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Oltre i limiti: Reinhold Messner

Reinhold Messner, il 20 agosto 1980. fu il primo uomo a realizzare un’impresa considerata impossibile dalla scienza, scalare l’Everest (8.848 metri) senza l’uso dell’ossigeno, per poi arrivare a scalare tutti i 14 Ottomila con questo approccio.

Bisogna ricordarsi che i limiti (Alberto Cei, 2021) spesso sono solo mentali e anche questa affermazione potrebbe suonare come retorica. Se però guardiamo ai fatti, molte esperienze documentano come la ricerca del record, della prova di valore assoluto sinora mai realizzata non sono altro che la realizzazione del motto di una famosa azienda che afferma: “Nulla è impossibile”.

Lo sport di livello assoluto vive di queste esperienze in cui lo scopo è sfidare l’impossibile, superare le supposte barriere fisiche e mentali e realizzare imprese ritenute impossibili; non . un caso che si dica che i record sono fatti per essere battuti. . possibile attrezzarsi a raggiungere questo obiettivo costruendo una cultura sportiva che abbia queste basi e che alleni i giovani a sviluppare una mentalit. basata su questo modo di essere. In questi momenti cerchiamo .i divergenti., come nella saga di Veronica Roth, perch. loro rappresentano la soluzione e sfidano il male sapendo di poterci riuscire anche se dovranno lottare senza avere la certezza del risultato.

Photo ©: Reinhold Messner Archives.

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Reinhold Messner realizzò l’impossibile

Era il 16 ottobre del 1986 quando Reinhold Messner, all’epoca 42 anni, raggiungeva gli 8.516 metri del Lhotse – quarta montagna più alta della Terra – completando così la scalata di tutti i 14 ottomila, ovvero le vette sopra gli 8mila metri, scalandole primo al mondo senza l’aiuto dell’ossigeno e in completa autonomia.

Penso che ha molte persone non sia chiaro il valore assoluto dell’impresa di Messner: l’avere pensato, pianificato e realizzato qualcosa che nessuno pensava che fosse possibile. Così impossibile che ad oggi, dopo 35 anni, solo 39 alpinisti sono riusciti a compiere la stessa impresa, far cui tre donne.

Questi risultai ci dino quanto ancora oggi la relazione tra difficoltà e prestazione sia ancora poco conosciuta, soprattutto quando si voglia prendere in esame la percezione soggettiva della difficoltà. “Impossible is nothing“, il motto di una multinazionale dello sport, da un lato è falso perchè non potremo mai correre veloci come un ghepardo ma tuttavia è vero che nello sport si dice che i record sono fatti per essere battuti e per farlo bisogna superare quel limite oltre il quale essere umano nessuno sino a quel momento è andato.

E’ stato così per Roger Bannister, che il 6 maggio 1954 fu il primo a compiere un’impresa considerata impossibile dai medici e cioè correre il miglio inglese (1.609,23 metri) sotto i 4 minuti (3′59″4). Il suo record durò appena 46 giorni: l’australiano John Landy lo portò a 3′58″, cosa che fu possibile perchè Bannister aveva scardinato una porta invalicabile oltre la quale ci sono passati tutti e riassunse la sua impresa con queste poche parole:

Il segreto è sempre quello, l’abilità di tirare fuori quello che non hai o che non sai di avere.

Lo stesso fu per Reinhold Messner quando il 20 agosto 1980 fu il primo uomo a realizzare un’altra impresa considerata impossibile dalla scienza, scalare l’Everest (8.848 metri) senza l’uso dell’ossigeno, per poi arrivare a scalare tutti i 14 Ottomila con questo approccio. Le esperienze di questi atleti sembrano sostenere il valore dell’efficacia dell’obiettivo, come mediatore tra difficoltà e prestazione e che consiste nella convinzione personlea di poter raggiungere la meta prefissata. Per cui la scelta del livello di difficoltà dipenderà da quanto un atleta si trova a suo agio nello scegliere obiettivi di moderata o elevata difficoltà e ciò dipenderà da quanto si percepirà convinto nelle due condizioni.