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Quanto sei orientato al cambiamento?

Se l’orientamento al cambiamento di un leader è uno atteggiamento base da assumere gli altri due sono rappresentati dal desiderio di assumersi nuove responsabilità e di attribuirne ai collaboratori.

  • Sentirsi responsabili significa  essere consapevoli di aver agito esattamente come si sarebbe dovuto con la scrupolosità e la velocità necessarie, considerandosi totalmente coinvolti nei risultati raggiunti. La domanda a cui rispondere è si deve dare una risposta è:  “Ho fatto proprio tutto quello che era in mio potere di fare?” Quando la risposta è affermativa significa che si era accettato pienamente l’incarico ricevuto, che lo si condivideva, che si era stati motivati a portarlo a termine nel modo migliore, servendosi delle risorse necessarie e che ci si sente responsabili di quanto ottenuto.
  • Altro aspetto fondamentale riguarda l’attribuire responsabilità ai propri collaboratori. Ad esempio, in situazioni di stress organizzativo prolungato nel tempo accade che un manager sia convinto di voler attribuire maggiore delega ai suoi collaboratori perché sentendosi pressato da troppe richieste, ha difficoltà a gestirle e questo determina una riduzione del tempo dedicato alle attività pianificate e un conseguente incremento di quello dedicato alle attività di pronto intervento. L’attività quotidiana scorre così veloce per lui che poco per volta alla consapevolezza di dover cambiare subentra l’assuefazione a  questa condizione di non governo della situazione.
  • D’altro canto anche i collaboratori, a loro volta estremamente abituati a questo modo di agire, appena hanno un problema corrono dal capo a sottoporglielo, aspettando soluzioni. Questo circolo vizioso viene spesso anche incoraggiato da una condizione di reciproca soddisfazione tra manager e collaboratori. Infatti, il primo è comunque gratificato dal percepirsi indispensabile e dalla sua capacità di guidare gli altri fornendo soluzioni tecniche. I secondi sono soddisfatti di non dover prendere decisioni che potrebbero essere sbagliate e di agire sotto una guida che gli risparmia di assumersi delle responsabilità.

Insomma, è diffusa la convinzione che per aver successo non è sufficiente possedere il know-how o avere le competenze professionali e l’esperienza. La validità di questa opinione è da tempo largamente dimostrata nello sport. David Hemery, vincitore di una medaglia d’oro nei 400m ostacoli nelle lontane olimpiadi del 1968 intervistando 63 atleti di élite di 20 sport differentimostrò che la consapevolezza e la responsabilità erano i due atteggiamenti più importanti che questi atleti riconoscevano essere stati alla base dei loro successi. Lo psicologo canadese Terry Orlick (1992), che ha avuto una esperienza quarantennale con atleti, manager e astronauti, nel suo modello sull’eccellenza umana ha evidenziato che l’impegno e la fiducia erano le abilità psicologiche più importanti mostrate dai top performer, altri hanno aggiunto a queste due abilità il goal setting, che corrisponde all’abilità di stabilire obiettivi chiari, specifici e sfidanti e di perseguirli attraverso una pianificazione articolata nelle settimane e nei mesi (Durand-Bush, Salmela, e Green-Hemers, 2001).

Da questi dati emerge, con chiarezza, che se le competenze professionali e le esperienze non sono sostenute da un approccio mentale adeguato ci si trova nella condizione di chi pur possedendo una Ferrari ma non sapendola guidare, corre il rischio di essere superato da un’auto meno potente ma meglio guidata.

Chi desidera avere informazioni su come sviluppare queste competenze mi può direttamente contattare tramite questo blog.