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Come passare da un errore all’azione giusta

Una delle ragioni per cui spesso continuiamo a perseverare in abitudini e comportamenti che consideriamo sbagliati dipende dalla nostra paura dei rischi che potremmo incorrere decidendo di cambiare, primo fra tutti il commettere un altro errore nonostante ci si stia a cambiare.

E’ certamente più semplice e meno impegnativo lasciarsi dominare dalla voglia di lamentarsi che si manifesta nelle classica frase: “lo sapevo che sarebbe andata a finire in questo modo”. Continuiamo a difenderci dicendo che non sappiamo che fare, che la colpa è di qualcun altro o della sfortuna che si accanisce contro di noi o del fatto che è proprio vero che non c’è un’altra soluzione.

Sono pensieri comuni e in cui è facile cadere e che servono a mascherare le nostre paure più profonde. Agli atleti quando commettono in modo ripetitivo lo stesso errore dico spesso di fare qualcosa di diverso, senza essere preoccupati del risultato, nel peggiore dei casi commetteranno un altro errore ma almeno sarà diverso. Per giustificare questa mancanza d’iniziativa ci si nasconde nel dire “e se poi non va bene?”. Più raramente si pensa che se non va bene si proverà a fare ancora qualcos’altro fino a quando non avremo trovato la soluzione.

Questo accade perchè siamo emotivamente spaventati dal cambiamento e più ne sentiamo la necessità maggiore è la tendenza a nascondersi dietro dei ragionamenti anziché agire diversamente.

E’ importante imparare a dialogare con noi stessi, accettando gli errori. Vi propongo di scrivere una riflessione su “cosa per me gli errori e come reagisco ad essi?”. Pensa a cosa fai nelle diverse situazioni del tuo sport:

  • in gara e in allenamento
  • quando sei in vantaggio o in svantaggio
  • con quali parole accompagni ciò che fai bene e sbagli
  • quando sei contento in allenamento e gara
Scrivi e dopo rileggi e decidi come ti piacerebbe reagire e quali comportamenti e parte vorresti eliminare, e poi inizia ad allenarti.

 

La necessità di reagire

L’allenatore della Fiorentina dopo la sconfitta con il Napoli ha detto che la sua squadra dopo il primo goal ha ancora reagito ma dopo il secondo non l’ha più fatto e che questo è un problema di testa. Naturalmente non si penserà di certo a uno psicologo per aiutare l’allenatore in questo lavoro di miglioramento mentale. Come s’insegna a avere una mentalità vincente? Da un lato, il primo a dovere dimostrarla è l’allenatore, bisogna avere una fiducia totale nei propri giocatori altrimenti è difficile sostenerli quando la squadra è in difficoltà. Secondo, è necessario che i giocatori più importanti sul campo trasmettano questa carica agonistica soprattutto nei momenti critici delle partite. Non è qualcosa in più da fare, deve essere parte della loro prestazione di gioco. Infine, quando queste due condizioni si realizzano si deve lavorare sulla convinzione dei calciatori che invece tendono a deprimersi e a non reagire sul campo. Come si vede si tratta di applicare un sistema di lavoro, lo faranno? Chi lo sa.