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Tre idee per vivere il 2023

Tre idee mi hanno colpito in questi giorni e mi sembra che praticarle possa servirci a vivere con soddisfazione questo nuovo anno.

Margaret Atwood: “Se esiste un ruolo per la letteratura (cioè non quello che “dovrebbe” fare, ma quello che effettivamente fa) forse è questo: la letteratura parla dell’intero essere umano in un modo che nessuna altra arte può fare. Un romanzo può essere quanto di più adatto ad esplorare la mente e i sentimenti degli altri”… “Di che cosa si ha bisogno durante una crisi? Soprattutto di speranza. Senza non si fa nulla. La letteratura, anche se cupa, è intrinsecamente speranzosa. Testimonia la convinzione che la comunicazione umana sia possibile. Inoltre, nessun romanzo che io conosca si conclude con la morte di tutti i protagonisti”.

Michele Serra: Scrive che la civiltà dell’informazione ci costringe a sapere troppe cose, che a loro volta diventano un peso quotidiano da portarci sulle spalle a cui si aggiunge quanto arriva dai social. Tutto queso ci trasmette un forte senso d’impotenza. Che fare? “Se vi sembra troppo (e lo è) approdare nell’isola dei Lotofagi, come Ulisse nel Libro nono dell’Odissea, e a differenza di lui decidere di rimanerci, e consegnare per sempre all’oblio tutto quello che sapete del mondo; potete più verosimilmente fare come Giorgio Gaber  nell’Illogica allegria. – Lo so, del mondo e anche del resto -, cantava Gaber in quel piccolo capolavoro. Sapeva tutto, ma in un breve momento incantevole (“da solo, lungo l’autostrada”) veniva colto da una inspiegabile felicità. Stava bene, diciamo, nonostante sé stesso, e nonostante la coscienza dei mali del mondo”.

Reinhold Messner: “Non mi sono mai chiesto cosa mi avrebbe portato questa vita, quanto sarebbe durata: ciò che contava era l’audacia, non la risposta alla domanda sul beneficio per la collettività. Non siamo stati messi al mondo per morire, ma per esprimere noi stessi, con qualsiasi idea, azione, mezzo. La nostra responsabilità verso il mondo si misura prima di tutto con il nostro comportamento nei confronti delle risorse naturali e meno con le esperienze dei sogni che siamo riusciti a realizzare”.

L’arbitro: un uomo solo con le sue insicurezze

Di nuovo un errore arbitrale a incidere negativamente sul risultato della partita. E’ accaduto in Milan-Spezia dove Serra per un presunto fallo di Bastoni ha fermato l’attacco di Rebic, che aveva servito Messias, il cui tiro sotto l’incrocio era andato a buon fine.

L’arbitro si è subito reso conto dell’errore clamoroso commesso ma ovviamente non ha potuto ritornare indietro. Questo fatto ci dimostra ancora una volta che talvolta sono gli arbitri a influenzare in modo rilevante il risultato della partita. La tecnologia aiuta ma non dispensa dagli errori, che nel calcio ci saranno sempre. Questo nuovo caso mette in evidenza una differenza sostanziale tra gli errori dei calciatori e quelli dell’arbitro. I primi hanno la squadra in cui rifugiarsi mentre il direttore di gara resta solo con il suo senso di colpa per avere commesso un errore, che non avrebbe dovuto avvenire. Tutti concordano nell’affermare che gli errori fanno parte del gioco ma questa convinzione non basta all’arbitro per uscire dall’angoscia che un errore grave determina. L’errore di Serra è come quello di Jorginho che sbaglia il rigore decisivo o del ginnasta che insegue la perfezione della sua prestazione senza riuscirci. Non si parla mai dell’arbitraggio della pallavolo o della pallacanestro, perché raramente le scelte del giudice di gara determinano il risultato finale, sono sport in cui si fanno punti in ogni minuto di gara e il valore delle sanzioni arbitrali incide meno sulla partita. Nel calcio è diverso. Il gol è un evento raro e il gioco è influenzato dalle ammonizioni, fatti importanti per quella partita e quella successiva.

Il calciatore il giorno dopo va al campo e ha i compagni e lo staff con cui condividere i suoi problemi. L’arbitro non ha nessuno, non ha compagni di squadra, ha un capo, il designatore che se da un lato lo può comprendere dall’altro è colui che decide le partite che arbitrerà e se è il caso di fermarlo per qualche turno di campionato. L’arbitro è solo a dover combattere con le insicurezze generate da una scelta sbagliata, e mi auguro che nella sua vita privata abbia persone con cui condividere i suoi sentimenti e i suoi timori, senza essere giudicato ma semplicemente accettato, perché gli errori sono parte di qualsiasi professione.

L’arbitro: un uomo solo con le sue insicurezze