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Quale calcio per i nostri figli?

Per insegnare e allenare si deve partire dalle caratteristiche di chi fa lo sport (i bambini) e non da quello di chi lo insegna gli allenatori (per cui è più facile lavorare per come loro pensano il calcio), i genitori (che vorrebbero veder fare dai loro figli le azioni della squadra di cui sono tifosi) e i dirigenti (che vogliono vincere i tornei e considerano i bambini come “piccoli calciatori”).

Si ripropone l’eterno dilemma tra preferire l’uovo oggi o la gallina domani!

Peccato che a subirne le conseguenze siano dei bambini a cui viene vietata l’opportunità di crescere come persone attraverso lo sport, mentre impareranno che ciò che conta è la vittoria a ogni costo e che loro sono solo un mezzo per realizzare gli obiettivi degli adulti che li circondano, che vorrebbero educarli e che dicono di amarli.

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Il business delle scuole calcio

Inchiesta di Repubblica sulle Scuole calcio

“Alla partenza, l’ambizione di tutti è l’azzurro e alimenta il business delle scuole calcio: 7.189 in Italia, numero impressionante se paragonato alle scuole medie (8mila) o elementari (16mila). Le rette annuali variano da 300 a 900 euro e garantiscono ai gestori ricavi a molti zeri. Realtà spesso piccole, che contribuiscono alla formazione e alla crescita dei bimbi. Antonio Piccolo, istruttore della scuola calcio Arci Scampia (tre campi in erba sintetica, 500 iscritti), spiega: “Ai ragazzi meno bravi non bisogna bruciare i sogni, ma neppure alimentare false illusioni. Bisogna insegnare loro che nella vita c’è altro: lo studio, il lavoro, essere cittadini migliori. Hanno come riferimento la tv, i milioni di Balotelli. Giocano perché vogliono arrivare, sono sempre meno quelli che lo fanno per divertirsi. Invece il calcio è bello perché hai degli obiettivi condivisi con un gruppo di compagni, perché dà emozioni anche in Eccellenza, in Promozione, la domenica con gli amici. È legittimo sognare, ma i ragazzi vanno protetti. Prima di tutto da madri e padri, che spesso invece cercano il riscatto della loro vita attraverso i bambini. Poi dai personaggi che s’aggirano per i campi: qui tutti sono agenti Fifa, tutti avvicinano i genitori, tutti fanno i talent scout. In un quartiere come il nostro, abbiamo un dovere in più”.
Le accademie si dividono su tre livelli qualitativi. Il 73% sono centri di base. Per avere lo status di scuola calcio “riconosciuta” servono tecnici qualificati, un medico, strutture adeguate (24% del totale). Più in alto ancora ci sono le scuole calcio “specializzate” (232, il 3%): hanno convenzioni con istituti scolastici e uno psicologo che incontra genitori, istruttori, dirigenti. Spiega il professor Alberto Cei, psicologo dello sport: “La difficoltà maggiore per le società è gestire i genitori. Finché i bambini hanno 8-9 anni, tutto tranquillo. Poi, cresce l’ansia di avere in casa il nuovo Totti e persino i nonni cominciano a lamentarsi. Protestano se il bimbo gioca in una squadra mista, con le bambine, pensano “proprio a me?”. Gli incontri con lo psicologo servono a creare un clima positivo, a elevare la qualità dell’insegnamento”.

Psicologi dello sport sempre vittime?

La difficoltà a trovare lavoro è come ovvio una realtà, ancor più per quelle fasce professionali fra cui gli psicologi dello sport che non hanno ancora raggiunto una piena affermazione sul territorio. Sono però convinto che gli psicologi nello sport lavorino meno di quanto potrebbero per quello che considero sia un loro pregiudizio professionale. Consiste nel perseguire il miraggio di lavorare con atleti o squadre restringendo la loro ricerca solo all’ambito agonistico e escludendo altre opportunità. Dico questo perchè da anni sono riuscito a inserire lo psicologo nelle scuole calcio ma sono pochissimi coloro che ne hanno approfittato. Vuol dire proporsi con un programma magari a 20 scuole calcio per riuscire a ottenere delle collaborazioni magari con 4/5 di esse. Non si tratta di grandi cifre ma sommate tra loro potrebbero costituire un reddito iniziale interessante. La questione è che bisogna mostrare non solo competenze professionali specifiche ma anche possedere doti d’intraprendenza e imprenditorialità. Ne sono così certo che il prossimo 15 febbraio sarò a Firenze per promuovere l’attività dello psicologo dello sport, insieme a giovani colleghi, a un seminario per allenatori promosso dal settore giovanile e scolastico della FIGC della Toscana. Per farla breve, non lamentiamoci solo che non ci vogliono o che le società non intendono spendere, ma siamo consapevoli che esistono 7.000 scuole calcio, Siete sicuri che almeno il 10% (700) non possa rappresentare un’opportunità?

Scuole calcio e psicologo dello sport

Ci sono anche le buone notizie per gli psicologi dello sport. Una Scuola Calcio del Milan di Frascati ha inserito per la prima volta nel suo depliant che: “Lo staff dirigenziale di rilievo è supportato da uno Psicologo dello Sport” e con sottolineaando il concetto che il calcio è un gioco, riporta anche il decalogo della Carta dei diritti dei bambini e dei ragazzi allo sport, in cui al primo posto vi è “il diritto di divertirsi.” Mi sembra un ottimo esempio di come si possa pubblicamente proporre un approccio in cui si evidenzia il ruolo dello sviluppo psicologico e non solo quello dell’apprendimento tecnico. E’ certo che vi saranno in Italia altri esempi altrettanto positivi, intanto di questo si sa oggi. Perchè va ricordato che gli psicologi troppo spesso tendono a non fare conoscere e condividere le esperienze professionalmente positive in cui sono coinvolti. Vedi: http://www.lupafrascatiscuolacalcio.it/organigramma.asp

Psicologi e scuole calcio

In Italia abbiamo 7204 scuole calcio che si occupano della fascia di età 5-12 anni; di queste il 3% sono scuole di calcio qualificate, che per essere tali devono avere nel proprio organico uno psicologo. Quindi avremmo 216 psicologi che lavorano nel calcio giovanile. Sarebbe certamente un grande successo, ma di queste persone purtroppo non si ha traccia, nel senso che nella maggior parte dei casi sono accreditate solo in maniera formale o al massimo fanno 5 incontri in un anno (2 con i tecnici, 2 con le famiglie e 1 con i dirigenti). Il compenso per questo impegno è spesso pari all’invito alla cena di fine anno. Vi sono ovviamente lodevoli eccezioni a questa situazioni ma si contano sulla punta delle dita di una mano. Anni fa abbiamo fatto molto con il settore giovanile della FIGC per inserire lo psicologo e dal punto di vista formale è stato un importante riconoscimento, poi è successo che l’applicazione è stata “all’italiana” non si sono cercati professionisti in grado di fornire un servizio qualificato ma sono stati scelti giovani che ringraziavano per l’offerta che gli veniva apparentemente fornita o professionisti presi alla ASL che non avevano nessun interesse nello sport o ancora amici dei presidenti. Il vantaggio per le società di calcio era nell’avere la qualifica dalla Federazione senza fare ciò che veniva loro richiesto. Ora in alcune Regioni, ad esempio nel Lazio, questo approccio è stato cambiato e si prendono psicologi dello sport che svolgono realmente un lavoro professionale ma in molte altre continua come sempre. Naturalmente chiunque, società o professionista, fosse interessato a conoscere qual è il ruolo dello psicologo in una scuola calcio non deve fare altro che scrivermi e con piacere gli fornirò le informazioni che gli sono necessarie.