Quando mi viene chiesto di parlare dei giovani che fanno sport, soprattutto sino a 14 anni, aldilà di ogni spiegazione teorica quello che voglio evidenziare e l’importanza del divertimento e del muoversi pensando.
Divertirsi vuole trarre piacere da un’attività per come la si fa, per l’energica fisica e mentale che s’impiega, senza avere uno scopo specifico da raggiungere o un risultato da ottenere.
Muoversi pensando riguarda, invece, imparare a giocare a calcio, a tirare di scherma piuttosto che giocare a tennis avendo sempre un’idea in testa che guida le azioni del giovane. Tutto ciò può avvenire in modo grossolano se si è principianti o in modo tecnicamente sempre migliore mano a mano che si procede in questa esperienza. In altre parole, non c’è movimento senza pensiero, per cui imparare o allenarsi significa muoversi rappresentandosi mentalmente l’esecuzione tecnica.
Una pratica sportiva che garantisce questo tipo di sviluppo stimola positivamente la motivazione a continuare nell’impegno e favorisce quella convinzione così necessaria per diventare esperti in qualche attività e cioè che “miglioro grazie al mio impegno”.
Purtroppo la mete dei giovani nella maggior parte dei casi non è rivolta a soddisfare queste due esigenze. Molti si allenano per imparare uno sport così come molti gareggiano per vincere. La questione non fare bene uno sport ma trovarsi a proprio agio nel fare quello che piace. L’obiettivo non è fare una bella azione o un punto o un gol ma esprimere al meglio le proprie capacità. Nel tennis ad esempio molti ragazzi vogliono tirare forte per fare subito punto, senza avere la volontà di costruirsi con il gioco l’occasione di chiudere lo scambio. In questo tirano ma non pensano.
Questo modo di fare è l’antitesi dello sport.