e di seguire un programma di attività motoria in palestra.
  6.  Il bisogno di vivere in un ambiente naturale – E’ sempre più avvertita l’esigenza di fare dell’attività fisica immersi nella natura sia essa quella di un parco cittadino o quella del mare, della montagna o della campagna. La ricerca di un contesto ambientale adeguato non sorge unicamente dal piacere di respirare un’aria più pulita o di sentire profumi a cui in città non siamo più abituati. Ancora più profondamente, invece,  s’inserisce nell’ambito di uno stile di vita fisicamente attivo, in cui la natura diventa il luogo per eccellenza dove muoversi, fosse anche solo per camminare chiacchierando con gli amici.

Impariamo ad accettare lo stress

Se partiamo dal presupposto che “la vita è una cosa meravigliosa ma che potrebbe trasformarsi anche in un inferno se non si fa attenzione”, allora si capisce rapidamente perché lo stress, a sua volta, può essere altrettanto meraviglioso oppure fatale. Sono le situazioni di difficoltà che spingono le  persone a impegnarsi al massimo per superarle ed ottenere i risultati che si sono prefissati. Pensiamo al primo appuntamento con una ragazza o un ragazzo, come ci si sentiva, si era tranquilli, no di certo. Si pensava verrà o non verrà, sarò goffo/a?

La sfida è anche altro. Sfide anche apparentemente semplici, come quella di trovare del tempo da dedicare a fare qualcosa che piace (una passeggiata, incontrarsi con gli amici). In questo caso la sfida consiste nel fare qualcosa che piace, per il gusto di farla, per raggiungere obiettivi immediati, per provare piacere o per divertirsi. Lo svago al di fuori del lavoro rappresenta uno dei migliori fattori di previsione del benessere e il divertimento influenza positivamente le relazioni di coppia e la vita sociale, che sono altrettanti indici fondamentali di benessere.

E’ un invito alle persone a preferire le esperienze alla passività determinata dalle comodità (“Perché dovrei uscire, faticare, quando posso stare tanto comodo sul divano a guardare la TV”), a fare piuttosto che avere (“ma se mi compro quel marchingegno elettronico che mi fa dimagrire stando seduto, perché dovrei seguire una dieta e andare in palestra?”).

Queste idee non sono nuove!!

Benjamin Franklin, scienziato e politico del XVIII secolo, sosteneva che insegnare a un giovane a farsi la barba e a tenere il suo rasoio tagliente avrebbe contribuito molto di più alla sua felicità che dargli 1.000 ghinee da sperperare. Il denaro avrebbe lasciato solo rimorsi. Mentre il sapersi radere libera l’uomo dalle vessazioni del barbiere, dalle sue dita talvolta sporche, da respiri offensivi e dai rasoi non taglienti.

Assumere questo nuovo modo di pensare riguarda il prendersi cura di se stessi, significa prestare attenzione non alla grandiosità dei cambiamenti che potremmo raggiungere dopo un anno e a prezzo di grandi sacrifici, ragioniamo invece su obiettivi settimanali e raggiungibili. In genere, porsi obiettivi a lungo termine indica più che altro l’aspirazione della persona a raggiungere un determinato risultato ambizioso ma proprio perché si è nel contempo consapevoli dell’impegno nel raggiungerlo può essere percepito come irraggiungibile.

Le difese che una persona può innalzare per evitare di prendersi cura di Sé possono essere così descritte:

  1. Pensare che è sempre stato così –  Alcuni si dicono “Sono sempre stato grassottello, certo ora lo sono un po’ di più di prima della pandemia, ma come si fa a dire di no a un bel piatto di pasta”. Questo approccio sta a indicare che la persona ritiene di non potere migliorare la sua vita perché ha sempre avuto quella problematica, cioè l’essere sovrappeso, e giunge così alla conclusione che non c’è niente da fare. Questa spiegazione viene anche per giustificare determinare caratteristiche psicologiche: “Non gli piace stare da solo, ma già da ragazzino aveva paura del buio, la luce gli faceva compagnia.” In questi casi il ricordo del passato viene utilizzato per affermare l’impossibilità del cambiamento. Si conferma nella testa delle persone che è il passato, contro cui non si può fare nulla, che guida il presente e determina le scelte per il futuro.
  2. Pensare che cambiare non è importante – Altri si dicono: “ Va bene dimagrisco, faccio sport oppure esco di più con gli amici, ma poi che ci guadagno? Io sto bene così, faccio la mia vita, non ho malattie, lavoro, nessuno si lamenta. Perchè dovrei cambiare quando sto tanto bene davanti alla TV.” In questo caso coloro che sostengono questo modo di vivere non sono affatto consapevoli dei danni che crea una vita sedentaria e percepiscono solo il fastidio derivato dall’intraprendere attività che non siano quelle abituali.
  3. Pensare che c’è sempre qualcosa di più importante da fare – Altri ancora sono convinti che “Sarebbe bello avere del tempo da dedicare a me stesso, ma è così che va la vita, sempre di corsa mai un minuto per te.” Rispetto agli inconsapevoli, queste persone avrebbero l’intenzione di modificare in qualche modo la loro vita ma ritengono di non averne il diritto poiché questo loro desiderio è all’ultimo posto.
  4. Pensare che non si sarà capaci di continuare – Alcuni altri sono convinti di “Non avrò mai la pazienza e la perseveranza di seguire un programma di allenamento, ho già provato in passato e ho sempre lasciato.” Quindi, esperienze negative di abbandono determinano una condizione d’insicurezza, che a sua volta mantiene l’individuo all’interno del suo modo di vivere insoddisfacente.
  5. Sentirsi ridicoli davanti agli altri – Infine è possibile pensare che “ In palestra mi sento ridicolo perché sono tutti vestiti meglio e più bravi di me” oppure “Dovrei prima trovare un istruttore che mi spiega bene cosa devo fare, che fa le cose semplici, poi, forse. potrei farle in mezzo agli altri e poi non sono più giovane e la tuta m’ingrossa.” Questa ridotta accettazione del proprio fisico e della condizione di forma attuale non aiuta a inserirsi in un gruppo, a sentirsi a proprio agio. Si vorrebbe prima raggiungere una forma accettabile e poi partecipare alle lezioni di gruppo.