Reinhold Messner realizzò l’impossibile

Era il 16 ottobre del 1986 quando Reinhold Messner, all’epoca 42 anni, raggiungeva gli 8.516 metri del Lhotse – quarta montagna più alta della Terra – completando così la scalata di tutti i 14 ottomila, ovvero le vette sopra gli 8mila metri, scalandole primo al mondo senza l’aiuto dell’ossigeno e in completa autonomia.

Penso che ha molte persone non sia chiaro il valore assoluto dell’impresa di Messner: l’avere pensato, pianificato e realizzato qualcosa che nessuno pensava che fosse possibile. Così impossibile che ad oggi, dopo 35 anni, solo 39 alpinisti sono riusciti a compiere la stessa impresa, far cui tre donne.

Questi risultai ci dino quanto ancora oggi la relazione tra difficoltà e prestazione sia ancora poco conosciuta, soprattutto quando si voglia prendere in esame la percezione soggettiva della difficoltà. “Impossible is nothing“, il motto di una multinazionale dello sport, da un lato è falso perchè non potremo mai correre veloci come un ghepardo ma tuttavia è vero che nello sport si dice che i record sono fatti per essere battuti e per farlo bisogna superare quel limite oltre il quale essere umano nessuno sino a quel momento è andato.

E’ stato così per Roger Bannister, che il 6 maggio 1954 fu il primo a compiere un’impresa considerata impossibile dai medici e cioè correre il miglio inglese (1.609,23 metri) sotto i 4 minuti (3′59″4). Il suo record durò appena 46 giorni: l’australiano John Landy lo portò a 3′58″, cosa che fu possibile perchè Bannister aveva scardinato una porta invalicabile oltre la quale ci sono passati tutti e riassunse la sua impresa con queste poche parole:

Il segreto è sempre quello, l’abilità di tirare fuori quello che non hai o che non sai di avere.

Lo stesso fu per Reinhold Messner quando il 20 agosto 1980 fu il primo uomo a realizzare un’altra impresa considerata impossibile dalla scienza, scalare l’Everest (8.848 metri) senza l’uso dell’ossigeno, per poi arrivare a scalare tutti i 14 Ottomila con questo approccio. Le esperienze di questi atleti sembrano sostenere il valore dell’efficacia dell’obiettivo, come mediatore tra difficoltà e prestazione e che consiste nella convinzione personlea di poter raggiungere la meta prefissata. Per cui la scelta del livello di difficoltà dipenderà da quanto un atleta si trova a suo agio nello scegliere obiettivi di moderata o elevata difficoltà e ciò dipenderà da quanto si percepirà convinto nelle due condizioni.

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